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Il lavorismo tenetevelo voi!

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Sulla questione dello stop alle aperture domenicali si evince come sulla questione del lavoro e dei concetti dubbi di “progresso” e di “crescita economica” si giochi una partita cruciale a livello sociale e culturale, oltre che politico.

Quello che in teoria dovrebbe essere il Partito più vicino alle esigenze dei lavoratori, il sedicente “progressista” Partito Democratico, rivela in maniera sempre più chiara per bocca del suo reale leader Renzi la sua natura: quella di ancella e portavoce del più totale liberismo economico.

Non a caso è il partito del JobsAct ad invocare che non si metta fine al brutale sfruttamento di migliaia di lavoratori, utilizzando la disoccupazione e la mancanza di prospettive come pungolo a mandare al macello ogni domenica migliaia di persone. Motivazione della sortita renziana è la volontà di attaccare i CinqueStelle strizzando l’occhio a Confindustria, impegnata non a caso in mirabolanti costruzioni di neo-umanesimi capitalistici.

Dalle dichiarazioni di Di Maio si capisce in realtà come la sua idea sia tutt’altro che rivoluzionaria: “ci sarà sempre un luogo in cui andare a fare la spesa di domenica”, dice Giggino, in una prospettiva di rotazione delle aperture che sarà poi implementata nei fatti dalle amministrazioni locali. Insomma, un qualcosa di molto debole e comunque soggetto alle volontà e alle eccezioni della politica locale, che non mette in discussione ad esempio la posizione dominante della grande distribuzione e non parla dello stritolamento dei lavoratori da parte di un liberismo sempre più sfrenato.

La proposta di Di Maio andrebbe piuttosto pungolata, incalzata, forzata, a partire dalla conoscenza del fatto che meccanismi come l’e-commerce sempre di più tagliano i guadagni della piccola distribuzione, mandando sul lastrico una marea di gente. Oppure bisognerebbe mettere in contraddizione diMaio chiedendogli perchè a Taranto si sia genuflesso poteri forti come ArcelorMittal tenendo aperta una fabbrica di morte piuttosto che chiuderla come promesso.

Ad ogni modo, pensare che la soluzione al dibattito sia quella di lavorare di più e pagati di meno, è semplicemente assumere il punto di vista del padrone invece di ribaltarlo. E se non ci attendiamo altro dal PD, sicuramente una difesa a oltranza del lavorismo più becero non interessa a chi si ritiene antagonista a questo stato di cose.

Dovrebbe invece interessare di più analizzare il reddito di cittadinanza – per come verrà inserito e proposto in finanziaria – che tipo di ricadute potrà avere, quali meccanismi subdoli di messa al lavoro coatta andrà a produrre, quali requisiti verranno richiesti ai beneficiari. Per andare all’attacco sul vero piano di innovazione capitalistica degli anni a venire.

Ma su un punto bisogna essere chiari prima di continuare a non capire il mondo dove si vive: se la base del discorso è che l’innovazione tecnologica sta ampliando lo sfruttamento lavorativo, l’unica possibile soluzione è la ridistribuzione della ricchezza sociale (da conquistare nelle piazze, sicuramente non mendicandola). Non certo l’intensificazione dello sfruttamento stesso. Lavorare meno, lavorare tutti? Si, ma a salario pieno e possibilmente senza dover rischiare la vita o bruciarsela a servire caffè o alla cassa di un supermercato.

Sinceramente non è permettere di potersi comprare ad ogni ora del giorno un pezzo di formaggio o una maglietta quello che ci interessa fare: piuttosto, ci interessa accelerare sempre più un cambio di passo culturale che superi la dittatura del pensiero unico lavorista ed entri in quella in cui l’accesso al reddito sia libero da ogni condizione e da ogni sfruttamento.

 

 

 

 

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