
Fratture: appunti da Milano. Disertare la guerra, resistere in città. Verso il corteo del 3 luglio
Domani, giovedì 3 luglio, scenderemo in piazza a Milano per il corteo per il diritto all’abitare. Obiettivo di questo articolo è inquadrare brevemente il contesto storico e politico nel quale ci muoviamo e, quindi, in che rapporto si collocano le lotte sociali con i mutamenti che lo stato di guerra porta con sé. La situazione attuale ci costringe ad analizzare la nostra collocazione sia all’interno del panorama politico sia all’interno della struttura economica globale. L’intento è quello di individuare le fratture esistenti allo scopo di aprire spazi di lotta determinanti dal punto di vista dei rapporti di forza e praticabili in rapporto alle risorse e alle opportunità disponibili in ciascun territorio. La nostra convinzione di fondo è che tutte le forze antagoniste, in questo contesto di guerra aperta, rappresentino le diverse facce di un’unica lotta anticapitalista e antimperialista che punta al ribaltamento delle relazioni di dipendenza esistenti. La premessa da cui prendiamo le mosse è che la guerra sia l’estrema conseguenza della crisi generale del paradigma produttivo neoliberista, di cui constatiamo il fallimento in ogni ambito dell’esistenza.
Che l’ipotesi economica capitalista non sia più praticabile è un dato di fatto, al di là di qualsiasi ideologia. Uno degli esempi più discussi è il collasso ecosistemico e l’irreversibilità del fenomeno, fatto che da solo è sufficiente a mettere in ginocchio l’intero sistema energetico fossile su cui si basa il sistema produttivo mondiale. Ne è riprova la durissima repressione che hanno subìto tutti i movimenti ecologisti nonostante la prassi della protesta non violenta, a conferma del terrore che suscita la scelta di un obiettivo polemico incisivo. L’inasprirsi delle tensioni belliche viaggia di pari passo con la stretta securitaria e poliziesca all’interno dei confini nazionali. Non è una prerogativa del governo Meloni, ma una necessità che si estende a tutta la politica istituzionale, asservita due volte e agli interessi dei capitali privati e all’imperialismo NATO. I costi economici dell’assoggettamento agli stati uniti sono altissimi, dal prezzo del gas all’acquisto e al trasporto d’armi; laddove i costi politici implicano un ruolo in prima linea nell’escalation bellica e nel genocidio del popolo palestinese. Tutto ciò, prevede il dirottamento dei fondi pubblici. Sotto i colpi del caro vita, in questi anni abbiamo assistito ad un impoverimento costante della popolazione. Un dato che diventa interessante per ogni realtà di movimento è il crollo contestuale delle ambizioni borghesi e carrieriste: la dissoluzione tardocapitalista di qualsiasi tipo di dimensione collettiva o comunitaria, concomitante con l’esasperazione competitiva del mercato dell’impiego e con i processi di privatizzazione di tutte le infrastrutture pubbliche, hanno prodotto un malessere psicopatologico dilagante anche laddove le condizioni economiche individuali non sarebbero di per sé disastrose; malessere che ormai assume la proporzione di una vera e propria epidemia sociale.
Le mobilitazioni nazionali del 21 giugno a Roma contro il riarmo europeo hanno visto una larga partecipazione su diversi fronti, segno che la coscienza attorno al tema è trasversale ed è capace di condurre in piazza molte voci potenzialmente conflittuali, seppur diversificate. Questo è un fatto specialmente rilevante a fronte della bieca approvazione del Dl sicurezza: dimostra, da un lato, che la repressione non sta riuscendo a contenere l’opposizione sociale per cui è stato istituito lo stato di polizia; dall’altro, che l’acuirsi della stretta securitaria coincide effettivamente con il momento in cui i vertici decisionali hanno ben ragione di sentirsi minacciati nella loro autorevolezza.
Se il contesto è di guerra, allora la nostra parola d’ordine è diserzione, in qualunque spazio e con ogni mezzo necessario. La guerra, così come il mercato, si sviluppa con lo spostamento e dislocamento di grandi capitali in aree d’investimento, in questo caso relativo agli armamenti. Disertare la guerra significa allora disertare la schiavitù economica per mezzo della quale i governi accumulano il capitale necessario all’investimento bellico, significa ricucire le maglie della struttura di cui ciascuno costituisce un attore.
Qui si inserisce, secondo noi, la lotta per la casa, nell’ambito di un più generale diritto all’abitare di cui la casa rappresenta il punto di partenza minimo e necessario, ma che parla inoltre di tutte le condizioni di esistenza interconnesse e che può essere, così, una delle possibili chiavi per ricomporre sul piano territoriale tutte le lotte sociali. Disertare il capitalismo e le sue guerre imperialiste significa, all’interno della metropoli nella quale ci troviamo ad agire, collocare il nostro corpo e le nostre lotte precisamente lì dove la macchina capitalista estrae plusvalore, vale a dire nei luoghi dove la svendita del patrimonio pubblico consente agli enti governativi di rattoppare il proprio debito sistemico e alle grandi multinazionali di allargare i propri orizzonti finanziari. Il prezzo, come sempre, ricade sulle classi subalterne e sfruttate. Anche da questo punto di vista abbiamo assistito all’intensificarsi delle manovre repressive: nei quartieri popolari della città di Milano è tornata largamente in auge la prassi di murare del tutto appartamenti di per sé abitabili, precludendo così la possibilità di occuparli, assegnarli e riabilitarli. Operazione che non ha altra ragion d’essere che reprimere il movimento di lotta per la casa e che dimostra, in maniera evidente, il completo asservimento delle istituzioni pubbliche alle regole dell’accumulo capitalista. Una casa occupata non produce plusvalore; di conseguenza, è meglio che non esista affatto, anche se il prezzo è una famiglia in più per la strada e un immobile in più fuori uso. “Non c’è alternativa” (Thatcher), ma se malauguratamente si manifesta, allora deve essere soffocata prima che diventi un esempio su larga scala. Di nuovo, l’acuirsi della repressione non è che la conferma che abbiamo trovato la giusta leva.
Se adottiamo per un secondo il punto di vista di una qualsiasi azienda impegnata in prima linea nei processi di gentrificazione, allora tutti gli appartamenti popolari sfitti o lamierati non sono nient’altro che un rifiuto, di cui occorre assicurarsi un corretto smaltimento e che andranno a inspessire l’infinita montagna di immondizia che producono i centri del mercato finanziario. Al valore speculativo dei complessi edilizi subappaltati noi contrapponiamo il valore reale dei complessi edilizi esistenti, già costruiti, già presenti, già costituenti una fonte di valore in sé, inestimabile per chiunque non abbia una casa assicurata (sulla finanziarizzazione del mercato, specialmente di quello edilizio, e le sue conseguenze sociali a cascata, ricordiamo che la crisi del 2008 è scoppiata proprio per l’esplosione della bolla immobiliare statunitense). Alla metafisica del capitale finanziario, che perde credibilità ogni giorno di più, opponiamo con forza il realismo del valore d’uso dei beni materiali e la pratica politica della riappropriazione, al fine di generare e allargare forme aggiornate di “controvalore”, capaci sia di porsi in dialettica conflittuale con le forme del valore monetario dominante, sia di sottrarsi in maniera attiva all’asservimento giuridico-legale ed economico, che, come conseguenza ultima e ormai brutalmente esplicita, conduce all’alienazione della propria soggettività politica in delegazione ad assassini imperialisti e guerrafondai.
La diserzione a ogni progetto di riarmo comincia con la soggettivazione politica ed economica, che si radica nelle nostre esistenze concrete a partire dai quartieri, dalle case, dai posti e dalle ore di lavoro, dai mezzi di trasporto di persone e di merci, da tutti i luoghi in cui le persone fanno la differenza tra un meccanismo in moto e un meccanismo in quiete. È a partire da questi spazi che possiamo fermare la macchina bellica e la corsa al riarmo e, allo stesso tempo, trovare una via di fuga da un capitalismo che sta collassando dall’alto, a causa del fallimento di un’ideologia dell’accumulo e della crescita che ormai è così evidentemente fasulla.
Ci vediamo tutte e tutti giovedì 3 luglio alle ore 18:00 in piazzale Lodi a Milano.
CONTRO SPECULAZIONE E PRIVATIZZAZIONE
CONTRO LA CRIMINALIZZAZIONE DELLE LOTTE
CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA E LA CORSA AL RIARMO
PER L’ASSEGNAZIONE DELLE CASE POPOLARI E LA SANATORIA DELLE OCCUPAZIONI
COSTRUIAMO OPPOSIZIONE SOCIALE
LA CASA NON E’ UNA MERCE!
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