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Frugando nel Borsellino

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Ci scusiamo subito per questo infelice gioco di parole che può apparire un filo irrispettoso se rapportato all’importanza del tema trattato; ma il “tema” è almeno subito chiaro a tutti. Mancano pochi giorni all’anniversario della strage di via D’Amelio, quest’anno però la solita retorica annacquata sugli eroi dell’antimafia ha interrotto la routine della classica propaganda qualche giorno in anticipo e con qualche novità. Sono state depositate, infatti, le motivazioni della sentenza del processo “Borsellino quater” (il fatto che si sia arrivati al quarto procedimento sullo stesso fatto la dice già lunga) in cui si descrive – queste le parole dei magistrati – “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Si farà, per l’appunto, un ulteriore processo in cui i protagonisti saranno i tre poliziotti che facevano parte del pool che seguiva le indagini proprio sulla strage che porto alla morte di Paolo Borsellino e della sua scorta. Mario Bò, Fabrizio Mattei, e Michele Ribaudo. Tutti collaboratori dell’allora capo del pool e defunto Arnaldo La Barbera che fu l’ideatore, a quanto pare, del piano di depistaggio che porto alla costruzione a tavolino di falsi pentiti per deviare le indagini sulla strage.

La nostra sensazione è che, per l’appunto, i magistrati della Procura di Caltanissetta stiano come frugando in un Borsellino, ormai per lo più vuoto, in cerca di qualche pezzo di verità in grado di restituire un po’ di credibilità alle istituzioni senza mettere in discussione l’impianto ideologico messo in piedi dallo Stato dopo l’epoca delle stragi. E quando frughi alla cieca nel tuo borsello per saldare un conto sai che probabilmente qualche monetina da sacrificare la troverai: ma corri anche il rischio che, involontariamente, scambiandoli per monetine, tiri fuori in pubblico un qualche oggetto imbarazzante. Ecco, a leggere oggi le dichiarazioni di alcuni dei magistrati di Caltanissetta ci pare che la situazione sia più o meno questa.
Ai titoli giornalistici che hanno subito ripreso la formula “depistaggio di Stato”, i giudici hanno dovuto cambiare il tiro; e si è ripreso così con le classiche formule dei “pezzi deviati dello Stato” o – questa non l’abbiamo ancora capita del tutto – “con questa sentenza lo Stato ha dimostrato di sapere sconfiggere questi tentativi di depistaggio”. In che senso? Ci chiediamo. Forse i magistrati hanno ritrovato l’agenda di Borsellino fatta sparire, chissà perché, dai servizi segreti e mai più ritrovata? Forse abbiamo già oggi di dominio pubblico la completa verità su quanto accaduto, dai mandanti ai segreti che si sono voluti seppellire insieme al magistrato palermitano? Non crediamo affatto.
Giustamente i giudici di Caltanissetta provano a fare il loro lavoro: salvare la credibilità dello Stato italiano di fronte all’ennesima dimostrazione che proprio dai vertici di quest’ultimo si è prodotto l’ennesimo mistero italiano. E’ questa volta non basterà neanche il solito giochetto del “gli unici a guadagnarci sono stati Berlusconi e Dell’Utri!”. No.
Oggi, persino il tribunale deve ammettere che chi ha svolto le suddette azioni criminali era vestito da servitore dello Stato. E a leggere il dispositivo della sentenza le domande sorgono, appunto, spontanee ai molti; ma da chi arrivava l’ordine di deviare le indagini? Chi aveva l’interesse a nascondere alcuni particolari riguardo l’accaduto? Si parla di soldi consegnati a pentiti, anche attraverso la moglie, da funzionari di polizia e proprio dai funzionari che adesso sono sotto accusa. Si parla del coinvolgimento, nella vicenda, di uomini dei servizi segreti come parte attiva della vicenda. I giudici della sentenza accusano di superficialità i magistrati che seguirono il caso allora. E quindi una domanda la aggiungiamo noi: erano veramente uomini di stato che agivano di propria spontanea volontà contro gli interessi dello stesso Stato?

Non è nostro compito puntare il dito contro i singoli e appellarci al rispetto della legge ed alla certezza che chi ha sbagliato paghi. Anche perché, lo ripetiamo, crediamo che questa sentenza, come tante altre, faccia parte del gioco che alimenta la costruzione ideologica della legalità e del rispetto delle leggi come strumento necessario per il mantenimento della stabilità politica dello Stato. Quello che ancora una volta, invece, provano a non fare emergere è la piena responsabilità dello Stato. Quello che si serve del suo braccio armato per operare dentro e fuori dalla sua stessa legge. Quello che si serve proprio dei tutori dell’ordine per fare in modo che i risultati da raggiungere vengano raggiunti ad ogni costo. Ma è lo Stato la testa di tutto. Non i pezzi dello Stato. I pezzi dello Stato sono quelli che vengono, spesso, usati come martiri sempre per difendere la stabilità democratica e il senso di Stato. A volte vengono eretti a eroi della patria, vengono issate statue, dedicate scuole e aeroporti, incisi nella memoria come esempi da seguire, simboli della legalità. Altre volte sacrificati come uomini di legge macchiati dal disonore di averla tradita, macchiati dal disonore di avere tradito lo Stato. E alla fine tutto torna al suo posto (o quasi) proprio perché attraverso questi messaggi, questi tributi, questi sacrifici, tutto torna dentro la stabilità, dentro la tensione verso un equilibrio che continuamente rischia di venire a mancare, dentro la pura compatibilità. La stessa compatibilità di una sentenza che prova ad annebbiare la vista e a farci credere che mafia e antimafia non siano nei fatti due facce della stessa medaglia.

Lo abbiamo scritto in tutti questi anni. Dal nostro punto di vista, quella stagione “siciliana” è stata funzionale all’imposizione del “principio di legalità” come elemento di controllo sui territori in cui lo Stato non avrebbe avuto alcuna credibilità; e quindi spazio di manovra. In sostanza, questo, si è sempre più configurato come forma di guerra di classe, o meglio, guerra “alla classe”: dei poveri, degli ultimi, degli “illegali”. Ed è per questo che abbiamo sempre ritenuto nocive le varie sfilate legalitarie e commemorazioni istituzionali.
Presto sarà il momento di queste ultime. Tante persone comuni sfileranno accanto ai vertici di questo Stato; si guardino bene ai lati, queste persone: probabilmente si ritroveranno accanto agli stessi poteri che quelle stragi prima le hanno volute, poi le hanno condannate e ora…..stringetevi a corte!

 

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