
Welfare Mothers: lotta ai servizi sociali e contro l’elemosina della carta SIA
Il nostro paese è stato caratterizzato da una forte separazione tra accesso femminile al lavoro (sia esso domestico o fuori casa) e il ruolo famigliare della donna: la cultura patriarcale, di cui la Chiesa cattolica è una delle principali cause, ha segnato la vita sociale, economica, culturale e politica sino alla seconda metà del Novecento. Negli anni Cinquanta e Sessanta l’industrializzazione spinge ad una fuga dalle campagne, cambiando l’assetto della struttura familiare e dei consumi: progressivamente cresce la scolarizzazione femminile ma contemporaneamente peggiora la distribuzione delle risorse. Negli anni Settanta con la crisi del modello fordista di sviluppo si avvia un progressivo decentramento delle attività produttive; la crisi porta ad un riassetto produttivo che privilegia la piccola impresa aziendale e l’artigianato: cresce l’occupazione irregolare, si intensificano i rapporti di sfruttamento verso la fascia giovanile e femminile.
Ai giorni nostri in cui la governance della crisi ha reso sistema un’accumulazione sulla produttività del lavoro femminilizzato e non retribuito emerge una figura dell’operaietà sociale utilizzata in modo elastico così da permettere al sistema produttivo di reggere ai contracolpi del ciclo economico (sistema degli appalti nei servizi e nel terzo settore).
Crisi, reddito, povertà: rifiuto dell’elemosina della carta SIA
Nei momenti di crisi ad una rimercificazione della forza lavoro femminile si accompagna un taglio o un forte disciplinamento dell’accesso ai sussidi familiari. Questo per disciplinare, individualizzare, rendere dipendenti e passivi i destinatari dei servizi sociali: interiorizzare un’umiliazione e una subalternità, una colpevolezza per la propria condizione. Questo succede alle donne che cercano un’emancipazione dalla propria condizione richiedendo buoni spesa o integrazioni al reddito per rendere meno drammatico il proprio sfruttamento sul lavoro o la propria disoccupazione. La risposta del governo è stata, a settembre 2016, l’istituzione della Carta SIA (Sostegno all’Inclusione Attiva) i cui criteri d’accesso sono i seguenti e parlano da soli:
– La presenza di almeno un figlio minorenne o disabile nel nucleo famigliare o di una donna in stato di gravidanza certificata
– ISEE inferiore a 3000 €
– Tutti i componenti del nucleo familiare non devono percepire altri sussidi o assegni di disoccupazione (NASPI, ASDI, Carta acquisti sperimentale…)
– Chi presenta la domanda deve essere in possesso della cittadinanza e residente in Italia da almeno due anni consecutivi, oppure essere in possesso del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo ed essere un familiare di un cittadino italiano o comunitario
– Non possedere auto immatricolate nell’ultimo anno o con cilindrata superiore a 1300 cc immatricolate negli ultimi tre anni (stessa cosa valida per moto con cilindrata superiore a 250cc)
L’erogazione del contributo è subordinata alla partecipazione del nucleo famigliare ad un progetto personalizzato di presa in carico predisposto dal Comune di residenza, volto al superamento della condizione di povertà, al reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale.
Percorso che non solo vede come attori i servizi sociali, ma anche il centro per l’impiego, il servizio sanitario, le scuole e soggetti privati del terzo settore attivi nel contrasto alla povertà (tra cui la Caritas): l’erogazione del contributo può essere vincolato al lavoro “volontario” (lavoro gratuito) da svolgere in queste associazioni. Una servitù burocratizzata.
I criteri di accesso a questo bando lo rendono escludente a priori ad una larga fetta di famiglie e soggetti che si trovano nelle stesse difficoltà di chi vi rientra. La soglia ISEE è troppo bassa e anche qualora ci fossero nuclei ad ISEE inferiore, soggetti come giovani coppie, anziani soli o singoli ormai fuori dal mercato del lavoro rimangono tagliati fuori perché non hanno a carico figli. Anche le donne sole in attesa del primo figlio non hanno alcun punteggio dedicato per la loro situazione doppiamente precaria. Il contributo massimo che si riesce ad ottenere è per i nuclei più numerosi di 400 € e se chi richiede la Carta SIA ha i requisiti per accedere all’assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli minori, il contributo sarà corrispondentemente ridotto a prescindere dall’effettiva richiesta dell’assegno.
È evidente come vincolare l’erogazione di un’elemosina governativa alle donne (e/o famiglie) in difficoltà economica sia corrispondente ad un disciplinamento volto alla creazione di un sistema di subalternità e normalizzazione dei dispositivi di ghettizzazione e subalternità. Negli ultimi giorni iniziative di lotta in questo senso, di attacco al sistema di disciplinamento imposto alle donne da parte dei servizi sociali e contro l’elemosina della carta SIA, sono state organizzate dalle donne in carico ai servizi sociali a Firenze e a Pisa con un’azione agli uffici del comune e un blocco del traffico a singhiozzo. Per questo lo sciopero dell’8 marzo andrà ad indicare anche questa violenza nell’espressione di una lotta per la dignità e l’autodeterminazione.
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