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Un interesse collettivo, antagonista e di parte. Le lotte nella logistica.

Articolo tratto da METROPOLIS, foglio militante del Laboratorio Crash!

Le lotte nella logistica. Il capitale sta caratterizzando la propria crisi nella forma della  ristrutturazione. In assenza di lotte esplicite la crisi capitalistica si concretizza nello sviluppo di politiche d’austerità e d’attacco, senza precedenti, alla vita dei lavoratori e delle lavoratrici aumentando la pressione in termini di precarietà e aumentando le quote della disoccupazione.

Ma nelle metropoli capitalistiche non tutto sta andando in questa direzione: all’attacco del capitale c’è chi ha deciso di rispondere sferrando un proprio contro-attacco cercando la vittoria nel punto massimo di rottura e non più nella ben poco proficua “resistenza sul  salario”.

È la lotta operaia nella logistica! Questo contro-attacco è portato avanti da una soggettività prevalentemente migrante di prima e seconda generazione, che vive all’estremo le condizioni di precarietà: forme di lavoro sostanzialmente a cottimo; nessun rispetto delle forme contrattuale; ricattabilità lavorativa che ruota tutta intorno al terribile nodo della legge Bossi-Fini dove si lega il contratto lavorativo al permesso di soggiorno.

Il settore della logistica è centrale per la valorizzazione capitalistica in quanto permette al capitale globalizzato di andare a ricercare nel mondo le migliori condizioni di sfruttamento in termini di manodopera sottopagata e risorse ambientali, e di connettere in questo modo una produzione dislocata rispetto alla distribuzione.

La logistica è quindi uno dei settori di maggiore valorizzazione del capitale nelle economie globali, ed è infatti uno dei pochi settori che non sta subendo livelli di crisi paragonabili, ad esempio, ad altri settori come quello manifatturiero.

Ma all’aumento del fatturato delle grandi multinazionali e delle aziende locali della logistica non solo non corrispondono miglioramenti della condizione del lavoro, ma anzi si radicalizzalo sfruttamento del lavoro sia in termini di plusvalore assoluto che relativo.

La fase di crisi viene quindi utilizzata dal capitale come ricatto per una riorganizzazione dall’alto ed un nuovo attacco alla condizione operaia.

A questo feroce attacco dispiegatosi grazie alla complicità dell’  “immorale etica cooperativa che prevede la collaborazione di una forza-lavoro docile e mansueta, i facchini della logistica si sono contrapposti!

Alla valorizzazione capitalistica hanno contrapposto un processo di auto-valorizzazione. Facendo i propri interessi collettivi, non si curano della parte avversa se non in termini di ostilità e contrapposizione, evitando di cadere nelle retoriche del “salviamo l’azienda che c’è crisi! Salviamo il paese!”.

Il ricatto sulla perdita del lavoro (e in questo caso anche del permesso di soggiorno) non è più arma efficace del padrone, perché nella lotta gli operai della logistica stanno sviluppando una soggettività antagonista che fa eccedere ogni vertenza sindacale sul piano, eminentemente politico, della dignità.

Dietro ogni richiesta di migliore salario c’è sempre la questione della dignità del lavoratore che per fare un solo esempio vuole conquistarsi la legittimità collettiva a sabotare la produzione nei termini del rifiuto dei soprusi e delle angherie dei caporali di turno.

E’ una forza inedita e straordinaria che riproduce in Europa l’eco proveniente dai processi rivoluzionari e dalle insurrezioni del Nord Africa, dove il terreno della dignità e della giustizia sociale è divenuto la strada per abbattere regimi e lottare contro la povertà.

Aver fatto esperienza della possibilità di vincere anche contro regimi apparentemente eterni quanto feroci, ha spalancato le porte ad una soggettività operaia che negli ultimi mesi ha scoperto fino a quale baratro di sofferenze e umiliazioni era stata costretta, e allo stesso tempo sta sperimentando di quale potenza è capace quando al rifiuto delle ingiustizie aggiunge la dimensione della lotta collettiva.

L’altra grande riconquista che stanno operando i facchini della logistica è quella dello strumento dello sciopero, praticato come mezzo di rottura politico delle relazioni produttive e non come elemento rituale e retorico che punta ad aprire vertenze con lo scopo di migliorare la produttività (per i padroni!).

Gli scioperi di questo ultimo anno ci raccontano di blocchi ai cancelli, di interruzioni improvvise, di microsabotaggi, e questo perché i facchini hanno riconosciuto nelle relazioni produttive l’elemento da colpire!

Bloccare le merci per chi ha il compito di prepararle alla circolazione significa colpire gli interessi del padrone facendo i propri interessi collettivi di sfruttati, ed ora di soggettività antagonista. Il sapere operaio, è divenuto contro-sapere, rovesciando le capacità produttive operaie (in questo caso la distribuzione delle merci) in contro-capacità: il blocco della produttività del settore logistico nel modo più efficace dal punto di vista della lotta.

In questa prospettiva l’uso della forma sindacato come uno strumento, tra gli altri, di potenziamento della lotta si è dato nell’intensità dell’istanza antagonista espressa dagli operai che hanno saputo rompere con le retoriche della mediazione confederale costitutivamente orientata dagli interessi del “sistema Italia”, gli interessi dei padroni e delle elites ai governi. Non sorprende qui che questo primo segmento di lotte che abbia velocemente iniziato ad attrarre a sé altre forme (e vite) della precarietà e dello sfruttamento.

D’altronde chi subisce gli effetti durissimi della crisi che avanza non se ne fa nulla di carezzevoli narrazioni pacificatrici della “sinistra che fu”, ma al contrario è alla ricerca di un baricentro collettivo di lotta antagonista capace di risolvere i problemi (se non i drammi) della propria vita, ha bisogno di trovare la strada di quelle lotte orientate non alla rappresentazione del conflitto o alla mediazione simbolica dell’antagonismo, ma bensì alla vittoria.

La lotta operaia della logistica, è una lotta che vuole vincere per fare gli interessi collettivi di tutti gli sfruttati, poveri e precari. E siamo convinti che è anche per questa ragione che i facchini ai cancelli delle aziende durante i picchetti non sono più soli!

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