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Repressione in Palestina e fermento nel mondo arabo

Continua l’ormai perdurante ondata di repressione nei territori occupati palestinesi. Non si fermano le violenze dell’esercito israeliano contro i civili palestinesi ai check-point; negli ultimi giorni, i soldati hanno aperto il fuoco contro Jalal Al-Masri, sostenendo che il ragazzo aveva disobbedito agli ordini militari. Tale aggressione si iscrive in uno scenario di prepotenza assoluta delle forze d’occupazione ai check-point, infatti solo nelle scorse settimane nei territori della Cisgiordania sono stati colpiti a morte altri due civili palestinesi.
Inoltre, in questi giorni nel check-point di Shufat ci sono stati forti scontri tra l’esercito e la popolazione palestinese. Tutto ha avuto inizio da discussioni tra i militari e civili palestinesi che aspettavano di passare il check-point e da lì sono iniziati scontri e sassaiole in tutto il vicino campo profughi, scontri che si sono subito estesi nei villaggi vicini. Come risposta è iniziata un’immediata repressione da parte dell’esercito d’occupazione che ha sparato proiettili e gas lacrimogeni.  La stessa cosa accade giornalmente nell’area di Silwan.

Accanto a questo l’autorità israeliana continua, con il supporto della polizia palestinese, ad arrestare e reprimere i palestinesi. Nella notte del 19 gennaio sono stati arrestati dalle forze israeliane, che sono entrate con dozzine di veicoli militari, 14 giovani sotto i 21 anni, accusati di far parte a vario titolo della resistenza palestinese.

Uno sguardo al contesto mediorientale

Riflesso di Tunisi. In tutto il mondo arabo, come nei territori palestinesi il popolo supporta la rivolta di Tunisi. In Palestina il supporto proviene sia da tutti i partiti della sinistra che dai movimenti islamici, ma non dall’Autorità Palestinese che, sempre più serva dell’autorità israeliana e delle potenze occidentali sta iniziando, anche dopo le recenti rivelazioni sui negoziati, a temere una perdita del supporto.
Riguardo Tunisi i media dell’autorità, la stragrande maggioranza, non hanno voluto prendere posizione e cercano di censurare la questione, ma nonostante questo i palestinesi vedono come speranza la rivolta nel mondo arabo.
Tale questione ha creato un’ulteriore divisione nelle fazioni palestinesi e nello stesso comitato esecutivo dell’OLP, infatti, i rappresentanti ancora presenti nell’istituzione (il Fronte Popolare aveva già sospeso la sua partecipazione per protestare contro la ripresa dei negoziati), si sono divisi sulla posizione da prendere rispetto alla rivolta tunisina.

Nonostante il comportamento del governo palestinese, larga parte della popolazione è di idea completamente diversa. Ad esempio il Fronte Popolare, voce dell’area rivoluzionaria palestinese, nei suoi comunicati sostiene che la rivolta di Tunisi deve essere supportata e vista come esempio da imitare in tutto il mondo arabo, e come a Tunisi il popolo deve riprendersi la parola e lottare contro i governi e sconfiggere i dittatori.
Anche dai prigionieri nelle cerceri israeliane c’è il pieno supporto alla lotta tunisina e nelle lettere dei detenuti palestinesi si legge un forte entusiasmo per la lotta popolare contro i governi ingiusti,  si legge anche un incitamento ai popoli a proteggere la rivoluzione e a non compromettersi mai con il potere e con la borghesia, lezione questa cara ai palestinesi dopo l’Intifada ed il “processo di pace” che ne è susseguito.

Libano. Gli scorsi giorni sono stati caratterizzati dalla tensione per l’imminente fiducia al governo di Hariri, che se votata avrebbe portato ad un’ancora maggiore influenza delle potenze occidentali, in primo luogo del governo statunitense ed israeliano, nel paese ed in tutta l’area.
In vista delle elezioni e del voto di fiducia gli ambasciatori delle potenze occidentali hanno fatto molte pressioni ai membri del parlamento libanese per far si che votassero Hariri, e in vista della probabile sfiducia hanno iniziato a piazzare navi militari, soprattutto francesi ed americane, lungo le coste libanesi. I risultati delle elezioni hanno però permesso ai rappresentanti dell’opposizione di stabilire il loro governo, perciò Stati Uniti, Francia, Europa ed il sistema arabo sono preoccupati della situazione in Libano perché hanno molto da temere.

Anche in Giordania, come in Egitto, il popolo si è risvegliato e ha rivendicato, dopo molto tempo, il diritto a manifestare. Ci sono stati molti cortei, manifestazioni unitarie di partiti islamici e della sinistra che sta crescendo sempre di più. Durante le manifestazioni l’autorità, sotto pressione ed impaurita dallo scenario internazionale e da una possibile rivolta di massa, non ha avuto il coraggio di reprimere.

In tutto il mondo arabo i governi tremano per un possibile riflesso della lotta tunisina, è infatti più che inusuale per le popolazioni arabe riuscire a manifestare senza essere repressi, anche se la repressione è arrivata nei giorni successivi con un generale divieto di manifestare.
A differenza dei territori palestinesi dove il governo israeliano reprime nei più diversificati modi, in Giordania il governo, oltre cercare di evitare lo scontro, ha deciso di propria iniziativa di abbassare i prezzi dei beni di base, come il pane, e nelle numerose manifestazioni unitarie promosse dai partiti islamici e dai partiti della sinistra (fino ad ora praticamente inesistenti, sono invece ora in forte crescita, tanto che si possono vedere nelle strade numerose bandiere rosse), la polizia non ha represso, ma ancor di più, ha evitato lo scontro offrendo anche bottiglie d’acqua ai manifestanti.

Anche a Gaza la popolazione, costantemente repressa dalle numerose incursioni e dal perdurante assedio, ha iniziato a far sentire la propria voce. Ad esempio si è fatta sentire durante la visita del ministro degli affari esteri francese. Vi è stata una forte contestazione con lancio di scarpe e uova da parte della popolazione di Gaza per le sue affermazioni a dir poco insensate, aveva infatti affermato, nei giorni immediatamente precedenti alla visita, che il rapimento di Gila’ad Shalit (unico militare israeliano ancora detenuto dal popolo palestinese a Gaza) è un crimine. Le famiglie di Gaza hanno perciò manifestato sostenendo che, con tali affermazioni, il ministro francese, come il pensiero occidentale che vede nel governo israeliano “l’unica democrazia del Medio Oriente” si è dimenticato delle migliaia di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.

Il popolo palestinese sia dentro che fuori la Palestina, sta guardando con attenzione i risvolti dopo le rivelazioni sui negoziati pubblicate da Al-Jazeera: 1600 documenti segreti relativi ai negoziati, a Gerusalemme, al diritto al ritorno e alla cooperazione militare tra l’autorità palestinese e quella israeliana.
Questo è un’ulteriore conferma che i negoziati non porteranno a nessun risultato, e che vanno solo contro gli obiettivi della lotta per la liberazione nazionale, con l’unico risultato di fornire coperture per i crimini dello stato occupante.

Dai documenti si legge una vera e propria vendita di Gerusalemme, infatti secondo le rivelazioni, i negoziatori palestinesi hanno accettato il pieno controllo israeliano nella maggior parte di Gerusalemme Est, gli insediamenti nell’area non saranno smantellati e Gerusalemme non potrà mai diventare la capitale del futuro stato palestinese, che dovrebbe nascere da tali negoziati.

Dalle rivelazioni si evince che in cambio delle concessioni dei negoziatori di 50 metri di Gerusalemme, ai palestinesi verrà concesso 1 metro in aree non ospitali come quelle attorno a Gaza o nel deserto del Negev. Secondo le dichiarazioni dell’Autorità riguardo ai negoziati, Gerusalemme come capitale dello stato palestinese sarebbe stato un punto essenziale e su cui, dicevano, non avrebbero mai ceduto. Con queste rivelazioni, cresce la rabbia contro l’autorità anche da parte di chi ancora sosteneva i negoziati ed il cosiddetto “processo di pace”.
Ulteriori rivelazioni riguardano la questione dei rifugiati: i negoziati non rispettano affatto il diritto al ritorno, non rispettano neppure in minima parte la risoluzione 194 delle Nazioni Unite; pochissimi (1000 ogni anno per cinque anni) degli oltre 10 milioni di rifugiati potrebbero tornare nelle loro case.
Altre rivelazioni svelate in questi giorni parlano della cooperazione militare tra l’autorità israeliana e quella palestinese, cioè del servilismo delle milizie palestinesi al disegno sionista. Tra le cose svelate da questi documenti vi è anche la richiesta (eseguita) del governo israeliano all’autorità palestinese di uccidere uno degli stessi membri del braccio armato di Fatah a Gaza.
La cooperazione militare consisterebbe nella repressione da parte dell’autorità palestinese dei gruppi rivoluzionari, tale cooperazione da tempo accade, con i negoziati verrebbe solamente formalizzata ed ancor più legalizzata.

Accanto ad alcuni che continuano a supportare Fateh e che pochi giorni fa hanno manifestato contro Al-Jazeera per le rivelazioni, molti dei vecchi sostenitori del partito al potere stanno prendendo coscienza del servilismo dell’autorità e dell’inevitabile fallimento del dialogo e del “processo di pace”, cosa da molto tempo nota alla sinistra rivoluzionaria.
Con queste rivelazioni si fa ancor più luce sul fatto che i negoziati sono solo strumentali al gioco sionista e all’autorità palestinese, che in tal modo potrà rimanere al potere con il supporto delle potenze occidentali e della potenza occupante.

Ora il sentimento largamente condiviso parte dal popolo, è che l’autorità non ha diritto di parlare a nome del popolo palestinese e di negoziare diritti e rivendicazioni essenziali come il diritto al ritorno e l’autodeterminazione.

Ascolta alcune corrispondenze inviate dai compagni di “Unity voice”, radio indipendente del campo profughi Deisheh:

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