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La trappola per italiani di Giorgio Napolitano. Scatterà?

 

L’ultima mossa politica di Giorgio Napolitano, prima della scadenza del mandato presidenziale, può essere sia una cartuccia che si rivela sparata a salve che un pericoloso tiro di cecchino sul corpo di questo paese. L’esito del colpo di carabina tirato al paese è incerto, l’ha detto lo stesso Napolitano, ma il bersaglio è chiaro. Ma andiamo per gradi.

Il mese successivo alle elezioni di febbraio è stato solo una lenta agonia per Pierluigi Bersani e la maggioranza che l’ha eletto segretario del Pd. Agonia forse evitabile, visto che era chiaro dalla sera del 25 febbraio non c’erano margini politici per un governo Pd-Sel appoggiato dall’esterno, ma anche in un certo senso obbligata dalla legge elettorale. Legge che ha ha fornito, alla Camera, un numero di deputati al centrosinistra spropositato rispetto all’effettivo peso politico. E che ha comunque spinto Pierluigi Bersani, forte di questa maggioranza in una delle due camere, a cercare appoggio oltre l’impossibile. Finita questa fase un pò scontata, ma anche utile per le diplomazie parallele che hanno lavorato per uscire dallo stallo di febbraio, si è passati ai giochi politici seri.

Ed è in questo contesto, e negli ultimissimi giorni, che è arrivata la mossa di Giorgio Napolitano. In due atti. Il primo è stato quello di spedire Pierluigi Bersani, e Sel, nello spazio profondo di un preincarico dal quale non è ancora ufficialmente uscito (e dal quale sia Bersani che Vendola forse mentalmente e politicamente non usciranno mai). Il secondo quello di nominare, novità assoluta nella storia della Repubblica, una commissione di dieci saggi che indirizzi i futuri possibili accordi di governo. E’ nella lista dei saggi nominati, e quindi nel dettaglio, che sta il demonio della trappola tesa a questo paese.  Ci sono infatti diversi nomi di indubbio prestigio, capacità professionale e scientifica (Onida, Giovannini ad esempio), ma due sono i personaggi che danno il senso politico dell’operazione. Che più che essere un tentativo ecumenico di risoluzione dei vari conflitti politici rappresenta davvero un preciso esercizio di selezione tra chi conta in politica e chi no. Prima di tutto, in area Pd, per quanto riguarda le riforme istituzionale c’è Luciano Violante. Non un nome ma IL nome storico di garanzia per tutti gli accordi, e i tentativi di accordo, tra centrodestra e centrosinistra. Dall’assetto proprietario delle tv, al tentativo di “riformare” la magistratura alle riforme istituzionali vere e proprie. Il cantore delle esigenze dei “ragazzi di Salò” e colui che ha avuto il potere di ammonire, pubblicamente e alle camere, Berlusconi. Sul fatto che il centrosinistra, in caso di violazione delle intese da parte del centrodestra, avrebbe rimesso in discussione gli accordi sulle tv Mediaset (il bello è che il centrosinistra, dopo questo sfacciato episodio, ha continuato a prendere i voti antiberlusconiani. Potenza della credulità popolare).

A Violante si accompagna quindi Quagliariello che, da diverso tempo, è il pontiere in area centrodestra per le grandi intese e le riforme istituzionali. La vera matrice delle due commissioni dei saggi passa quindi attraverso l’intesa tra i personaggi indicati. Se tra Violante e Quagliarello fluiranno bozze, discussioni, intese l’intero asse delle due commissioni prenderà quota. Già ma cosa sono queste due commissioni? Poco più di un niente, mediaticamente gonfiato, o un tentativo di commissariamento dei partiti sui futuri contenuti, e protagonisti, di governo? Sono vere entrambe le versioni, finchè lo scenario politico rimane quello attuale. Con i veti incrociati, che vanno sciolti in un senso o in un altro, tra i cartelli elettorali.

Soffermiamoci però sull’eventuale successo delle commissioni Napolitano. Avremmo due gruppi di saggi, i cui criteri di nomima sono discrezionali e sulla cui costituzionalità ci sarebbe da discutere,  che di fatto rappresenterebbero un commissariamento,  su procedure e contenuti, dell’intero parlamento. O, se si preferisce, avremmo una sorta di incubatore delle possibili intese tra pdl e ciò che resterà del pd dopo la resa dei conti interna al riparo dalla dialettica parlamentare. Allo stesso tempo, vista la scadenza indefinita della commissione, avremmo l’indirizzo politico voluto da Napolitano, che esclude Sel come mezzo Pd, in grado di condizionare i futuri assetti di governo ed istituzionali ben oltre la fine del suo mandato. Già, ma quale è l’indirizzo politico di Napolitano?
Prima di tutto rimandiamo ad un articolo del settembre scorso quando questo scenario, invisibile agli elettori di centrosinistra (esempi aurei di credulità popolare progressista), si stava preparando.

Per farla breve, attraverso la presidenza Napolitano passa la consapevolezza, nelle reti istituzionali, che si debba chiudere il cerchio del funzionamento dei processi governamentali spezzato negli ultimi anni della seconda repubblica, a partire dalla esplosione della crisi dei subprime. Questo cerchio si chiude necessariamente espellendo, dal novero dei diritti come da quello della rappresentanza reale, l’ampia porzione di società incompatible con i processi di ristrutturazione economica e finanziaria dell’Ue e dell’eurozona. Piaccia o non piaccia, e a chi scrive al momento pare poco di più che un fan club allargato di un uomo di spettacolo, il M5S ha avuto un risultato elettorale che ha impedito la chiusura di questo cerchio. Passato l’effetto choc ad oltre un mese dal risultato elettorale Napolitano, come annunciato in Europa, lavora attorno ad un nuovo tentativo di chiusura non tanto di una nuova maggioranza ma di un processo di governamentalità compatibile con le (pericolose) ristrutturazioni Ue-eurozona.

Si guardi ai risultati che si delineano dalla giornata di sabato: rilegittimazione del governo Monti, un unicum della storia repubblicana, che si era dimesso e in un’altra legislatura; istituzione di due commissioni di saggi, oltre che di due speciali alla camera e al senato. Tutto questo dispositivo assieme, in maniera ignota, se funzionerà guiderà, passaggi delicatissimi come il dpef, la liquidazione di parte dei debiti dello stato a banche ed imprese, la tares, l’iva. Con un governo Monti che, fino a nuovo ordine, è legittimato nei vertici Ue ed eurozona. Il tutto con i due più importanti saggi della commissione, Violante e Quagliarello, che rischiano di essere i dominus della vita repubblicana senza essere stati eletti da nessuno in quel ruolo ma nominati da un presidente di fatto scaduto.

Si cercherà, nella dialettica Violante-Quagliariello, di mettere mano ad una forma stato più autoritaria ed agile, in linea con fiscal compact e pareggio di bilancio, dando qualche concessione all’immagine (sul numero di parlamentari, sulla fine del bicameralismo perfetto). Si cercherà di metabolizzare istituzionalmente il recente Two pack, l’accordo continentale sul controllo della legge di stabilità che rende inutile la sovranità popolare. E si cercherà di trovare soluzione politica all’impasse. Soluzione che, nella formula Violante-Quagliariello, passa attraverso la resa del Pd rispetto a  qualsiasi velleità di rappresentanza, anche simbolica, a sinistra e il definitivo sganciamento dal sindacato assieme all’istituzione di leggi draconiane sul lavoro e sulla produttività. Per non parlare del processo di estinzione della spesa pubblica e di supporto alle voragini bancarie nazionali e continentali.

Per il pdl si tratterebbe di rendere finalmente certo, per Mediaset e per il paese, il processo di uscita di Berlusconi dai guai giudiziari prima e dalla vita politica poi. Lasciando Cologno Monzese come solido player dell’ormai difficile mercato della tv generalista e della raccolta pubblicitaria.
Per mettere in piedi tutta questa possibile architettura Napolitano, facendo finta di ascoltare Bersani, ha dato retta al potente Olivero, presidente delle Acli, ascoltato in Vaticano e della corrente vincente di Scelta Civica. Costruendo una lista di saggi che proverà ad aiutare, definendo i contenuti “di salvezza nazionale”, l’emersione di una maggioranza. Che, se ci sarà, sarà ottenuta facendo fuori mezzo Pd, quello contrario alle larghe intese, Sel e riducendo il movimento a 5 stelle a folkloristico, magari chiassoso, esempio di rinnovata partecipazione popolare alla vita delle istituzioni.

In questo senso la commissione di saggi potrebbe essere anche il luogo dove passano sia il nome del nuovo presidente del consiglio e di quello della repubblica. Visto con occhi europei, specie quelli di Bruxelles o di Francoforte, l’esperimento è compatibile con quel che chiede l'”Europa” e potrebbe anche funzionare. Visto con occhi italiani si tratta di un tentativo che può fallire per molte variabili. Si va dal desiderio di forzare la mano elettoralmente da parte di uno dei contendenti, alle resistenze di parte del Pd, al precipitare della crisi sociale o alla conclamata impossibilità di risolvere in termini materiali la crisi liberista e bancaria.

La trappola per italiani di Napolitano nel frattempo è stata piazzata. Il fatto che scatti o meno dipende, come spesso in questi casi, da variabili anche molto sottili.
Tayllerand, che di sottigliezze del potere se ne intendeva persino più di Andreotti, dei governanti spesso diceva “siate ai loro piedi ma mai nelle loro mani”. Il problema è che un intero paese rischia di finire, per una nuova lunga stagione, proprio nelle loro mani. Se invece la trappola non scatterà si tratterà di comprendere i benefici del caos istituzionale. Comprensione per la quale il paese sembra ancora acerbo. Vent’anni di seconda repubbblica, e del suo pessimo abito mentale prima ancora che politico, non passano in un istante.

Per Senza Soste, nique la police.

31 marzo 2013

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