
La liturgia delle masse senza volto che aspettano il grande Evento
Genealogie e trascendenze
Il titolo è intrigante: ma qual è questa Storia che si è risvegliata? È quella che Fukuyama aveva ritenuto finita con la vittoria del capitalismo neoliberale. Badiou condivide l’idea del conservatore nippo-americano, tuttavia con le «primavere arabe» (e un po’ con gli indignati spagnoli, anche se non troppo perché non tutti i discorsi sono quelli che il filosofo francese vorrebbe ascoltare) la Storia si è riaperta. Di fronte a un’ipotesi così importante, epocale si potrebbe dire, è lecito chiedersi: come una Storia finita si è potuta risvegliare? Attraverso una «rivolta storica», ossia «il risultato della trasformazione di una rivolta immediata, più nichilista che politica, in rivolta prepolitica». Quali siano le caratteristiche di queste rivolte, Badiou non ce lo dice. O meglio, non c’è nessuna peculiarità delle lotte, non ci sono cicli, fasi o sedimentazioni soggettive: le loro caratteristiche sono astoriche. È questo l’Evento che irrompe in una Storia priva di determinazione storica. Alla domanda su come esso si produca non possiamo trovare risposte, se non nel campo della teologia: è un miracolo, annunciato – ex post – dal filosofo. È per definizione puro e disincarnato, a differenza dei processi organizzativi, delle composizioni sociali e dei figure sociali e produttive che li animano. Questo Evento non ha genealogia, ma solo trascendenza: avviene, così come Gesù nacque dal ventre di Maria risvegliando anche lui la Storia.
Si dirà che i rivoltosi qui vengono trattati meglio rispetto a Slavoj Zizek (Considerazioni politicamente scorrette sulla violenza metropolitana), che li catalogava come ciechi portatori di una violenza insensata prodotta dal capitalismo. Forse, ma anche in Badiou è tanto feroce la critica allo Stato, quanto è debole la capacità di cogliere le soggettività che quello Stato sfidano. Si tratta, al più, di una massa inconsapevole e informe, costretta alla rivolta dalla miseria e dall’alienazione, incapace di andare oltre «il puro godimento nello spaccare quello che esiste» se non si sottomette all’Idea – di cui è detentore, ça va sans dire, il filosofo. Sono proprio i soggetti di classe, nella loro materialità, i grandi assenti di questa Storia, assopita o risvegliatasi: Badiou – al contrario del Mao a cui ideologicamente si richiama e che fondava la prospettiva rivoluzionaria sull’inchiesta nel movimento contadino dello Hunan – non ci dice nulla di chi si tratta, di quali sono le loro forme di vita e di socializzazione, del perché si rivoltano o perché lo potrebbero fare (sarebbe tempo perso con l’«aneddotica», scrive). Anzi, bisogna passare dal concetto «freddo» di classe, semplicemente «analitico e descrittivo», alla massa, «principio attivo delle rivolte». È una figura indistinta, senza volto e senza storia, a fare l’Evento. È cioè l’Evento a utilizzare per i propri oscuri scopi questa figura indistinta, «non politica, né prepolitica». La determinazione storica non conta nulla: «quello che conta non è tanto quello che esiste quanto quello che non-esiste».
In questa struttura analitica, non è facile per Badiou rispondere alla domanda se si può essere comunisti senza essere marxisti. L’è peso el tacon del buso, se vogliamo usare il linguaggio popolare che il francese impiega nel pamphlet (quello astratto e metafisico è riservato ai libri su San Paolo e ai convegni accademici, ma tant’è, l’autonomia della filosofia è un vizio di scuola). Il marxismo viene infatti ridotto al «ruolo determinante dell’economia», vale a dire – aggiunge – alla «teoria dei rapporti di produzione». Qui sta il nocciolo dell’equivoco. I rapporti di produzione, per Marx, non sono questione che appartenga meramente all’economia, come pensavano gli economisti volgari e, dopo di lui, i marxisti tra cui il Moro di Treviri rifiutava di essere annoverato. Riguardano la soggettività e i conflitti sociali, di classe, le forme di organizzazione e quelle dello sfruttamento, la potenza della vita in comune e i dispositivi di cattura. Parlano della costruzione del mondo e dei rapporti di forza. Se non si condivide questo, il capitalismo diventa l’unico soggetto della Storia: cessa di essere, marxianamente appunto, un rapporto sociale, per trasfigurarsi in un’entità totalitaria e diabolica, autonoma e che si sviluppa per proprio conto.
Differenze radicali
Allora no, non si può proprio essere comunisti senza situarsi dentro la composizione di classe, senza fare inchiesta nelle lotte e impegnarsi nei processi di organizzazione. Ma su questo Badiou è chiaro: l’organizzazione, «il lavoro della verità nuova», comincia solo dopo l’Evento. E siccome l’Evento può solo essere, religiosamente, annunciato o rivelato, si può tutt’al più teorizzare quello che è successo, mai organizzare quello che può succedere. Questa è la differenza di fondo tra la filosofia e la politica rivoluzionaria, tra un’Idea e un movimento reale.
Chiudendo il libro il dubbio ti assale: e se in realtà in mezzo a questa massa indistinta e astorica, informe e prepolitica, il soggetto fosse ben presente, dall’inizio alla fine, e non fosse altro che il filosofo stesso? In questo caso, allora, varrebbe davvero la pena di essere maoisti: chi non fa inchiesta non ha diritto di parola.
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