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Iguala, il Messico si indigna: mai più desaparecidos

da Città del Messico, Andrea Spotti, inviato della Fornace

Il massacro di Iguala, in cui un commando di agenti municipali e narcos ha assaltato gli studenti della scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos uccidendo sei persone e ferendone venti, ha messo sotto gli occhi di tutti l’orrore che si vive in Messico dall’inizio della cosiddetta guerra al narco a questa parte. Ad oltre un mese di distanza dai fatti, cresce l’indignazione e non cessano le iniziative per esigere giustizia e la restituzione in vita dei 43 studenti scomparsi nel nulla dopo essere stati detenuti dalla polizia locale il 26 settembre scorso.

Le mobilitazione – un moltitudinario ¡ya basta! che ha ormai assunto un carattere globale – unita alle critiche e alle osservazioni provenienti da mass media e organismi internazionali, stanno mettendo in seria difficoltà il governo di Peña Nieto, il quale è visto dalla piazza come il responsabile del clima di terrore e di impunità che regna in buona parte del territorio nazionale e del quale ne fanno le spese -come sempre accade nelle guerre- popolazione civile e movimenti.

Diversi osservatori evocano il ’68 e descrivono il movimento che si sta gestando in queste settimane come il più importante e partecipato degli ultimi decenni. Da almeno tre settimane, infatti, il paese è quotidianamente attraversato da decine di iniziative, che nascono spesso in maniera spontanea e, significativamente, non si svolgono solo nelle principali città ma anche nei piccoli centri.

Il primo elemento che caratterizza la protesta è senza dubbio quello generazionale. A riempire le piazze cioè sono proprio coloro a cui era probabilmente rivolto il messaggio di terrore lanciato con l’assalto e la sparizione forzata dei 43 normalisti di Ayotzinapa: gli studenti, e più in generale, le giovani generazioni.

I primi a mobilitarsi sono stati gli studenti delle scuole normali di tutto il Paese, immediatamente seguiti da quelli medi ed universitari, protagonisti di quattro riuscitissime giornate nazionali di blocco dei lavori nella stragrande maggioranza delle istituzioni accademiche pubbliche e private, alle quali va aggiunta quella che si sta svolgendo in queste ore.

Le giornate di paro estudiantil (8, 9, 22, 23 y 29 ottobre) sono state precedute e seguite da un grande dinamismo studentesco e della scuola in generale. Un dinamismo fatto di assemblee moltitudinarie, brigate informative nelle diverse scuole e facoltà e sui mezzi di trasporto, blocchi stradali, presidi davanti alla procura della repubblica e ai palazzi del potere, salto collettivo dei tornelli in metropolitana, cortei e performance.

Nata dal basso e senza il sostegno dei partiti, la protesta si è presto allargata anche ad altri settori della società (dai docenti ai sindacati indipendenti, passando per centinaia di organizzazioni sociali, artisti, famiglie e individui spesso estranei all’attivismo), coinvolgendo una parte significativa della popolazione e acquisendo un carattere pienamente nazionale che preoccupa seriamente il governo, alle prese con quella che Human Right Watch ha definito la peggiore crisi umanitaria dopo la strage di Tlatelolco del 1968 (quando esercito e polizia in borghese spararono su un meeting studentesco uccidendo centinaia di persone).

Per dirla con Bellinghausen, storico opinionista de La Jornada, pare proprio che alla scomparsa dei normalisti stia corrispondendo la repentina apparizione di centinaia di migliaia di uomini e donne pieni di dolore e di indignazione ma anche di rabbia per quest’ennesimo crimine contro l’umanità prodotto dalla complicità tra stato e mafie, e del patto di impunità che vige tra i partiti e nei riguardi dei potenti di ogni risma.

Se il movimento è nazionale, l’epicentro della protesta è sicuramente lo stato dove si è svolta la strage, ossia il Guerrero, una delle realtà più povere del Messico. Quì le iniziative hanno raggiunto un alto livello di radicalità mettendo in discussione la stessa governabilità della regione, tanto che governatore Aguirre è stato costretto alle dimissioni, e che il ministro dell’interno Chong ha deciso di inviare altri 10 mila uomini per “appoggiare il nuovo governatore”, l’interino José Antonio Ortega, ex-segretario dell’Universidad Autónoma de Guerrero, scelto al di fuori dell’ambito dei politici di professione per dare un segnale di rinnovamento.

Dall’8 ottobre, un plantón (accampamento permanente) di docenti della CETEG (Coordinadora Estatal de Trabajadores de la Educación de Guerrero) occupa la piazza centrale di Chilpancingo, la capitale dello stato. Quasi quotidianamente, l’autostrada del Sole, quella che collega Città del Messico all’importante località turistica di Acapulco, viene bloccata da normalisti e maestri. La stessa cosa accade di frequente anche ad altre importanti vie di comunicazione dello stato (la México-Acapulco, la Tierra Colorada-Cruz Grande e la Tlapa-Chilpancingo).

Oltre ai blocchi stradali, che in diverse occasioni non fermano la circolazione ma impongono ai casellanti il passaggio gratuito degli automobilisti, vengono bloccati anche centri commerciali, banche e sedi istituzionali. Gli studenti in lotta, inoltre, fanno spesso dei blitz pacifici in radio e televisioni pubbliche e private locali, dove chiedono ed ottengono di poter parlare alla popolazione.

Durante gli oceanici cortei che hanno attraversato le principali città del Guerrero, sono stati duramente colpiti i simboli del potere politico locale. Il 13 ottobre, a Chilpancingo, un gruppo di manifestanti sganciatisi dal corteo ha dato fuoco ad una parte della sede del congresso statale, colpendo duramente il municipio e il palazzo del governo. Il 22 ottobre, invece, sono state sanzionate la sede del PRD (Partido de la Revolución Democratica, di cui sono espressione l’ex-governatore e il sindaco latitante Abarca) ed il municipio di Iguala, nonché la piazza commerciale Gallerias Tamarindos di propietà del sindaco.

Un’altra azione rilevante portata avanti dal movimento guerrerense consiste nell’occupazione delle istituzioni municipali, 21 delle quali, prese durante le mobilitazioni di questi giorni, si trovano in mano dei maestri della CETEG e vi resteranno, dicono i docenti, fino a che non saranno ritrovati, e in vita, i 43 giovani desaparecidos. La gran parte delle iniziative nello stato sono state lanciate dall’Asamblea Nacional Popular, nata lo scorso 15 ottobre dall’unione dei compagni e dei familiari dei normalisti di Ayotzinapa, la FECSM (Federación de Estudiantes Campesinos Socialistas de México), la CETEG e circa 80 organizzazioni statali e nazionali. L’Asamblea ha più volte dichiarato che, di fronte agli scarsi risultati del governo, è diposta ad alzare il livello dello scontro fino a bloccare il Paese.

Oltre allo stato del Guerrero, le mobilitazioni stanno coinvolgendo tutto il territorio nazionale. Dallo stato di Queretaro a Oaxaca, dal Michoacán a Veracruz, da quello di Morelos allo Yucatán, è l’intero Paese a mobilitarsi. In Chiapas, normalisti e docenti hanno occupato centri commerciali in diverse località, mentre l’EZLN, con il motto “il vostro dolore è il nostro dolore, la vostra rabbia è la nostra rabbia”, ha partecipato alle due giornate globali per Ayotzinapa dell’8 e del 22 ottobre, rispettivamente, con un corteo silenzioso di circa 20 mila basi d’appoggio che ha accerchiato simbolicamente il municipio di San Cristobal de Las Casas, e con un presidio di fronte ai principali Caracol, durante il quale sono state accese 43 candele.

La manifestazioni più partecipate sono state senz’altro quelle tenutesi a Città del Messico. Se il corteo dell’8 aveva sorpreso molti per densità e lunghezza, e si era parlato della presenza di circa 100 mila persone, in quello del 22, la partecipazione è stata ancora maggiore. Per oltre sei ore, infatti, una moltitudine indignata ed eterogenea ha attraversato il centro storico della capitale seguendo il classico percorso che va dal monumento dell’Ángel de la Independencia allo zócalo.

Ad aprire il corteo sono stati i familiari dei desaparecidos e gli studenti di Ayotzinapa accolti con grande solidarietà e salutati ad ogni piè sospinto dal grido “no están solos” e “Ayotzinapa somos todos”. A seguire, erano presenti le scuole normali rurali del resto del Paese, la combattiva CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores Educación), gli studenti delle principali università cittadine, il sindacato degli elettricisti, delegazioni di diverse nazioni indigene, il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco, la Sexta zapatista, il Frente Popular Francisco Villa Independiente e tantissimi altri collettivi e organizzazioni.

Quì come altrove, tuttavia, la presenza più significativa e meno scontata è stata quella delle individualità non organizzate, che hanno partecipato in massa alla manifestazione, spesso portando con sé cartelli, magliette o striscioni fatti in casa per esprimere la propria rabbia nei confronti di governo e partiti istituzionali, tutti considerati ugualmente responsabili della situazione in cui versa il Paese e per questo accomunati nell’urlatissimo slogan “né PRI, né PAN né PRD!”

Anche nella capitale, infine, blocchi stradali, presidi e cortei sono all’ordine del giorno, tanto che è difficile tenerne il conto. Vanno segnalate, tuttavia, la manifestazione dei sindacati delle principali università metropolitane, che in qualche migliaio, hanno sfilato per il centro della città domenica 27 ottobre; e l’occupazione di TV e RADIO-UNAM (mezzi di comunicazione della più importante università pubblica del Paese) da parte di studenti universitari che hanno poi concesso i microfoni ai normalisti.

A livello internazionale, con centinaia iniziative in diveri Paesi del mondo e la presa di posizione di diversi interllettuali e scrittori, c’è stata un’ottima adesione, cosa che dà molto fastidio al governo di Peña Nieto, costruitosi negli anni l’immagine del gran modernizzatore con il sostegno dei media nazionali e internazionali che adesso si indignano (tristemente memorabili, in questo senso, sono state la copertina del Time, che lo raffigurava come il salvatore del Messico, e le cronache di Repubblica ai tempi del tuor messicano dell’ex presidente Letta, che esaltavano le riforme strutturali minimizzando la strutturale violenza che già si stava ampiamente verificando nel Paese).

D’altra parte, per quanto moderate e tardìe colpiscono il profilo di grande statista disegnato adosso al presidente anche le osservazioni di parlamento europeo, ONU, OEA (Organizzazione Stati Americani) e CIDH (Corte Interamericana dei Diritti Umani) che premono sul governo perché faccia luce sul caso; mentre Amnesty International ha definito come una pantomima le ricerche dei normalisti messe in campo dal governo e Human Right Watch ha puntato il dito sull’iniziale passività con cui Peña Nieto ha affrontato la situazione, agendo tardi – solo 6 giorni dopo la strage – e male – dicendo che si trattava di un problema locale.

Per quanto riguarda le indagini, le fosse clandestine ritrovate intorno al municipio di Iguala sono sempre di più: 11 secondo la PGR (Procura della Repubblica) e oltre 20 secondo l’UPOEG (Unión de Pueblos y Organizaciones del estado de Guerrero). Mentre i corpi ritrovati sarebbero ormai 38, 28 dei quali, sempre secondo le autorità, non sarebbero dei giovani scomparsi. Stando invece all’equipe argentino di antropologi forensi che rappresenta i familiari delle vittime, che hanno denunciato un iniziale sabotaggio della loro partecipazione da parte della PGR, ci vuole ancora tempo per avere i risultati delle prove del DNA.

In una conferenza stampa, tenutasi proprio durante le mobilitazioni del 22 ottobre per togliere i riflettori alla protesta, il procuratore Murillo Karam ha descritto la linea investigativa portata avanti dalle autorità, la quale responsabilizza della strage, il solo livello amministrativo locale, infiltrato dal cartello dei Guerreros Unidos, al soldo del quale lavoravano il sindaco Luis Abarca, sua moglie María de los Ángeles Pineda, e il capo della polizia locale Felipe Flores Vázquez.

Considerati i mandanti del massacro, i tre sono accusati di associazione a delinquere, omicidio e sequestro di persona – e non, si badi, di sparizione forzata, come invece dovrebbe essere, visto l’intervento delle forze di sicurezza dello stato. Secondo la ricostruzione degli investigatori, i normalisti sarebbero stati attaccati perché confusi con membri del gruppo criminale locale Los Rojos, rivale del clan dei Guerreros Unidos.

In base alle dichiarazioni da loro stessi rilasciate, alla sparizione forzata avrebbero partecipato sia gli agenti municipali di Iguala che quelli del vicino comune di Cocula, che poi avrebbero consegnato i ragazzi ai narcos. Nonostante ciò, il procuratore ha ribadito che i giovani vanno considerati come desaparecidos fino a quando non si avranno i risultati delle perizie in corso.

Per il momento, sono state arrestate 54 persone, 22 poliziotti municipali di Iguala, 14 di Colula e membri del clan. Secondo quanto sostenuto dalle autorità, alcuni dei detenuti avrebbero indicato i luoghi dove incontrare i normalisti scomparsi, i quali, sarebbero stati uccisi e bruciati nelle fosse comuni. Tra gli arrestati spicca il capo dei Guerreros Unidos, Sidronio Casarrubias Salgado che ha dichiarato di non aver ordinato l’assalto ma di non essersi neppure opposto; mentre un altro pezzo grosso del clan, Benjamín Mondragón, si è suicidato per evitare di essere catturato dalla polizia federale.

La versione delle autorità viene duramente contestata dal Comitato dei familiari di Azyotzinapa, che venerdì hanno rotto il dialogo con la PGR. L’avvocato dei normalisti, e presidente del Centro de Derechos Humanos de la Montaña Tlachinolla, Vidulfo Rosales Sierra, ha denunciato in una conferenza stampa l’intenzione del governo di colpevolizzare i normalisti legandoli alla criminalità. D’altra parte, la linea investigativa viene letta come il tentativo di ridurre a livello locale le reponsabilità del massacro, salvando così la faccia delle autorità statali e federali e riducendo il costo politico della strage in vista delle elezioni municipali e statali del 2015.

Secondo il comitato dei genitori, al contrario, i tre livelli di governo sono responsabili, per complicità diretta o omissione, di quella che viene ormai definita una strage di stato. Erano infatti note le connivenze del sindaco e di sua moglie con il gruppo narco in questione, come dimostrato dai documenti prodotti dal CISEN (servizio segreto) nei giorni successivi alla strage. Inoltre, Abarca era già stato accusato di 3 omicidi e, nonostante fosse stato indicato da un sopravvissuto, congresso statale, partiti e PGR hanno preferito non procedere nelle indagini.

Della stessa impunità ha goduto Aguirre (che si dice sia legato ai Beltran Leyva), il quale già salito agli onori della cronaca nel 1998 quando, govenatore interino del Guerrero, fu accusato di essere il mandante politico della mattanza del Charco, durante la quale la polizia sparò a bruciapelo su un gruppo di contadini uccidendone 11. I tre anni del suo ultimo mandato, hanno confermato la sua tendenza repressiva. Sono stati 13 infatti i dirigenti e gli attivisti di organizzazioni sociali brutalmente assassinati, mentre sono 9 i leader della Polizia Comunitaria detenuti ingiustamente e decine i desaparecidos. Nel frattempo, lo stato del Guerrero è diventato il principale produttore di eroina del Paese, nonché la rotta privilegiata dei traffici di droga e di persone. Tutto ciò, nel totale silenzio di istituzioni e partiti, che hanno preso posizione solo dopo l’esplosione dello scontento popolare.

Per rimanere al caso, come si spiega che la polizia statale, non sia immediatamete intervenuta sul luogo dei fatti ma abbia fatto passare tutta la notte del 27? Come è possibile che il XXVII Battaglione Infanteria, piazzato a soli due km da dove è avvenuta la strage non si siano accorti di nulla, e che alcuni soldati abbiano impedito ai normalisti di chiamare i soccorsi, minacciandoli e burlandosi della drammatica situazione che stavano vivendo? E perché, la PGR ha deciso di intervenire cosí tardi, quando la strage aveva tutti i crismi per essere considerata un caso di pertinenza federale? Tutte queste domande difficilmente troveranno una risposta, dato che la comoda linea investiativa scelta da Murillo Karam si guarda bene da abbordare questi punti oscuri (o forse fin troppo chiari).

Rispetto alle ricerche, per concludere, i genitori hanno denunciato il ritardo dell’azione governativa, l’indifferenza e lo scarso rispetto dimostrato ai familiari delle vittime, che non hanno ricevuto nessun tipo di sostegno dalle istituzioni, ed il mancato utilizzo delle tecnologie di punta come “geo-radar, raggi infrarossi e strumenti tecnologici che permettano di individuare la concentrazione di calcio o di altre sostanze chimiche nel terreno.”

Per tutto questo, venerdí scorso i familiari hanno rotto il dialogo con la PGR, chiedendo un incontro diretto con il presidente, il quale si è svolto oggi pomeriggio nella residenza ufficiale de Los Pinos, e si è concluso con un giudizio negativo da parte del comitato dei genitori, che ha definito insufficienti accordi raggiunti.

La risposta tutta mediatica di Peña Nieto alla crisi umanitaria e politica in atto nel Paese pare non sia bastata a frenare l’indignazione per questo atto di barbarie che ha scoperchiato una drammatica situazione che rappresenta purtroppo la norma in diverse zone del Messico. Basti quì dire che, secondo il quotidiano El Universal, dal 2006 al 2013 sono state ritrovate ben 1243 fosse comuni in tutto il Messico, mentre sono oltre 100 mila i morti e più di 25 mila i desaparecidos. Insomma, la strage di Iguala non è affatto un caso locale e isolato, ma è rappresentativo di ciò che soffre buona parte della popolazione messicana, e le mobilitazioni di questi giorni, che poterebbero segnare un cambio di fase e che continueranno, vista la densa agenda di mobilitazioni prodotta dalle assemblee interuniversitarie e dell’Asamblea Nacional Popular di questi giorni, che culmineranno in un’altra giornata globale di lotta il prossimo 5 novembre, vanno intese all’interno di questo contesto generale.

da Popoff

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