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Behind the bomb: Corea del Nord tra test nucleari e crisi globale

 

Iniziamo da un’analisi più approfondita dei fatti nella loro crudezza, depurata dalla disinformazione e dall’allarmismo alla ricerca dello scoop delle ultime ore.

 

Dal punto di vista tecnologico non c’è nessuna sorpresa per chi segue l’attualità del paese: erano settimane che diversi siti che fanno riferimento alla Difesa USA descrivevano grossi movimenti di uomini e mezzi nell’area di Punggye-ri, nella parte orientale della Corea del Nord, sito tradizionalmente utilizzato per i test nucleari sotterranei. Questo movimento nutrito di uomini e mezzi era dovuto al fatto che si stava scavando un nuovo tunnel per ospitare un test nucleare; non si può parlare dunque di una sorpresa totale. Non si tratta però per diverse ragioni di una bomba H.

 

Innanzitutto il sito è troppo piccolo per effettuare un tale esperimento, ce ne vorrebbe infatti uno molto più ampio per la detonazione. Inoltre, la Nord Corea è limitata per certi versi nel suo piano di armamento nucleare, sebbene abbia una tecnologia molto avanzata: per un tale esperimento è necessario un miscuglio di deuterio e litio, materiali di cui presumibilmente la Corea del Nord attualmente non dispone, e che quindi impedisce di dotarsi di quella che dal 1952 noi definiamo bomba all’idrogeno o bomba H. In più va detto come lo stesso movimento tellurico è stato troppo poco intenso, una magnitudo 5.1 è infatti molto inferiore a quanto ci si sarebbe dovuti aspettare in un caso del genere. Si è trattato – ma questo lo si potrà scoprire solo nelle prossime settimane – o di un test atomico “classico” (il quarto dal 2006), oppure di un passo intermedio: nell’uso di una bomba all’idrogeno infatti il processo può essere attivato anche con l’utilizzo di un isotopo dell’idrogeno, il trizio, di cui il regime potrebbe aver fatto uso.

 

Prima delle misurazioni dell’intensità dei gas radioattivi sprigionati nell’area però non potremo essere sicuri di nulla: dovremo attendere i risultati dell’utilizzo dei cosiddetti “aerei spia annusatori”, mandati da USA e Giappone per analizzare l’aria della regione teatro dell’esperimento (sempre che sia in grado di raccogliere i campioni). A mio avviso si tratta comunque di un “normale” test atomico, dato che i dati stessi sui kilotoni del test dell’altro ieri sono comparabili a quelli dell’ultimo test del 2013.

 

E allora quali sono gli interessi dietro alla bagarre di dichiarazioni a cui stiamo assistendo, se la realtà è quella della continuazione dello status quo?

 

Si sta cercando ovviamente di costruire immediatamente la narrazione della Corea del Nord come nemico assoluto della comunità internazionale, per questo se ne parla e si rimarca l’accaduto. La questione bomba all’idrogeno si/bomba all’idrogeno no è avvolta da una coltre di mistero, dato che lo stesso Kim Jong-un il mese scorso aveva dichiarato pubblicamente che la Corea si era dotata di una bomba all’idrogeno, e nel discorso di inizio anno aveva citato il passaggio del suo paese ad uno stadio successivo di deterrenza, senza citare la tipologia di arma in questione. Le ragioni principali di quanto successo sono a mio modo di vedere tre, ed è difficile dire però quale sia il fattore preminente per spiegare l’accaduto.

 

Il primo è la questione tecnologica, ovvero il fatto di dover necessariamente effettuare diversi test per arrivare poi a realizzare la bomba. La Corea ha necessità di effettuare certi test “di passaggio” per dotarsi dell’armamento di cui tutti stanno discutendo: c’è la necessità di arrivarci per stadi. Il secondo motivo è il fattore interno, non tanto relativo alla dimensione del consolidamento della posizione del leader di fronte alla popolazione e alle forze armate, tema scontato e abusato per quanto si parli di un paese basato sul concetto di mobilitazione di massa: piuttosto, per quanto possa sembrare una banalità, oggi 8 gennaio è il compleanno di Kim-Jong Un e di conseguenza si cerca di “far cadere” ricorrenze e iniziative politiche nello stesso momento per creare ancora più forza e celebrazione al culto del leader o della Repubblica Popolare.

 

Teniamo in conto che quando nel 2011 venne firmato il Leap Day Agreement, ovvero un accordo tra USA e Corea del Nord che fermava l’arricchimento dell’uranio e la sperimentazione missilistica in cambio di aiuti alimentari; due mesi dopo, però, i nordcoreani lanciarono un missile per festeggiare la ricorrenza del centesimo anniversario della nascita di Kim-Il Sung, facendo cosi naufragare il trattato.

 

La terza e ultima ragione è quella che riguarda il fatto che l’avvento di Kim-Jong Un ha portato con sé la strategia del “byungjin” che consiste nel portare avanti parallelamente il percorso di rilancio dell’economia interna senza rinunciare alle armi nucleari. Io ritengo che la dirigenza abbia voluto dimostrare internamente che dal punto di vista dello sviluppo nucleare si sia raggiunto un livello molto alto: si dà in pasto la notizia al paese della bomba all’idrogeno (lo dicono anche i tg del paese) per dire che ora invece l’attenzione si sposterà sulla riforma, sul progresso economico.

 

Ovviamente il paese è molto povero, ha necessario bisogno di aiuto esterno: nell’ultimo anno si è avuta una modesta crescita del PIL, e per quanto non si tratti assolutamente di alcun tipo di riforma radicale, potrebbero esserci dei cambiamenti nel prossimo futuro. E’ da considerare in questo quadro come, per la prima volta dal 1980, nel prossimo maggio si terrà il Congresso del Partito Coreano dei Lavoratori: molto probabilmente sarà qualcosa poco di più di un appuntamento formale, però è sicuramente un appuntamento atteso dove potrebbero essere discusse delle misure di rilancio dell’economia del paese. Di sicuro c’è che non si tratterà mai di riforme come quelle introdotte da Deng nella Cina post-maoista o sulla falsariga del doi-moi vietnamita: chi pensa questo è completamente fuori strada.

 

C’è poi ovviamente il fattore internazionale: le reazioni a un evento di questo tipo erano scontate. La Corea del Sud ha allertato la Difesa nazionale e si è rivolta alle Nazioni Unite per una ulteriore presa di posizione sanzionatoria; Abe in Giappone ha parlato di enorme minaccia alla sicurezza nazionale e così via. Il Consiglio di Sicurezza non farà altro che ratificare nuove sanzioni alla Corea del Nord: a me preme ricordare come il paese sia già sotto un regime sanzionatorio, sia di tipo collettivo che di singoli Stati come USA e Australia. Ci sarà un nuovo round di sanzioni che però non porterà, probabilmente, a nulla di buono, dato che non si scardinerà in alcun modo la pericolosità del paese – che continua da anni ad esprimersi nella forma dei test atomici o missilistici – o i privilegi della leadership, ma anzi provocheranno problemi solamente alla popolazione nordcoreana, contribuendo a provarla più di quanto già non lo sia.

 

I soliti commentatori poco informati che parlano della necessità di rivolgersi alla Cina per “mitigare” il comportamento coreano hanno sbagliato una volta di più, dato che l’approccio politico, militare e strategico della Corea del Nord tende a subire in scarsa misura l’influenza dei cinesi e dei suggerimenti che arrivano da Pechino, che non era neanche a conoscenza del test di cui è recente notizia. Sicuramente i cinesi sono piccati da quanto accaduto, dato che la notizia destabilizza la regione: una portavoce del ministero degli Esteri ha stigmatizzato il comportamento nordcoreano, e probabilmente anche cinesi e russi in questo caso dovranno accordasi nell’appoggio a nuove sanzioni. Sul piano bilaterale probabilmente diranno ai coreani di modificare il proprio atteggiamento, mentre davanti alla comunità internazionale rimarcheranno le motivazioni storico-politiche che hanno portato alla situazione attuale cercando di abbassare i toni e lenire le ferite provocate dalla mossa nordcoreana.

 

Cina e Corea del Nord, tuttavia, rimangono paesi con forti legami, con intensi interessi economici che vanno dalla volontà cinese di penetrare economicamente all’interno della parte settentrionale della DPRK per rifornirsi di materie prime e sfruttare il basso costo del lavoro di una manodopera molto specializzata come quella nordcoreana, per arrivare agli aiuti energetici e alimentari che la Cina offre alla Corea del Nord. L’interscambio economico è continuo e non può essere interrotto pena l’ulteriore crollo dell’economia nordcoreana e l’instabilità del regime, che potrebbe arrivare ad un’implosione, scenario non auspicabile dalla Cina.

 

Pechino anela al mantenimento dello status quo, dato che se la situazione attuale dovesse modificarsi si originerebbero diversi e molteplici problemi. Alcuni sono poco credibili, come ad esempio le difficoltà causate dal flusso di migranti verso la Cina che deriverebbe dall’instabilità politica: molti demografi in realtà sottostimano il problema rispetto alle previsioni più allarmistiche, ed è inoltre molto difficile che le truppe cinesi posizionate sempre al confine nei momenti di crisi diano il via libera a migliaia di persone in fuga. Alcuni molto più importanti riguardano il modo in cui dovrebbe esercitarsi il regime change, con le difficoltà per la Cina di controllare un cambiamento repentino (sudcoreani ed americani potrebbero avere molta voce in capitolo). I cinesi preferiscono ovviamente un vicino per quanto scomodo ed ingombrante come la Corea del Nord al confine piuttosto che avervi le truppe americane, per esempio; ma anche nel caso di regime change vogliono costruire una situazione dove avrebbero voce in capitolo, potere decisionale, margine di manovra.

 

In definitiva come possiamo legare alle dinamiche di potere globali quanto avvenuto, quale è il principale bersaglio di questo nuovo test?

 

Va sottolineato in conclusione che il test è rivolto a mio avviso principalmente agli USA. La Corea del Nord preferisce trattare di aspetti nucleari esclusivamente con Washington piuttosto che in sede multilaterale: agli USA chiedono il superamento dell’armistizio del 1953 per arrivare ad un nuovo trattato di pace e da quel punto aprire, eventualmente, i negoziati sulla de-nuclearizzazione. In questo quadro la politica di Obama di “pazienza strategica”, ovvero di attesa rispetto alle mosse nordcoreane, è una politica scriteriata, miope, assolutamente fallimentare dato che i nordcoreani non vanno isolati o marginalizzati, altrimenti questi saranno portati a nuovi atti come i test per accendere l’attenzione internazionale sul paese.

 

Il test è quindi rivolto agli Stati Uniti, per provare ad alimentare un cambiamento nelle politiche USA influenzando i discorsi di inizio anno di indirizzo delle rispettive politiche estere di Obama (USA) e Park (Corea del Sud). I nordcoreani vogliono inoltre provare ad inserirsi nel dibattito delle presidenziali USA del prossimo anno: dibattito che al momento è indirizzato però più su posizioni di tipo neoconservatore, che riflettono le volontà dei falchi di un maggiore interventismo (attaccando da destra le politiche di Obama) e che quindi non fanno presagire un particolare successo della strategia nordcoreana.

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