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Autunno Cinese: la protesta del “foglio bianco”

Riprendiamo dal sito Chuangcn, un contributo esterno al collettivo del sito che è stato pubblicato al fine di stimolare dibattito internazionale in lingua inglese sulle mobilitazioni contro la “0 Covid policy”, e non solo, che hanno caratterizzato l’autunno cinese. 

Come spesso accade in questi contesti, l’articolo da per scontato molti aspetti e fa riferimento ad episodi sconosciuti ad un lettore italiano, il che lo rende di difficile interpretazione in alcune sue parti. 

Tuttavia, pensiamo che la descrizione degli eventi sia puntuale e renda valida questa traduzione in lingua italiana per diffondere valutazioni e fatti che avvengono in un paese come la Cina, che non deve essere analizzato unicamente nella sua rilevanza geopolitica, ma che deve essere osservato nelle molteplici forze antagoniste che lo attraversano.

Introduzione all’articolo del collettivo Chuang.

L’articolo che abbiamo tradotto qui sotto è stato originariamente auto-pubblicato dall’autore, nome di penna Zuoyue (左玥), su “Matters” all’inizio di gennaio, dopo che una versione abbreviata era stata pubblicata dal sito web di notizie taiwanese Reporter報導者. L’autore spiega di essere un giovane attivista di sinistra della Cina continentale che sta studiando all’estero dopo essere stato coinvolto per quasi un decennio nell’organizzazione sul campo dei lavoratori migranti. Abbiamo scelto di tradurre questo articolo perché è uno dei primi sforzi della sinistra continentale di analizzare gli eventi di fine novembre 2022[1]. Inoltre, costituisce un buon complemento ai numerosi resoconti parziali già disponibili in inglese.[2]

Finora, il pezzo ha incontrato reazioni contrastanti da parte dei compagni in Cina. Gli amici di Chuang hanno notato che l’autore viveva già da tempo fuori dal Paese all’epoca dei fatti. Questa distanza fornisce un punto di vista più obiettivo, ma significa anche che le idee all’interno riflettono meno le discussioni che si sono svolte tra i partecipanti e gli osservatori sul posto, o il quadro delle reti online della sinistra liberale e delle comunità della diaspora cinese che costituiscono un tema così importante nell’articolo. In ogni caso, l’articolo funge da rompighiaccio per la necessaria discussione critica degli eventi.[3]

Questo è particolarmente importante in un momento in cui le persone più direttamente coinvolte sono ancora sotto custodia della polizia o in posizione defilata, e quindi non hanno potuto o hanno esitato a offrire una riflessione sistematica. Il pezzo è utile anche per chiarire la nostra prospettiva sugli eventi, che differisce da quella dell’autore per diversi aspetti. Ad esempio, l’autore usa il termine “movimento del Foglio bianco” in modo intercambiabile con “ondata di proteste contro la repressione” per descrivere il più ampio insieme di lotte che ha raggiunto il culmine nel novembre 2022. A prima vista, questa scelta sembra strana, dato che l’articolo prosegue distinguendo le proteste simboliche che coinvolgono pezzi di carta bianca (attribuite al “movimento nazionale degli abitanti delle città e degli studenti”) dalle altre due correnti principali (“proteste dei lavoratori” e “proteste di solidarietà all’estero”), e spiega persino come questa formulazione oscuri il ruolo svolto dai lavoratori: “Quando il foglio bianco viene citato come emblema dell’intero movimento […] le discussioni sul movimento nella sua interezza si orientano esclusivamente sulle proteste politiche degli urbani e degli studenti, o sulle campagne di solidarietà tenute nelle comunità cinesi d’oltremare”. 

Alla fine dell’articolo, tuttavia, l’uso persistente di “movimento del Foglio bianco” suggerisce un’ambiguità più profonda, insita nel quadro analitico dell’opera nel suo complesso. Se da un lato l’argomentazione delinea in modo utile una serie di tensioni chiave sorte all’interno dell’ondata di disordini e tenta di ragionare sui loro limiti, dall’altro sembra sottovalutare la profondità di queste contraddizioni e, potremmo dire, sopravvalutare le influenze reciproche tra i “tre movimenti”.

Così, l’idea di un “movimento” singolare compare ripetutamente accanto agli appelli alla coscienza della “gente comune” come una sorta di soggetto aspirazionale che il movimento non è stato in grado di coagulare. 

Allo stesso modo, l’importanza delle “proteste operaie” è collegata non a una comprensione marxiana del conflitto di classe, ma piuttosto a una teoria rawlsiana della “distribuzione sociale ingiusta”.

Infine, l’obiettivo posto a tutte queste lotte è quello di “superare l’apparato repressivo e la coscienza dell’egemonia statalista” attraverso la “politicizzazione”, suggerendo che una politica generalizzata è possibile solo se si definisce contro uno Stato mostruoso e solitario, mettendo un fantasma contro un altro. In breve, l’articolo sembra saldamente radicato all’interno di un paradigma appartenente alla sinistra liberale, nonostante ne percepisca i limiti, e tende quindi ad appiattire alcuni degli antagonismi più profondi evidenti nelle lotte, riducendoli a un’incapacità delle diverse frazioni di collegarsi adeguatamente e quindi di coagularsi in un movimento più generale. 

L’implicazione sembra essere che, se queste tre correnti fossero state in grado di interagire e discutere le loro tensioni, avrebbero potuto formare una sorta di programma che rappresentasse adeguatamente la volontà collettiva del popolo. La premessa dell’articolo esclude la possibilità che gli interessi di base dei manifestanti dell’élite a Shanghai fossero diametralmente opposti a quelli dei proletari in rivolta nei villaggi urbani.

Il pezzo va quindi compreso come un’analisi specificamente di sinistra degli eventi, vista da lontano e filtrata attraverso una serie di lenti specifiche. Una di queste lenti è la “nuova generazione di comunità della diaspora cinese d’oltremare”, che l’articolo descrive come particolarmente significativa nonostante il carattere piccolo e non dirompente di queste proteste di solidarietà, in contrasto con molte delle azioni dirette e persino con alcune delle proteste simboliche in Cina. 

Siamo d’accordo sul fatto che le proteste all’estero abbiano segnalato un cambiamento di coscienza in un determinato gruppo di giovani cinesi istruiti, ma sembrano aver svolto un ruolo più accessorio rispetto alla confluenza dei conflitti sociali reali.[4]

Un’altra di queste lenti riguarda il ritratto che l’articolo fa delle “proteste operaie”, che aggrega una varietà di conflitti che non solo erano disparati, ma a volte persino contraddittori nei loro obiettivi di fondo. In questo caso, non è solo l’emblema del “foglio bianco” a oscurare tali lotte, ma anche la caratterizzazione di tutto il malcontento come parte di un movimento più generale contro la chiusura [5]. La lotta della Foxconn di Zhengzhou, in particolare, viene sottolineata come “ispiratrice dell’intero movimento che ne è seguito”. Sebbene i video del conflitto abbiano sicuramente esercitato una certa influenza sia sulle proteste simboliche che su alcune azioni dirette, nessuno dei racconti dei partecipanti che abbiamo sentito o letto ha menzionato la Foxconn quando gli è stato chiesto di spiegare le proprie motivazioni,[6] e quando ci è stato chiesto esplicitamente di Foxconn, nessuno di

quelli con cui abbiamo parlato l’ha considerata più rilevante di altre innumerevoli lotte e disastri in qualche modo legati alle serrate dell’ultimo anno. A livello di obiettivi, gli operai della Foxconn si sono preoccupati soprattutto di questioni particolari legate alla sicurezza sul posto di lavoro (in ottobre) e alla questione dei bonus promessi che non si sono concretizzati (la questione più importante nella rivolta di novembre). In entrambi i casi, l’opposizione dei lavoratori alle misure pandemiche non è stata espressione di un sentimento generale contro la chiusura, ma deve invece essere collocata nel contesto delle forme di gestione “a ciclo chiuso” della fabbrica, che comportavano rischi specifici non sperimentati dalla popolazione generale.

Eli Friedman ha spiegato la parabola generale della lotta:

“Con il diffondersi delle infezioni all’interno della fabbrica, i lavoratori temevano ragionevolmente che rimanere in fabbrica aumentasse la loro esposizione alle malattie. La quarantena in loco era gestita in modo terribile e le persone che si ammalavano riferivano di non ricevere cure adeguate e nemmeno cibo a sufficienza”.[7]

Il pezzo tende anche a invocare la classica immagine di sinistra del lavoratore produttivo, escludendo una più ampia comprensione comunista delle lotte proletarie. In realtà, la maggior parte delle azioni proletarie di novembre e dei mesi precedenti non coinvolgevano affatto il luogo di lavoro, ma erano invece varie forme di azione diretta intraprese da proletari (occupati, disoccupati e autonomi) all’interno della sfera della riproduzione, assumendo il carattere più conflittuale all’interno dei villaggi urbani. Come sottolinea correttamente l’autore, queste proteste nei villaggi urbani si sono verificate molto prima dell’inizio del movimento del “foglio bianco” e sono continuate anche dopo il suo scioglimento. Ciononostante, questo articolo offre un eccellente rompighiaccio per la discussione di questi eventi, su cui speriamo di tornare in modo più dettagliato nei prossimi mesi. I punti di forza dell’articolo sono la narrazione informativa degli eventi chiave di novembre e dei loro retroscena, l’importante distinzione che fa tra le diverse correnti all’interno della più ampia ondata di disordini, l’identificazione delle tensioni esistenti tra di esse e l’espressione di un cambiamento più generale che ha iniziato a verificarsi all’interno dei circoli specifici degli abitanti delle città e degli studenti in Cina e dei giovani membri della diaspora cinese. Il documento funge quindi sia da analisi degli eventi che da oggetto di analisi in sé: una finestra sui disordini sociali della fine del 2022 e sulle discussioni politiche in corso tra una certa corrente di partecipanti e sostenitori d’oltreoceano. 

Perché le proteste del “Foglio bianco” erano composte da tre movimenti?  Comprendere le caratteristiche rivoluzionarie e i limiti dell’ondata di proteste contro la repressione [8]

Zuoyue

December 23, 2022

Poiché i governi locali hanno iniziato ovunque a denunciare e detenere i partecipanti, è ormai innegabile che l’ondata di proteste del “Foglio Bianco”, causata da tre anni di dure serrate, sia già giunta rapidamente al termine. Questa ondata di resistenza, considerata l’unica ondata di proteste a livello nazionale dal 1989, ha visto un’immediata alleanza spontanea tra lavoratori, cittadini e studenti trasversale a tutto il paese. Gli slogan politici hanno persino superato le linee di classe per ottenere un certo grado di accettazione generale. In quel momento, all’interno della società cinese, questa marea montante di mobilitazioni possedeva indubbiamente un carattere rivoluzionario, o potremmo almeno dire che metteva a nudo le questioni che da tempo si accumulavano all’interno della società e segnava così un cambiamento qualitativo, rielaborando completamente la nostra immagine delle proteste di massa nel Paese. Anche con la revoca delle serrate, attraverso le quali le richieste delle masse sono state apparentemente soddisfatte (nonostante la società sia sprofondata in un’altra forma di “disordine” a causa dell’estrema decisione del governo di “sdraiarsi”), non c’è motivo di credere che l’energia politica accumulata da questa ondata svanirà nel nulla come nei movimenti di massa del passato. Ma come si è dissolto questo movimento in un periodo di tempo così breve? 

A parte le consuete difficoltà poste dalla repressione governativa, come possiamo comprendere e riflettere sul carattere rivoluzionario e sui limiti di questa ondata di proteste? In qualità di attivista di lunga data all’interno delle ONG nazionali e delle organizzazioni di base, cercherò qui di analzzare in profondità i tre movimenti paralleli che esistevano all’interno della più ampia ondata di lotte, chiarendo i loro punti di interazione e tensione e offrendo alcune riflessioni pratiche sul movimento. 

Perché si è verificata l’ondata di proteste contro il blocco? 

Sebbene le proteste del “Foglio Bianco” siano state innescate dal tragico incendio di Urümqi (Xinjiang), guardando alla natura del movimento, non possiamo ignorare né la sistematica catastrofe umanitaria né la crisi politico-economica causata da tre anni di “Zero-COVID”. 

Come hanno commentato molti netizen (idioma per utilizzatore assiduo di internet come mezzo di comunicazione), sembra che la Zero-COVID sia diventata la “politica nazionale fondamentale” della nuova generazione (基本国策).[9]

In ogni aspetto, da quello economico a quello quotidiano, passando per l’assistenza sanitaria, la cultura e la salute mentale, così come le esigenze delle persone sono state costrette a conformarsi a questa missione politica, senza alcun margine di compromesso o consultazione. Poiché la variante Omicron era altamente trasmissibile e difficile da controllare, la prima metà del 2022 ha visto più di 400 milioni di persone in tutto il Paese costrette a un blocco stagnante, particolarmente evidente a Shanghai e nelle regioni di confine come Xinjiang, Tibet e Yunnan.[10] I vari disastri secondari e le crisi sia economiche sia politiche causate dalle serrate sono diventati gli elementi centrali che hanno acceso le proteste.

Disastri secondari

Il 24 novembre, le misure di chiusura hanno causato la morte di almeno dieci persone (tutte uigure) in un incendio a Urümqi. Quella sera, il telegiornale ha trasmesso una dichiarazione dei funzionari che criticavano le vittime, affermando che “alcuni residenti hanno mostrato una scarsa capacità di proteggersi e salvarsi”. Alla fine, questa si è rivelata la conflagrazione finale che ha acceso la rabbia delle masse. Ma tali fuochi erano stati continuamente alimentati dalla serrata di Wuhan in poi, già sperimentati nelle serrate di Nanchino e Yangzhou nel 2021, e di nuovo visibili nella noncuranza per i disperati suicidi dei residenti durante le serrate di Shanghai all’inizio del 2022, per non parlare della tragedia delle innumerevoli persone morte per l’impossibilità di accedere alle cure mediche durante un malore improvviso. 

Il 2022 è stato un anno di traumi collettivi in tutto il Paese: Il 18 settembre, 27 persone sono morte a causa del ribaltamento di un autobus nel Guizhou; il 1° novembre, un bambino di 3 anni a Lanzhou è morto per avvelenamento da monossido di carbonio dopo che i protocolli di isolamento hanno ostacolato i primi soccorritori; l’11 novembre, dopo che l’Università di Shenzhen era stata chiusa per un mese, disposizioni irragionevoli hanno spinto un’inserviente del campus a uccidersi.

Il 18 novembre, una lavoratrice migrante di Guangzhou si è impiccata dopo essere risultata positiva al test COVID-19 ed essere stata mandata in isolamento in un ospedale di fortuna; il 21 novembre, un incendio in una fabbrica di Anyang, nello Henan, ha causato la morte di 38 persone (la maggior parte delle quali lavoratrici)….[11] È quasi impossibile per noi registrare tutte le tragedie umanitarie subite durante le serrate, poiché ogni giorno ne emergevano sempre di più in tutte le parti del Paese: si trattava di ferite collettive subite dall’intera popolazione, di cui tutti erano testimoni. 

Come recitava il cartello di un manifestante della Northwest University of Political Science and Law:

“Sono io che ero sull’autobus ribaltato, sono io che mi è stato rifiutato il servizio medico, sono io che sono crollato e saltato giù dal tetto, sono io che sono rimasto intrappolato nell’incendio. E anche se non sono stato io, sarò il prossimo”.

Crisi economiche e di sussistenza

Dal punto di vista dello Stato, gli ultimi tre anni di blocco sembrano aver fatto un buon lavoro per ridurre le perturbazioni della vita economica causate dal coronavirus. Ma è evidente che non è esattamente così: nel 2022 il proliferare di disoccupazione, licenziamenti e controversie finanziarie si è diffuso a tal punto che i consumi sono rimasti complessivamente deboli, segnando una crisi incipiente per il sostentamento delle persone. 

Da un lato, le principali forme di aiuto finanziario offerte dal governo durante la pandemia si sono concentrate sulla riduzione delle tasse e sui sussidi per le assicurazioni sociali alle aziende, mentre i lavoratori non hanno ricevuto quasi alcuna assistenza economica dal governo, costretti a fare affidamento solo su se stessi.[12] D’altra parte, la prolungata imprevedibilità e la repentinità delle chiusure hanno fatto sì che i redditi dei lavoratori dei servizi e dell’industria fossero instabili. 

Nel frattempo, il numero di disoccupati è stato soggetto ad aumenti improvvisi e una parte dei lavoratori è stata costretta a entrare nell’economia informale, assumendo lavori in settori come la consegna di generi alimentari.[13]

Sia le chiusure a compartimenti stagni di lunga durata sia l’evoluzione dello sfruttamento algoritmico da parte del capitale hanno impedito ai lavoratori di ottenere un reddito stabile. Sebbene sia purtroppo difficile trovare dati precisi sulla disoccupazione, due fonti di dati pubblici forniscono qualche indizio sull’urgenza della situazione. Uno è l’improvviso aumento del tasso di disoccupazione giovanile e del tasso di neolaureati che non riescono a trovare lavoro. Nel luglio del 2022, i dati ufficiali del governo mostravano che il tasso di disoccupazione tra le persone urbane di età compresa tra i 16 e i 24 anni era pari al 19,9%, mentre i media riportavano che a marzo 2022, solo il 23,61% dei neolaureati a livello nazionale aveva trovato lavoro. 

Inoltre, l’obiettivo iniziale del governo di crescita del PIL del 5,5% non è stato raggiunto, con una crescita nei primi tre trimestri di appena il 3% e nuovi focolai di coronavirus che hanno reso impossibile una crescita del PIL [superiore] nel quarto trimestre.[14]

Per molti lavoratori, la disoccupazione o la perdita di reddito sono stati l’inevitabile costo economico di queste politiche di blocco. Così, anche prima dello scoppio delle proteste del “Foglio Bianco” del 26-27 novembre, per almeno un semestre prima di novembre, le proteste contro l’isolamento erano continuamente scoppiate nei villaggi urbani e nelle comunità di lavoratori migranti in generale, con i migranti che abbattevano le recinzioni di quarantena e ponevano le “richieste di sostentamento” al centro di tali lotte. Ciò è stato particolarmente evidente in una protesta del 14 novembre da parte di un migliaio di lavoratori migranti nel villaggio di Kangle a Guangzhou e nelle proteste su larga scala presso lo stabilimento Foxconn di Zhengzhou del 22 e 23 novembre. L’ondata di proteste nei villaggi urbani sarebbe continuata anche dopo che le proteste del “Foglio Bianco” erano state respinte. 

Stanchezza da pandemia diffusa e crescente mancanza di fiducia nel governo. 

La crisi di legittimità della governance sociale in Cina si era già manifestata prima della pandemia. Negli ultimi anni, la fragilità dello sviluppo economico e l’incertezza della mobilità verso l’alto avevano già iniziato a mettere i lavoratori (sia operai sia impiegati) di fronte all’urgenza della sopravvivenza. 

I discorsi popolari emergenti, che vanno dalla “schiavitù aziendale” (社畜) all'”involuzione” (内卷), dallo “sdraiarsi” (躺平) alla “runologia” (润学), o anche parlare di “generazione finale” (最后⼀代), tutti rappresentano la resistenza passiva di una nuova generazione di giovani di fronte all’estrema disuguaglianza della distribuzione nel capitalismo, e ogni anno il nuovo vocabolario culturale rappresenta semplicemente il costante progresso della disperazione. 

Queste sfaccettate crisi sociali non hanno ricevuto alcuna risposta ufficiale. Al contrario, sono state uniformemente respinte o stigmatizzate come “influenza di potenze straniere” e quindi soppresse rifiutando il dialogo e la demonizzazione, rendendo ancora più chiaro alla popolazione il carattere dittatoriale dell’autorità pubblica. 

Ciò è emerso chiaramente in una serie di avvenimenti degli ultimi anni: la morte nella scuola media di Chengdu, il caso #Metoo di Xianzi, la donna incatenata della contea di Feng e la successiva incarcerazione del blogger [Wuyi] che stavaindagando sul caso, e l’attacco al ristorante di Tangshan. Inoltre, il risveglio politico della gente comune, iniziato con l’abolizione dei limiti di mandato dalla Costituzione nel 2018, è stato veramente acceso dall’incidente del Sitong Bridge, alla vigilia del 20° Congresso del Partito. 

Sebbene le prove della coraggiosa e solitaria protesta siano state cancellate dal cyberspazio in un batter d’occhio el’individuo che ha srotolato lo striscione sia stato poco dopo fatto sparire, il grido diffuso del suo slogan “Non voglio un test dell’acido nucleico, voglio la libertà”[15] durante le proteste per il “Foglio Bianco” ha chiarito che questa coscienza politica di opposizione si era comunque silenziosamente radicata nelle menti della gente.

Questo nuovo quadro di rivolta politica popolare era già stato delineato prima della pandemia, con tutti i danni secondari causati dalle modalità disumane dell’isolamento e dalla conseguente crisi economica di sostentamento che non hanno fatto altro che intensificare la mancanza di fiducia del pubblico nell’intero sistema. Inoltre, non solo l’atteso allentamento delle restrizioni sulla pandemia sulla scia del Congresso del Partito non si è verificato, ma le restrizioni sono state gradualmente inasprite in tutto il Paese, vanificando le speranze della popolazione. 

Le nuove “20 misure” rilasciate dal Consiglio di Stato hanno incarnato la tensione tra il blocco e l’apertura, dando origine a numerosi conflitti tra le politiche locali e centrali che hanno preannunciato la successiva ondata di proteste contro il blocco.

Perché “tre movimenti”? 

L’incendio di Urümqi del 24 novembre ha scatenato proteste locali su larga scala contro la chiusura della città il giorno successivo. Ben presto, il dolore e l’indignazione per l’evento hanno iniziato a diffondersi ampiamente in rete e, nel pomeriggio del 26 novembre, le veglie in cui i manifestanti tenevano fogli di carta bianca si sono diffuse in un campus universitario di Nanchino e, in serata, a Urumqi Street a Shanghai, scatenando l’ondata di proteste del “Foglio Bianco” che si sono presto diffuse in tutto il Paese e anche tra la diaspora cinese dispera nel mondo. 

Per un breve periodo durante il fine settimana, gli studenti di oltre 200 università situate in tutto il Paese hanno protestato nei campus, i cittadini sono scesi in strada in più di una dozzina di grandi città e, poco dopo, le comunità cinesi sparse in centinaia di città in tutto il mondo hanno organizzato migliaia di proteste in solidarietà, facendo eco agli appelli dei manifestanti sul continente. 

Questa marea di proteste, che ha preso il foglio bianco come emblema, è passata ben presto dalla semplice “resistenza alle serrate” all’avanzamento di richieste politiche ancora più estreme.

In questo modo, è apparso come un movimento politico coerente e di portata nazionale che abbracciava regioni e strati sociali. In realtà, si trattava di una miscela di tre movimenti paralleli: in primo luogo, le lotte della classe operaia; in secondo luogo, le lotte degli abitanti delle città, degli studenti e dei professionisti; in terzo luogo, le campagne che coinvolgevano le comunità della diaspora cinese d’oltremare di nuova generazione. 

Tuttavia, disaggregando questi tre movimenti, il mio intento non è quello di sottolinearne l’indipendenza, ma proprio di evidenziare i modi in cui si sono mescolati reciprocamente. 

Nel frattempo, la tensione della loro coesistenza parallela può aiutarci a comprendere sia la complessità sia i limiti della recente ondata di proteste. 

Quando il foglio bianco viene citato come emblema dell’intero movimento (sia all’interno della Cina che all’estero) le discussioni sul movimento nel suo complesso si orientano esclusivamente sulle proteste politiche degli abitanti delle città e degli studenti, o sulle campagne di solidarietà condotte nelle comunità cinesi d’oltremare, ma questa narrazione ignora completamente le lotte che si svolgono tra i lavoratori migranti e nei villaggi urbani. 

Perché il ruolo della resistenza della classe operaia dovrebbe essere preso sul serio? Non possiamo ignorare l’esperienza di lotta dei lavoratori della Foxconn, che ha ispirato l’intero movimento successivo. Alla fine di ottobre, la perdita di controllo su contagio esteso da coronavirus nello stabilimento Foxconn di Zhengzhou ha portato i lavoratori a scalare le mura della fabbrica in una “grande fuga”. In seguito, a fine novembre, il mancato pagamento da parte dell’azienda dei bonus di firma promessi per i nuovi assunti ha scatenato violenti scontri con la direzione della fabbrica e la polizia antisommossa, coinvolgendo decine di migliaia di lavoratori. 

In contrasto con la perdurante mancanza di visibilità di cui soffrono le azioni dei lavoratori in difesa dei diritti,[16] innumerevoli video e immagini che ritraggono questi due conflitti sono stati diffusi a una velocità fenomenale su piattaforme come Douyin e Kuaishou, con l’immagine dei lavoratori che resistono alle serrate violente e allo sfruttamento capitalistico che diventa percezione comune poiché corruzione, confusione e trattamenti disumani sono tutte esperienze collettive. 

In un certo senso, l’azione diretta degli operai della Foxconn ha fornito una risorsa importante per la successiva ondata di proteste del “Foglio Bianco”: gli slogan non erano più solo ascoltati online, ma trovavano voce nelle strade. 

In effetti, le proteste dei lavoratori contro le serrate sono state una sorta di filo conduttore per tutto il 2022. Secondo le statistiche incomplete raccolte dal “China Dissent Monitor”, nel periodo compreso tra giugno e l’avvento del Movimento del Foglio Bianco[17] ci sono già state quasi 80 proteste contro il blocco, la maggior parte delle quali si è svolta nei villaggi urbani o in altri quartieri popolari. 

I lavoratori sono stati il gruppo più sensibile alla pandemia, e sia la minaccia immateriale del virus sia la crisi materiale dei loro mezzi di sostentamento sono all’origine della loro protesta. 

Questo è anche il motivo per cui in molti luoghi le manifestazioni dei lavoratori sono continuate anche dopo che il Movimento del “Foglio Bianco” è stato respinto.[18] 

L’incendio dello Xinjiang è stato chiaramente la goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendo la rabbia della gente oltre la soglia. La loro indignazione diventa poi pubblicamente visibile nelle veglie organizzate da cittadini, professionisti e studenti nelle strade delle grandi città e nei campus universitari. Di fatto, questa ondata di resistenza simultanea e spontanea offre una rappresentazione sistematica dei problemi politici del blocco nella sua interezza: il trauma collettivo della pandemia e dei suoi disastri secondari, il dilemma politico-economico strutturale posto dalla crisi dei mezzi di sussistenza delle persone, la frattura aperta dalle proteste dei lavoratori contro il blocco, le aspettative deluse seguite al Congresso del Partito e le tensioni che ne sono derivate, e il discorso politicizzato fornito dalla protesta del ponte Sitong. Nel complesso, queste sono diventate le risorse cruciali mobilitate dai partecipanti all’ondata di proteste che ha attraversato le città e i campus universitari. 

È stato proprio questo il contesto in cui il movimento di solidarietà tra le nuove generazioni della diaspora cinese è entrato in una nuova fase. 

Gli studenti, che costituiscono la maggior parte di queste nuove comunità cinesi d’oltremare, negli ultimi anni hanno subito un processo di rapida radicalizzazione. L’abrogazione dei limiti di mandato nel 2018 ha dato vita a una campagna di manifesti di protesta su piccola scala “#NotMyPresident” nei campus universitari d’oltremare. In seguito, la protesta del ponte Sitong alla vigilia del 20° Congresso del Partito ha generato un’altra ondata di manifesti di protesta nei campus all’estero. 

La portata di questa ondata è stata enorme, con slogan sul ponte Sitong apparentemente visibili in ogni grande università del mondo. Lo scoppio del Movimento per il “Foglio Bianco” nei principali centri urbani cinesi ha poi innescato una mobilitazione su scala altrettanto ampia all’interno di queste comunità cinesi d’oltremare, che hanno spontaneamente organizzato o partecipato a proteste locali, in prima persona. 

Questo tipo di campagna di solidarietà all’estero non si era mai vista su una scala simile nei tre decenni trascorsi dal 1989.All’interno di questa ondata di proteste, le campagne di solidarietà all’estero e le proteste interne del “Foglio Bianco” si sono fatte eco l’una con l’altra, ma le diverse composizioni e agende di questi due movimenti, e le loro tensioni riguardo alle richieste politiche, hanno inevitabilmente determinato i diversi ruoli che ciascuno di essi avrebbe giocato all’internodella più ampia ondata di opposizione alla Cina. Ecco perché qui distinguiamo il rapporto tra i due. 

Allo stesso modo, potremmo suddividere ulteriormente le proteste nazionali contro la serrata in quelle in cui i lavoratori costituivano il corpo principale e quelle in cui gli urbani o gli studenti costituivano il corpo principale. Questo non per compartimentare il rapporto tra i due, ma per ricordare ai partecipanti le risorse essenziali e le fonti di ispirazione che le mobilitazioni di lunga data tra i lavoratori hanno fornito alle lotte popolari in Cina. La disuguaglianza sociale radicata nel sistema

economico è sempre stata la forza trainante di qualsiasi movimento. Inoltre, in questa ondata di proteste, queste due correnti di lotta non sono state completamente separate nel tempo o nello spazio. Un esempio importante di ciò si rintraccia nel modo in cui, durante il pomeriggio e la sera del 27 novembre, decine di migliaia di persone a Wuhan, tra cui lavoratori migranti e cittadini, si sono riunite per abbattere le recinzioni poste lungo le strade.

Il carattere rivoluzionario dell’ondata di proteste contro la reclusione 

Ora che l’ondata più ampia di proteste contro il blocco si è placata dopo l’improvviso “tangentismo” del governo.tangping-stile Tangping”, le autorità hanno seguito il loro solito schema e hanno iniziato a fare i conti con i partecipanti alle manifestazioni dopo l’autunno. Considerando che è scomparso in un attimo dopo aver raggiunto il suo apice senza cambiare in alcun modo la struttura politica, non credo sia necessario elevare questo movimento a uno status “rivoluzionario”, anche se tali narrazioni lo hanno aiutato a diffondersi a livello internazionale. Ma è necessario discutere più a fondo il suo carattere rivoluzionario o forse progressista. Molto inchiostro è stato versato sulla lunga tradizione radicale della resistenza della classe operaia cinese. Dall’ondata di difesa collettiva dei diritti[19] tra i milioni di lavoratori statali licenziati negli anni ’90, agli scioperi selvaggi tra i “contadini-lavoratori” migranti che lottano per [l’istituzione e l’applicazione di] diritti legittimi nell’ambito dell’economia di mercato a partire dai primi anni 2000 (soprattutto intorno al 2010), è diventato comune per i lavoratori sigillare i cancelli delle fabbriche, marciare per le strade, bloccare le autostrade e così via. La condizione di emarginazione dei lavoratori e la percezione particolarmente sensibile e la repressione energica da parte dello Stato del movimento operaio[20] si sono combinati per nascondere tale resistenza alla vista della popolazione in generale per molti anni. Questa volta, però, la ribellione dei lavoratori della Foxconn ha risuonato in tutta la società cinese, fornendo la materia prima per le proteste del Libro Bianco e dimostrando ancora una volta che i futuri movimenti di opposizione cinesi devono considerare il movimento operaio come una componente fondamentale. Non è che dal 1989 non esistano movimenti composti principalmente da cittadini e studenti, ma la politicizzazione espressa collettivamente nelle proteste contro il blocco ha rivelato un orizzonte completamente nuovo. In precedenza, la maggior parte delle lotte urbane consisteva in azioni collettive incentrate su questioni specifiche, come le manifestazioni ambientaliste contro le fabbriche di paraxilene a Xiamen e Maoming nel 2007 e nel 2014, la difesa collettiva dei diritti da parte dei genitori che chiedevano un'”educazione equa” a Shenzhen e Kunshan nel 2016, le proteste per la conservazione della cultura per “sostenere il cantonese” a Guangzhou nel 2010, o le piccole e insignificanti lotte di individui sparsi del Movimento democratico e degli ambienti di difesa dei diritti. Nelle proteste per il Libro Bianco, la maggior parte delle richieste dirette dei partecipanti era ancora incentrata sull’opposizione alle rigide misure di chiusura, ma gli slogan politici che emergevano dalla folla – “abbasso Xi Jinping”, “libertà di stampa”, “libertà di parola” – risuonavano tra gli altri partecipanti e suscitavano applausi. Le proteste del ponte Sitong possono essere state la scintilla che ha dato vita a questi sloga politici, ma non sono state affatto l’origine di questo cambiamento qualitativo. Già diversi anni fa (prima della pandemia) si poteva notare nei discorsi online che i gruppi della classe media o istruiti stavano diventando sempre più disperati rispetto alle prospettive di mobilità verso l’alto e all’accumulo di ricchezza, visibili in discorsi che andavano dalla “schiavitù aziendale” alla “piattezza” alla “runologia”, tutti rivelatori di una sempre maggiore perdita di fiducia nel sistema politico-economico, al punto che lo Stato trovava necessario impiegare il suo apparato di propaganda nella denuncia di tale “spazzatura” anticapitalista. In passato, tuttavia, queste frustrazioni non si erano mai trasformate in atti di resistenza. Le proteste del Libro Bianco nelle città hanno quindi confermato che è avvenuto un cambiamento qualitativo di natura rivoluzionaria, almeno in una certa misura. Al momento non possiamo necessariamente prevedere come si organizzeranno o svilupperanno i futuri movimenti di

massa in Cina, ma questo ha almeno aperto un nuovo immaginario politicizzato, ribaltando completamente i modelli di mobilitazione delle precedenti lotte urbane incentrate sui difensori dei diritti e su richieste isolate e depoliticizzate. Le azioni di solidarietà in centinaia di città e università di tutto il mondo hanno superato il modello di protesta tradizionale del Movimento democratico dopo l’89, fatto di campagne di tipo partitico e di lobbying incentrate sui leader politici, formando invece un nuovo tipo di politica di opposizione con al centro gli studenti della Cina continentale che vivono

all’estero. In passato, il tradizionale Movimento democratico cinese d’oltremare è stato oggetto di severe denunce. Questo tipo di difesa politica – dominata dai leader del Movimento democratico d’oltremare e che enfatizza posizioni direttamente oppositive, tutte fortemente infuse di tendenze patriarcali e conservatrici – è del tutto incapace di unire e organizzare l’ampia massa della diaspora cinese, per non parlare del collegamento con le questioni sociali interne e con le collettività interclassiste – spingendo persino le giovani generazioni a starne intenzionalmente alla larga. Ma quando si è trattato di sostenere all’estero le proteste per il Libro Bianco, il nucleo di organizzatori che ha fissato l’agenda e mobilitato i partecipanti era costituito principalmente da giovani membri della diaspora che hanno cercato di sostenere il movimento in Cina e di partecipare attivamente al dialogo con varie organizzazioni della società civile d’oltremare per amplificare l’impatto e il carattere

progressista delle proteste di solidarietà. Inoltre, in molti luoghi (come New York, Londra, Toronto e Vancouver) le proteste di solidarietà non solo hanno mobilitato una grande quantità di slogan e cartelli che affrontavano diverse questioni riguardanti le donne, le minoranze sessuali, i lavoratori, lo

Xinjiang, ecc. ma il modo in cui le manifestazioni sono state organizzate ha anche rafforzato il rispetto per i diversi gruppi e le diverse questioni – particolarmente evidente nell’attenzione data ai campi di concentramento nello Xinjiang. Dopo che il movimento è scoppiato in diverse città, gli studenti cinesi d’oltremare hanno presentato quattro richieste relativamente moderate, basate sulle proteste nazionali, nel tentativo di dare risalto al movimento:

1) Permettere manifestazioni aperte di lutto,

2) Porre fine alla politica “Zero-COVID”,

3)Rilasciare i difensori dei diritti,

4) Proteggere i diritti civili.

Queste richieste moderate cercavano di ampliare lo spazio in cui i manifestanti in Cina potevano tranquillamente impegnarsi nella lotta, quindi non avevano un carattere fortemente politicizzato, a dimostrazione del fatto che le proteste di solidarietà all’estero erano fondamentalmente orientate al movimento interno. Tuttavia, man mano che le discussioni tra i gruppi cinesi d’oltremare aumentavano il livello di istruzione dei partecipanti sulla questione dello Xinjiang, la situazione e le voci degli uiguri – in quanto più colpiti dall’incendio di .rümchi, punto di partenza del movimento – hanno iniziato a essere evidenziate nelle manifestazioni, così i gruppi di manifestanti d’oltremare hanno aggiunto una quinta richiesta alla lista: “Porre fine alle persecuzioni razziali” o “Chiudere i campi di concentramento nello Xinjiang”. Sebbene per il momento questa serie di nuove pratiche progressiste non sia in grado di rappresentare la totalità del movimento di solidarietà d’oltremare, tali mobilitazioni e proposte progressiste legate a questioni interne alla Cina stanno chiaramente dando forma a una nuova politica di opposizione tra la diaspora. I limiti dell’ondata di proteste contro la reclusione Tornando alle nostre domande principali: Come dobbiamo comprendere e rispondere ai

limiti di questa ondata di proteste anti-carcerazione e come dobbiamo considerare la sua rapida dissoluzione? Questo è anche il motivo per cui dobbiamo intenderlo come diviso in tre movimenti. Anche se era iniziato come un movimento interclassista e interregionale con rivendicazioni comuni

in opposizione alle serrate, al momento dell’esplosione il suo successivo sviluppo e la sua mobilitazione si sono scissi in tre modalità completamente diverse, e questa è stata proprio la fonte della sua situazione.

Nel corso del suo successivo sviluppo, il movimento degli abitanti e degli studenti delle piazze e delle università ha sostanzialmente smesso di creare legami con le rivolte dei quartieri popolari. Con questo non si vuole negare il valore della politicizzazione o della radicalizzazione dei primi, ma piuttosto sottolineare come questa separazione abbia dimostrato la totale mancanza di un’infrastruttura efficace per superare i confini tra gruppi e strati sociali all’interno dei movimenti popolari della Cina contemporanea nel loro complesso.

Questa ondata di proteste ha mostrato un aspetto rivoluzionario delle nuove rivolte popolari cinesi, ma non è riuscita a fornire una soluzione sostanziale per la frammentazione e l’isolamento di lunga data della società civile nel suo complesso. Dal 2013, la società civile e le ONG hanno subito perdite sempre più pesanti, con la maggior parte delle loro reti sociali ormai disintegrate, mentre l’intero apparato repressivo è stato continuamente migliorato e rafforzato. Anche se l’attuale crisi sociale continua e si aggrava, non esistono infrastrutture per il dialogo interattivo o la mobilitazione politica tra i gruppi. Nelle lotte locali reciprocamente indipendenti, i gruppi possono ancora essere in grado di assorbire risorse di movimento l’uno dall’altro, ma senza dialogo tra i gruppi o anche al loro interno, e senza meccanismi interattivi di coordinamento – soprattutto se non c’è interazione tra gli urbani istruiti e la classe operaia – non c’è modo per ciascuno di fare eco all’altro o di essere coinvolto nel dialogo politico come forza organizzativa sostenibile. Pertanto, quando le autorità impiegano apparati repressivi maturi e altamente mirati, il movimento nel suo complesso non può aspettarsi di sopravvivere a lungo. La mancanza di infrastrutture politiche e di reti sociali non è un problema emerso solo di recente in questa ondata di proteste. Ma se speriamo che in futuro si possa andare avanti nel nuovo panorama politico aperto da questo movimento, è necessario che tutti i partecipanti affrontino e riflettano seriamente sulla situazione delle infrastrutture della società civile e cerchino di costruire reti interne per il coordinamento e il dialogo tra gli strati sociali, aprendo anche nuove pratiche di solidarietà all’estero; altrimenti, anche se in Cina non mancheranno mai le proteste, sarà difficile che la società si coalizzi in movimenti capaci di trasformare l’epoca. Nei prossimi movimenti politicizzati, quindi, l’attenzione deve essere rivolta al problema della costruzione di infrastrutture della società civile: come costruire reti sociali e un sistema di dialogo/coordinamento tra gli strati sociali all’interno della società civile nazionale che non sia più incentrata sulle ONG (che sono diventate gravemente represse e limitate). L’enfasi posta da questo articolo sull’importanza della mobilitazione della classe operaia non deriva da velleitarie considerazioni unilaterali di moralismo o tattica, ma dalla considerazione della storia della resistenza radicale dei lavoratori migranti cinesi e del sottostante sistema capitalistico di iniqua distribuzione sociale che essa illumina. Senza un’attenzione alle questioni legate ai mezzi di sussistenza, alla mobilitazione e alle alleanze della classe operaia, sarà difficile per qualsiasi rivolta cinese superare l’apparato repressivo e la coscienza di egemonia statalista che si è sempre più consolidata, e quindi formare un movimento aggregato efficace. Inoltre, il lavoro organizzativo di sostegno e rafforzamento della nuova generazione della diaspora cinese diventerà il fulcro delle future mobilitazioni di solidarietà all’estero. Sebbene questo movimento di solidarietà all’estero si sia svincolato dal modello tradizionale di mobilitazione e advocacy del Movimento democratico, aprendo nuove direzioni per l’esplorazione progressista, il problema rimane: Le nuove comunità della diaspora incentrate sugli studenti internazionali cinesi non hanno esperienza di vita in Cina e hanno pochi legami con i gruppi del movimento. Nel frattempo, ci sono chiare tensioni politiche tra la situazione in Cina, da un lato, e i paradigmi di mobilitazione e i quadri discorsivi d’oltremare, dall’altro. Rimangono questioni spinose su come queste comunità d’oltremare dovrebbero definirsi in relazione alle lotte in Cina. Questo è stato uno dei motivi principali per cui il Movimento democratico d’oltremare della generazione del 1989 si è sempre più separato dai movimenti nazionali. Soprattutto nell’attuale contesto internazionale di contrapposizione tra la Cina e le potenti nazioni occidentali, uno dei principali problemi che queste nuove comunità d’oltremare si trovano ad affrontare è come diminuire la loro dipendenza dai partiti politici stranieri ed evitare modelli di advocacy dall’alto verso il basso, fornendo allo stesso tempo un sufficiente empowerment di base ai gruppi cinesi sia in Cina che all’estero. Al momento è difficile stabilire come dovrebbe svilupparsi un movimento di solidarietà all’estero veramente efficace, ma almeno questa ondata di proteste ha sollevato un’altra nuova questione: In che modo le comunità d’oltremare dovrebbero costruire movimenti di solidarietà composti dalla nuova generazione di attivisti cinesi progressisti, incentrati su questioni interne alla Cina e che enfatizzino lo sviluppo di relazioni sia con i movimenti in Cina sia con i gruppi della società civile all’estero?

Note:

[1] Un’altra analisi della sinistra continentale di questi eventi degna di nota è “Novembre: Anteprima di una rivoluzione” (11 ⽉,”⾰命 “的预演) di Wuyun (乌云), pubblicato per la prima volta sul canale Telegram “Liberation News” (解放报) all’inizio di dicembre. Come Zuoyue, Wuyun classifica le lotte di novembre in tre tipi, ma utilizza un approccio diverso che include le proteste d’oltreoceano all’interno delle proteste simboliche del “Foglio Bianco” e distingue la lotta dei lavoratori della Foxconn dalle azioni dirette contro specifiche misure di chiusura da parte di vari strati inferiori di residenti urbani. L’articolo di Wuyun si differenzia anche dal resoconto della sinistra-liberale di Zuoyue per la presentazione di una prospettiva maoista, con il maoismo che è di gran lunga la corrente più diffusa della sinistra continentale (anche se i maoisti continentali sono internamente divisi in molteplici fazioni in guerra). Leggendo i due articoli uno accanto all’altro si può avere un’idea dello spettro di posizioni sugli eventi di novembre adottate dalla sinistra continentale. 

(Non abbiamo ancora trovato resoconti sostanziali da parte di altre correnti della sinistra continentale, come gli anarchici, i trotskisti o coloro che spesso si definiscono semplicemente “internazionalisti”. Quelli con cui abbiamo parlato dicono che questo è dovuto al fatto che loro e i loro compagni sono ancora sotto custodia della polizia, impegnati a organizzare i funerali per i nonni uccisi dal covid dopo il Grande Sblocco, oppure, come noi, stanno ancora cercando di fare ordine tra i rottami e di chiarire esattamente cosa è successo). 

Di seguito riportiamo la traduzione di un paragrafo rilevante dell’articolo di Wuyun: 

Le proteste e le lotte scoppiate a livello nazionale il 23 novembre possono essere suddivise grossolanamente, in base alla loro situazione, nei seguenti tre tipi: La prima è stata la lotta dei lavoratori della Foxconn, un intenso conflitto che gli operai hanno portato avanti in modo indipendente contro i capitalisti e la polizia, chiedendo che la Foxconn onorasse le promesse economiche fatte al momento dell’assunzione e che fornisse una compensazione economica ai nuovi assunti che non erano disposti a rimanere in fabbrica. 

Sebbene gli operai abbiano effettivamente combattuto contro gli accordi congiunti dei capitalisti e del governo burocratico, la lotta non era diretta allo Stato stesso. Il secondo tipo consisteva nelle lotte che chiedevano ovunque la fine delle chiusure degli spazi abitativi urbani. Tra i partecipanti c’erano gli strati intermedi degli abitanti delle città che vivono nei complessi residenziali urbani, ma erano dominati dai lavoratori dei villaggi urbani, che lottavano in alleanza con gli strati inferiori dei padroni e dei proprietari di case. Queste lotte hanno preso di mira i governi locali, con intensi scontri tra polizia e residenti della classe operaia che sono scoppiati, ad esempio, nei villaggi urbani di Guangzhou. Il terzo tipo consisteva nelle proteste dei liberali e degli studenti universitari con idee democratiche, con gli slogan politici del liberalismo e del democratismo”.

Note:

[1] Un’altra analisi della sinistra continentale di questi eventi degna di nota è “Novembre: Anteprima di una rivoluzione” (11 ⽉,”⾰命 “的预演) di Wuyun (乌云), pubblicato per la prima volta sul canale Telegram “Liberation News” (解放报) all’inizio di dicembre. Come Zuoyue, Wuyun classifica le lotte di novembre in tre tipi, ma utilizza un approccio diverso che include le proteste d’oltreoceano all’interno delle proteste simboliche del “Foglio Bianco” e distingue la lotta dei lavoratori della Foxconn dalle azioni dirette contro specifiche misure di chiusura da parte di vari strati inferiori di residenti urbani. L’articolo di Wuyun si differenzia anche dal resoconto della sinistra-liberale di Zuoyue per la presentazione di una prospettiva maoista, con il maoismo che è di gran lunga la corrente più diffusa della sinistra continentale (anche se i maoisti continentali sono internamente divisi in molteplici fazioni in guerra). Leggendo i due articoli uno accanto all’altro si può avere un’idea dello spettro di posizioni sugli eventi di novembre adottate dalla sinistra continentale. 

(Non abbiamo ancora trovato resoconti sostanziali da parte di altre correnti della sinistra continentale, come gli anarchici, i trotskisti o coloro che spesso si definiscono semplicemente “internazionalisti”. Quelli con cui abbiamo parlato dicono che questo è dovuto al fatto che loro e i loro compagni sono ancora sotto custodia della polizia, impegnati a organizzare i funerali per i nonni uccisi dal covid dopo il Grande Sblocco, oppure, come noi, stanno ancora cercando di fare ordine tra i rottami e di chiarire esattamente cosa è successo). 

Di seguito riportiamo la traduzione di un paragrafo rilevante dell’articolo di Wuyun: 

Le proteste e le lotte scoppiate a livello nazionale il 23 novembre possono essere suddivise grossolanamente, in base alla loro situazione, nei seguenti tre tipi: La prima è stata la lotta dei lavoratori della Foxconn, un intenso conflitto che gli operai hanno portato avanti in modo indipendente contro i capitalisti e la polizia, chiedendo che la Foxconn onorasse le promesse economiche fatte al momento dell’assunzione e che fornisse una compensazione economica ai nuovi assunti che non erano disposti a rimanere in fabbrica. 

Sebbene gli operai abbiano effettivamente combattuto contro gli accordi congiunti dei capitalisti e del governo burocratico, la lotta non era diretta allo Stato stesso. Il secondo tipo consisteva nelle lotte che chiedevano ovunque la fine delle chiusure degli spazi abitativi urbani. Tra i partecipanti c’erano gli strati intermedi degli abitanti delle città che vivono nei complessi residenziali urbani, ma erano dominati dai lavoratori dei villaggi urbani, che lottavano in alleanza con gli strati inferiori dei padroni e dei proprietari di case. Queste lotte hanno preso di mira i governi locali, con intensi scontri tra polizia e residenti della classe operaia che sono scoppiati, ad esempio, nei villaggi urbani di Guangzhou. Il terzo tipo consisteva nelle proteste dei liberali e degli studenti universitari con idee democratiche, con gli slogan politici del liberalismo e del democratismo”.

Note al testo

[2] Tra le testimonianze in inglese, segnaliamo “Uyghurs in Urümqi in protest” di Darren Byler (China Project, 8 dicembre); “Wulumuqi Road” di Chris Connery (Made in China, 8 dicembre); 

“The Uprising in China” di Yun Dong (Spectre, 30 novembre); “Escape from the Closed Loop” di Eli Friedman (Boston Review, 27 novembre); e “China in Protest” di vari autori (China File, 29 novembre). Tra le fonti cinesi, oltre agli articoli di Zuoyue e Wuyun, consigliamo anche di consultare i canali pertinenti su Initium (端媒體), NGOCN, CDT e Matters, di ascoltare le interviste degli episodi 27 e 29 del podcast 不明⽩ e di guardare i video su 王局拍案. Se potete consigliare altre fonti, scriveteci nei commenti o inviateci un’email a chuangcn@riseup.net.

[3] Diversi amici e compagni hanno discusso di questo articolo nei rispettivi circoli, e una risposta è stata pubblicata proprio ieri, elaborando le questioni sollevate nel pezzo: “⽩纸运 动 “对未来的社会抗争有何启发? di Zuowang 左望(NGOCN, 18 gennaio). 

[4] Un’altra lente che alcuni lettori hanno notato è la particolare serie di fonti utilizzate dall’articolo, che riportano le stime più alte del numero e della diffusione delle proteste (spiegate nelle note successive) e tendono a sovrastimare l’influenza reciproca esercitata da una serie di eventi sparsi. 

Gli eventi concreti sul campo sono confusi con gli scandali più importanti del 2022 apparsi nel flusso di notizie della sinistra attivista (che circolano principalmente al di fuori del Great Firewall e quindi sconosciuti a coloro che hanno deciso di rivoltarsi nei villaggi urbani della Cina, ad esempio). 

Questo spiega alcune delle equazioni offerte nell’analisi, in cui forme disparate di malcontento vengono evocate come prova di una resistenza che si sta lentamente sviluppando nella popolazione contro la politica Zero-COVID e, infine, contro l’intero sistema politico.

[5] Alcuni osservatori si sono chiesti se la rivolta della Foxconn facesse parte del movimento anti-lockdown. Potremmo andare oltre e chiederci se anche le proteste contro il foglio bianco e le azioni dirette contro specifiche misure Zero-COVID costituissero esse stesse un movimento di questo tipo, insieme o separatamente. 

I partecipanti a entrambi i tipi di resistenza sembrano aver condiviso un qualche tipo di opposizione a Zero-COVID (che comportava molte altre caratteristiche oltre alle “serrate” come normalmente intese in inglese: gli anziani costretti dai “grandi bianchi” a trasferirsi in strutture di quarantena insalubri mentre venivano loro negate le cure mediche, il blocco letterale delle persone nei loro edifici che ha portato alle morti che hanno scatenato le proteste dei white paper, ecc.)

Quando la Zero-COVID non è stata identificata come il nemico, i partecipanti hanno spinto per l’attuazione a livello locale delle “20 misure” del governo centrale per mitigare le conseguenze più brutali della politica. Raramente qualcuno si è opposto alle serrate in generale, come questione di principio, in un modo paragonabile alle proteste “anti-serrata” politicizzate in altri Paesi. 

Come menzionato nel pezzo di Zuoye, nelle poche occasioni in cui i manifestanti del Foglio Bianco hanno articolato richieste e slogan più ampi, questi miravano a cambiamenti istituzionali che avrebbero permesso ai “cittadini” di avere più voce in capitolo nella definizione delle politiche (potenzialmente includendo politiche di chiusura più ragionevoli, come almeno alcuni sostenitori della protesta hanno espresso dopo la disastrosa inversione delle politiche di Pechino del 7 dicembre). Le azioni dirette dei proletari, d’altra parte, erano finalizzate a specifiche richieste di sostentamento (anch’esse sottolineate nell’articolo), tra cui cose come: forniteci il cibo e le forniture mediche che avete promesso; fatemi uscire dal mio appartamento in modo che possa andare a lavorare e vedere un medico; fatemi tornare a casa in modo che possa vedere la mia famiglia, ecc. 

Il loro contenuto e soprattutto le loro forme di resistenza – così come il loro isolamento dagli altri strati sociali, compresi i manifestanti dei fogli bianchi – riecheggiavano molte altre lotte nella sfera della riproduzione che i proletari hanno condotto nei villaggi urbani e nei distretti industriali cinesi periodicamente almeno dagli anni Duemila (esplorate nei nostri articoli “No Way Forward, No Way Back” e “Picking Quarrels”, per esempio).

Tutto ciò suggerisce che queste azioni esprimono problemi più profondi legati alla crisi a lungo termine della riproduzione sociale, che è stata solo esacerbata da Zero-COVID. (Questa possibilità è esplorata nell’articolo di Eli Friedman “Escape from the Closed Loop”). 

[6] Ascoltate, ad esempio, le interviste ai manifestanti del Foglio Bianco sul sito di Bumingbai e leggete quelle contenute in diversi rapporti di Initium e in quelli di NGOCN.

[7] Per i dettagli sulle rivolte della Foxconn e i suoi retroscena, si veda 郑州富⼠康⼯⼈的阶 级⽃争 (“La lotta di classe dei lavoratori della Foxconn a Zhengzhou”) dalla piattaforma maoista 今朝 (“Oggi”), ripubblicato sulla piattaforma taiwanese Events in Focus (焦點事件): parte 1, parte 2.

[8] TRAD: Questa è una traduzione del titolo originale 为什么⽩纸抗议是 “三个运动 “?理解封控抗议潮的⾰命性和局限性.

[9] TRAD: Le “Politiche nazionali fondamentali” (基本国策) sono quelle considerate centrali per la fondazione e il governo del Paese. Non si tratta, tuttavia, di una categoria legale ufficiale, ma di una distinzione fatta sia dalla stampa ufficiale che dal discorso pubblico in generale. In passato si è detto che la categoria comprendeva le politiche di pianificazione familiare, la parità dei sessi, la riforma e l’apertura, la protezione delle terre coltivabili, l’efficienza energetica e la tutela dell’ambiente.

[10] TRAD: L’originale non indica la fonte di questa cifra, ma la banca giapponese Nomura ha stimato nell’aprile del 2022 che quasi un cittadino cinese su tre è in stato di blocco, il che porterebbe la cifra a circa 400 milioni, ovvero un terzo della popolazione cinese. La banca ha un proprio modello per determinare la percentuale di economia in stato di blocco e non è chiaro come vengano effettuati i calcoli. Secondo le stime di novembre, il 30% della popolazione cinese era in stato di blocco. Abbiamo in programma di esplorare le dinamiche delle chiusure, delle “aree ad alto rischio” e della diffusione di Omicron nel 2022 in relazione alle varie forme di disordini e alle disastrose risposte dello Stato a tutto questo in un prossimo post del blog.

[11] TRAD: I resoconti dell’incendio di Anyang mostrano che la stragrande maggioranza dei lavoratori, compresi quelli che sono morti, erano anziani locali di Anyang. È stata una tragedia per la comunità, poiché la maggior parte delle persone si conosceva. Una delle operaie rimaste intrappolate è riuscita a chiamare il marito, che è riuscito a portare sul posto una scala da casa e ad aiutare i soccorsi. Per i dettagli in inglese e i link a diversi resoconti in cinese, si veda “Garment factory fire in Anyang takes 38 lives, injures 2” (CLB,29 novembre).

[12] Le singole città hanno avviato politiche di buoni di consumo, ma spesso non hanno portato a grandi miglioramenti nella situazione dei lavoratori. I buoni erano piccoli, orientati solo a determinati beni e concessi solo in alcuni casi.

[13] Prendiamo ad esempio Meituan: alla fine del 2019, Meituan contava 3,98 milioni di conducenti registrati. Entro la fine del 2020, il numero di individui che ricevono un reddito da Meituan è salito a 9,5 milioni.

[14] TRAD: La crescita del PIL cinese nel quarto trimestre è stata del 2,9% (in aumento rispetto allo 0,4 del primo trimestre, ma in calo rispetto al 3,8 del terzo), per cui si presume che l’autore intendesse qui una “crescita maggiore”.

[15] Le parole esatte dello striscione originale erano: “Non vogliamo test sugli acidi nucleici, vogliamo cibo da mangiare / Non vogliamo serrate, vogliamo libertà / Non vogliamo bugie, vogliamo dignità / Non vogliamo la Rivoluzione culturale, vogliamo riforme / Non vogliamo leader, vogliamo elezioni / Non vogliamo essere schiavi, vogliamo essere cittadini”. Questi slogan sono stati gridati per intero in alcuni luoghi durante le proteste, ma sono stati anche convenzionalmente abbreviati in “Non vogliamo test sugli acidi nucleici, vogliamo la libertà”. Altre località hanno aggiunto le proprie innovazioni, come uno slogan visto a Guangzhou: “Non vogliamo stare a guardare, vogliamo partecipare / Non vogliamo stare sdraiati, vogliamo andare a lavorare / Non vogliamo stare sdraiati, vogliamo andare a scuola”.

[16] Scioperi e altre azioni in difesa dei diritti dei lavoratori esistono da tempo in Cina, ma a causa della censura e della repressione – che hanno anche reso meno visibile la discussione sulle questioni dei lavoratori in generale – queste proteste hanno sofferto a lungo di invisibilità, nonostante la loro frequenza. Quasi tutte le città e le zone industriali del Paese hanno visto proteste spontanee e sparse da parte dei lavoratori per molti anni.

[17] TRAD: L’originale si basa, qui e in molti altri punti, sul “China Dissent Monitor”, un prodotto dell’ONG statunitense Freedom House. A nostro avviso, il Dissent Monitor non è una fonte empiricamente o politicamente affidabile e il fatto che l’autore si affidi a questa e ad altre fonti discutibili sembra essere il motivo per cui molte delle stime (sul numero di proteste, partecipanti, ecc.) sono gonfiate in tutto il pezzo. Il Dissent Monitor presenta due problemi principali. In primo luogo, sia la sua metodologia che le sue fonti sono del tutto opache, rendendo estremamente difficile la verifica dei fatti. In secondo luogo, e soprattutto, la sua organizzazione madre è una ONG conservatrice strettamente legata agli interessi del governo statunitense. L’organizzazione riceve la maggior parte dei suoi finanziamenti da sovvenzioni governative statunitensi e, sebbene non riceva finanziamenti diretti dal Dipartimento di Stato, riceve denaro dall’USAID e da altre fonti di sovvenzioni legate agli interessi della sicurezza nazionale statunitense. Ancora più grave è il fatto che

l’organizzazione sia stata fondata come think tank anticomunista durante la Guerra Fredda, ruolo nel quale ha prodotto critiche severe a figure di spicco come Martin Luther King Jr. e alla loro posizione contro la guerra del Vietnam. Negli anni successivi, Freedom House ha contribuito a stabilire i doppi standard utilizzati nelle varie classifiche sulla “democrazia”, che hanno poco a che fare con le istituzioni democratiche e sono invece chiaramente e sistematicamente distorte a favore dei Paesi alleati degli interessi di politica estera degli Stati Uniti.

18] Dopo che le proteste per il Foglio Bianco sono scomparse dalla piazza pubblica del distretto di Haizhu a Guangzhou (intorno al 28 novembre), le proteste collettive dei lavoratori contro la serrata sono continuate in alcuni villaggi urbani di Haizhu, come il villaggio di Lijiao e il villaggio di Houjiao, dove i lavoratori hanno ribaltato le auto della polizia, che ha sparato lacrimogeni e arrestato una parte dei manifestanti in risposta.[19] TRADUTTORI: Per “difesa dei diritti” (维权) si intende la pratica di appellarsi alle autorità (di solito di livello superiore) per garantire che la lettera della legge sia seguita e che tutti i diritti e le tutele legalmente garantiti siano attuati correttamente. 

Sebbene questa sia una descrizione accurata di molte proteste in Cina, la rappresentazione delle diverse forme di agitazione dei lavoratori come “difesa dei diritti” è spesso anche una scelta politica, fatta per evitare la censura o per nascondere intenzionalmente le dimensioni più radicali di una determinata ondata di agitazioni sotto il gergo liberale e orientato alle istituzioni popolare tra gli attivisti della società civile. (Questo aspetto è analizzato nel libro Rightful Resistance in Rural China di Lianjiang Li e Kevin O’Brien)

[20] TRAD: Qui e altrove l’autore fa riferimento a un “movimento operaio” o “movimento dei lavoratori”. Nessun movimento di massa dei lavoratori è esistito in Cina da quando il movimento sindacale pre-rivoluzionario è stato incorporato nel partito-stato negli anni ’50 – con la possibile eccezione degli scioperi difensivi e delle rivolte dei lavoratori della vecchia cintura industriale socialista che si sono trovati di fronte a licenziamenti di massa durante la ristrutturazione delle imprese statali alla fine degli anni ’90 e nei primi anni 2000. Oggi, l’uso frequente del termine “movimento operaio” da parte degli attivisti si riferisce di solito alla combinazione di piccole reti di attivisti del lavoro (che sono state essenzialmente annientate nel 2019) e agli scioperi e alle rivolte sparse, sporadiche e in gran parte non organizzate all’interno del settore manifatturiero, che sono cresciute di forza negli anni Duemila, hanno raggiunto l’apice nei primi anni del 2010 e si sono poi ritirate. In testi come questo, la “repressione del movimento operaio” si riferisce per lo più alla repressione specifica degli attivisti, piuttosto che alla più ampia e complessa repressione di varie forme di agitazione proletaria.

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Uscita la legge europea sull’Intelligenza Artificiale: cosa va alle imprese e cosa ai lavoratori

Il 13 marzo 2024 è stato approvato l’Artificial Intelligence Act, la prima norma al mondo che fornisce una base giuridica complessiva sulle attività di produzione, sfruttamento e utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.

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Il colore dei manganelli

Quei fatti si inseriscono in un contesto nel quale la repressione – nelle piazze, nei tribunali, nelle carceri, nei centri di detenzione per migranti – è diventata strumento ordinario di governo

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La crisi nel centro: la Germania nell’epoca dei torbidi. Intervista a Lorenzo Monfregola

La Germania, perno geopolitico d’Europa, epicentro industriale e capitalistico del continente, sta attraversando senza dubbio un passaggio di crisi.

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Guerre, decoupling ed elezioni negli USA. Intervista a Raffaele Sciortino

Le prospettive del conflitto sociale saranno sempre più direttamente intrecciate con le vicende geopolitiche mondiali, con l’evoluzione delle istanze che provengono da “fuori” e dunque anche con la tendenza alla guerra scaturente dall’interno delle nostre società

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Per una lettura condivisa sul tema pensionistico

All’innalzamento dell’età pensionabile va aggiunto poi un ulteriore problema: mentre gli  importi pensionistici vengono progressivamente abbassati la convenienza  del pensionamento anticipato diminuisce.

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Digitalizzazione o giusta transizione?

Sfinimento delle capacità di riproduzione sociale, economia al collasso e aumento del degrado ecologico: di fronte a queste sfide per il settore agricolo non basta il capitalismo verde

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India: come non sfamare un pianeta affamato

In India è scoppiato un nuovo ciclo di proteste degli agricoltori contro il governo Modi con scontri e lanci di lacrimogeni alle porte di Nuova Delhi.

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Senegal: rinviate le elezioni presidenziali. Le opposizioni chiamano alla piazza: “E’ un auto-golpe”

Africa. Tensione altissima in Senegal, dove il parlamento di Dakar ha rinviato le elezioni presidenziali, previste per il 25 febbraio, al prossimo 15 dicembre.

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Grecia: università occupate contro la legge che equipara gli atenei privati a quelli statali

Più della metà delle facoltà della Grecia sono occupate da studentesse e studenti contro la scelta del governo conservatore di Kyriakos Mītsotakīs di aprire alle università private con una legge che le equiparerà agli atenei statali. 

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Levante: la puntata di novembre 2023. Focus sulle relazioni sino-americane

Prendendo spunto dall’incontro di San Francisco tra il presidente Usa, Joe Biden, e l’omologo della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, abbiamo approfondito il tema delle relazioni sinoamericane nel corso degli ultimi anni.

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Kalkan: la lotta del popolo palestinese per la libertà e la democrazia è sacra

Il membro del Consiglio esecutivo del PKK Durkan Kalkan ha parlato del nuovo contesto geopolitico, analizzando il ruolo della Cina e l’attuale guerra israeliana alla Palestina.

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Levante: la puntata di ottobre 2023. Il decennale della “Via della seta” e la postura cinese in Medio Oriente

La Cina è economicamente il secondo partner di Israele (dopo gli Usa), mentre dal punto di vista diplomatico la Repubblica Popolare, fin dai tempi di Mao, ha un atteggiamento di vicinanza alle istanze del popolo di Palestina.

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Palestina: si allargano le proteste nel mondo arabo e non solo

Le ultime notizie sulla Palestina raccontano di una situazione umanitaria in emergenza totale, nonostante sui giornali nostrani si parli di un’intermediazione da parte di Biden in visita ieri da Netanyahu, per aprire corridoi umanitari nel valico di Rafah al confine con l’Egitto, la realtà è ben altra.