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Placido Rizzotto

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Nacque a Corleone da Giovanna Moschitta e Carmelo Rizzotto.

Primo di sette figli, perse la madre quando era ancora bambino. In seguito all’arresto del padre, con l’accusa di far parte di un’associazione mafiosa, fu costretto ad abbandonare la scuola per occuparsi della famiglia.

Durante la seconda guerra mondiale prestò servizio nel Regio Esercito sui monti della Carnia, in Friuli Venezia Giulia, con il grado di caporale prima, di caporal maggiore poi e infine di sergente, dopo l’armistizio dell’8 settembre si unì ai partigiani delle Brigate Garibaldi come militante socialista.

Rientrato a Corleone al termine della guerra, iniziò la sua attività politica e sindacale, ricoprì l’incarico di Presidente dei reduci e combattenti dell’ANPI di Palermo e quello di segretario della Camera del lavoro di Corleone.

Fu esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e della CGIL.

Tutto era iniziato il 19 ottobre 1944, quando il ministro dell’Agricoltura del governo Badoglio, il comunista Pietro Gullo, firmò un decreto in cui si stabiliva che le terre incolte o mal coltivate dagli agrari, dai latifondisti, venissero assegnate alle cooperative di contadini.

Una legge valida nel resto d’Italia, un po’ meno in Sicilia. Quello stesso giorno a Palermo, mentre il decreto Gullo entrava in vigore, un plotone del 139° Reggimento fanteria della Divisione “Sabaudia” sparò sulla folla che protestava per la mancanza di pane: 24 morti e ben 158 feriti, tra cui donne e bambini, in Sicilia i contadini si trovarono fra due fuochi: da una parte la nobiltà e il baronato latifondista, che avevano nella mafia il custode dello status quo, ovvero delle loro proprietà, i mafiosi si opponevano con violenza all’applicazione della legge Gullo. E quando i contadini riuscivano comunque a occupare un pezzo di terra, arrivavano le forze dell’ordine ad arrestarli per “invasione di terre”, perché per essere assegnate dovevano essere dichiarate ufficialmente “incolte”. Contadini, sindacalisti e militanti erano fra il martello della lupara e l’incudine delle manette.

Politico e sindacalista fermamente impegnato nella difesa degli ideali di democrazia e giustizia, consacrò la sua esistenza alla lotta contro la mafia e lo sfruttamento dei contadini, perdendo tragicamente la vita in giovane età ad opera degli esponenti mafiosi corleonesi in un vile agguato, venne rapito nella serata del 10 marzo 1948, mentre andava da alcuni compagni di partito, e ucciso dalla mafia per il suo impegno a favore del movimento contadino per l’occupazione delle terre.

Sulla base degli elementi raccolti dagli inquirenti, vennero arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che ammisero di aver preso parte al rapimento di Rizzotto in concorso con Luciano Liggio. Grazie alla testimonianza di Collura fu possibile ritrovare alcune tracce del sindacalista, ma non il corpo.

Il 9 marzo 2012 l’esame del DNA, comparato con quello estratto dal padre Carmelo Rizzotto, morto da tempo e riesumato per questo scopo, ha confermato che i resti trovati il 7 luglio 2009 all’interno di una foiba di Rocca Busambra a Corleone appartengono a Placido. I resti sono stati recuperati da personale specializzato per interventi speleologici del Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Palermo.

Placido Rizzotto oggi sarebbe stato meno solo, forse, è senz’altro doveroso rendere omaggio, facendone conoscere la biografia e l’operato alle giovani generazioni, affinché comprendano l’importanza della lotta.

Guarda “Placido Rizzotto“:

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