Da una parte, al disimpegno statale è corrisposto un aumento dell’autofinanziamento (che è cresciuto di un terzo). In sostanza si scarica sugli studenti, attraverso le tasse universitarie, l’onere di pagare per il funzionamento degli atenei. Una brillante strategia che è riuscita a far diminuire del 6,5% del numero di studenti universitari negli ultimi cinque anni (non male per un paese che ha in assoluto il più basso numero di laureati tra i paesi OCSE!) accentuando una logica sempre più esplicita dello studente-cliente che paga per un servizio. Si impedisce in questo modo l’accesso agli studi universitari ai poveri (vista anche la proporzione ridicola di chi può effettivamente beneficiare di una borsa di studio), si contribuisce alla deresponsabilizzazione studentesca rispetto alla gestione degli atenei (se non ti piace il prodotto, cambia supermercato) e alla sostanziale depoliticizzazione dei contenuti prodotti dall’università (“Ho pagato le tasse quindi ho diritto a sentire la lezione” ha obiettato convinta una studentessa a chi era venuto a far notare al professor Panebianco che le sue sparate guerrafondaie fanno migliaia di morti).
Dall’altra parte si approfondisce il divario tra Nord e Sud. Se la diminuzione delle entrate ordinarie è del 15% su scala nazionale, la contrazione del finanziamento delle università del meridione procede a velocità doppia rispetto agli atenei del nord Italia. Si accentuano quindi gli squilibri territoriali tra le diverse università aggravando l’emorragia di giovani dal Sud della penisola, sempre più spinti a cercare lavoro e istruzione al Nord Italia. Una dinamica rinforzata dagli effetti di retroazione del finanziamento “premiale” che porta in una spirale infinita di tagli le università meno “performanti”. Sono valorizzati solo qualche polo di eccellenza, ben inserito nel tessuto di ricerca europeo e con gli agganci giusti al governo (vedi, ad esempio, la vicenda Technopole).
Dalla mobilitazione contro il nuovo ISEE, che ha portato di fatto a nuovi tagli nelle borse di studio e ad aumenti di tasse universitarie, al boicottaggio della VQR
su cui è indicizzata una parte dei finanziamenti ai dipartimenti fino alla mobilitazione milanese contro il taglio degli appelli, qualche piccola piccolissima cosa sembra muoversi dentro e contro l’università aziendalizzata. Profeti inascoltati della catastrofe del Bologna process, riusciremo a far pagare ai responsabili delle nostra miseria almeno i suoi effetti?
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