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Roma. Parco di Aguzzano, appunti di lotta contro una piccola (grande) opera.

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Il 2 ottobre scorso il Consiglio del Municipio IV di Roma ha bocciato la delibera che aveva per oggetto la concessione a soggetti imprenditoriali del Casale Alba 1, uno dei 5 casali storici di Aguzzano, riserva naturale protetta di 57 ettari a Roma nord-est. Una vittoria importante per il quadrante tiburtino e la città, che offre spunti interessanti per una fase in cui l’ambiente è tornato al centro dell’agenda politica.

Ripercorriamo brevemente la vicenda. Con la Delibera n.21 del 12/12/2018 la Giunta pentastellata del IV Municipio metteva in discussione la destinazione d’uso socio-culturale dei casali prevista dal Piano Attuativo del Parco (una sorta di Piano Regolatore). La delibera apriva la strada alla concessione del casale a imprenditori privati per la realizzazione di attività a scopo di lucro che avrebbero indebolito i vincoli di tutela del Parco e, di fatto, aperto la strada alla cementificazione dell’area verde. In risposta al mancato coinvolgimento da parte del Municipio gli abitanti dei quartieri affacciati su Aguzzano, insieme a numerose realtà sociali del territorio, hanno costituito il Forum per la Tutela del Parco di Aguzzano. Il Forum si è fatto motore della vertenza con mesi di mobilitazioni, proteste al Municipio, assemblee pubbliche, un corteo di oltre 1000 persone, l’elaborazione della proposta alternativa di un polo museale-didattico che coinvolgesse i poli culturali e le scuole del territorio. D’altronde, è bene ricordarlo, la comunità di questo parco non è nuova a mobilitazioni di massa, come quella che ne ha permesso l’istituzione nel 1989 o anche la vertenza sul Casale Alba 2 che ne ha portato all’occupazione nel 2012. Il Forum è riuscito a far conoscere la vicenda di Aguzzano nel quartiere e nella città, mettendo in difficoltà un’amministrazione municipale arroccata nel proprio (misero) palazzo. Dopo un anno di ridicoli tentativi di recupero con grottesche modifiche alla delibera, ma anche di attacchi diretti alle realtà della zona con la forza pubblica, usata come “cavalleria” personale della presidente del Municipio Roberta Della Casa, il Consiglio municipale è si è rassegnato a mettere la parola fine sul contestato progetto.

La vertenza di Aguzzano, nel suo piccolo, restituisce una fotografia emblematica. Delle vicende pentastellate romane, ad esempio. Ma anche dell’ambiente, fulcro dell’attenzione politica mainstream nell’ultimo periodo. E, perché no, delle periferie romane, sempre bollate come terra di nessuno dai salottieri in doppiopettobollate come terra di nessuno dai salottieri in doppiopetto.

Da un punto di vista politico la votazione sulla delibera Casale Alba 1 nasconde molteplici significati. In primis, senza neanche troppi veli, vi si scorge chiaro un sintomo del riassetto interno al M5S romano, riflesso del cambio di rotta nazionale e dell’imminente tornata elettorale al Campidoglio. Il fallimento dell’alleanza gialloverde si porta dietro la perdita di peso dell’establishment pentastellato che ne era stato promotore, con Casaleggio & co. impegnati ad affiancare i propri tutor a tutti i pezzi grossi del Movimento. Se è vero che la Raggi e Salvini non hanno mai avuto un grande feeling, è altrettanto vero che la sindaca è da tempo protagonista di una lotta intestina con la corrente di Roberta Lombardi, una delle pioniere dell’alleanza giallorossa nella Regione Lazio, la quale nei distretti locali romani gode di più di un simpatizzante. Logorata dagli scandali interni, dai continui rimpasti di giunta e dalle decine di criticità che ancora non trovano risposte, la Virginia guerriera di mille battaglie non riesce più a fornire fuoco amico ai suoi pupilli. Negli ultimi mesi, complici le crisi pentastellate di tre importanti municipi della Capitale (III, VIII e XI), la sindaca è venuta diverse volte in soccorso della presidente del IV Municipio Della Casa, con inaugurazioni in pompa magna e tagli di nastro anche per le cerimonie più insulse. I consiglieri municipali, seppur mal volentieri, hanno digerito un gran numero di bocconi amari per ordine di scuderia. Sul Casale Alba 1, grazie alla grande mobilitazione del territorio, il tappo è saltato, con la presidente derisa pubblicamente e costretta a votarsi sola la propria delibera speculativa contro la sua intera maggioranza. E’ presto per dire se questo schiaffo sia il preludio ad una crisi municipale o un semplice monito, certo è che sulla Tiburtina le acque pentastellate sono particolarmente agitate e sarà difficile un prosièguo dell’atteggiamento dispotico fin qui messo in atto da parte della Giunta. Un nodo locale a 5 stelle sconfessato, dunque, proprio su due pilastri del movimento: la partecipazione e l’ecologia.

Una vertenza locale con valore generale. Non solo per la controparte, ma anche e soprattutto per il territorio che ne ha determinato l’esito. Nell’epoca del Green New Deal, dell’ascesa dei Verdi in Europa, della riconversione capitalista in salsa verde, mettere in contraddizione un’amministrazione locale su una marchetta clientelare anti-ecologista è un punto di frizione ad alto potenziale. Se è giusto lasciare che movimenti di massa come Fridays For Future facciano il loro corso, sperimentino con mano la fallacità delle promesse istituzionali e trovino autonomamente il proprio senso d’azione, è altrettanto corretto che, dove possibile, dai territori emerga una proposta chiara dei punti di precipitazione su cui convergere. Il capitalismo green ha già iniziato il suo riassorbimento delle istanze contro i cambiamenti climatici, non c’è nulla di meglio delle battaglie concrete per provare a polarizzare il dibattito ecologista su un sentimento anticapitalista. I costi della riconversione energetica verranno scaricati sulle classi subalterne, ma non basta enunciarlo per crearne la consapevolezza. Emblematici, in questo senso, i Gilets Jaunes: la tassa ecologica la paghino i padroni, non possiamo farci carico dei costi di una transizione energetica dovuta ai danni del capitalismo.

Obiettivi e metodologia da trovare, dunque, per attraversare in maniera intelligente la fase politica attuale. Quello delle vertenze ambientali, peraltro, è un campo d’azione che ne ha un disperato bisogno, se consideriamo la mancanza di un vero movimento ecologista radicale da quello anti-nucleare degli anni ‘70. A seguito di quella stagione, la tutela dell’ambiente è stata troppo spesso relegata all’associazionismo, ai partiti più sensibili, a entità di vario genere che, pur avendo svolto un ruolo più o meno importante, sono parte integrante del processo di riproduzione capitalista. Il “carrozzone” ambientalista, negli ultimi trent’anni, ha portato a casa qualche risultato, ma è anch’esso irrimediabilmente in crisi. Il sistema di appoggi politici, cooperative rosse e monopolio associazionista nella gestione del verde sta crollando a vista d’occhio sotto la pressione di potentati ben più forti che si stanno interessando al green business. Focalizzandoci sul caso dei parchi, il tentativo di smantellamento delle aree verdi protette è di livello nazionale, come dimostra il disegno di legge, ancora fermo nelle commissioni parlamentari, che vuole riformare la legge 394/91. Tra le novità vi è la possibilità di svolgere attività a scopo di lucro in queste aree e il progressivo coinvolgimento degli enti locali, strozzati dal pareggio di bilancio e dunque costretti alla dismissione del patrimonio pubblico, nella gestione e nella manutenzione. A Roma, il precedente di imprenditori privati nella gestione del verde è il famigerato meccanismo dei Punti Verde Qualità, un comitato d’affari a firma centro-sinistra di Rutelli, seguito dal disastro nell’era del fascista Alemanno, che ha causato la cementificazione o la chiusura di molte delle aree coinvolte, oltre alla presa in carico, da parte delle finanze comunali, di grossi debiti con le banche per finanziare i profitti degli affidatari.

E’ quindi messa in discussione un’intera cultura ambientale, anche in materia di aree protette. Per invertire la rotta è necessario un cambio di paradigma profondo, un punto di rottura che possa incrinare la tendenza di messa a profitto come panacea di tutti i mali, ambiente compreso. Il Forum per la Tutela di Aguzzano ha cercato, nella misura della sua dimensione, di sperimentare una metodologia di conflitto improntata sulla forza della comunità, delle reti territoriali, dell’irriducibilità rispetto ai tentativi di affabulazione o di cooptazione. Una vasta composizione di abitanti, realtà sociali, comitati, associazioni, scuole, poli culturali ha scelto di dare un taglio netto all’ambientalismo “di palazzo” per professionisti del settore, finalizzato in gran parte alla tutela dei propri interessi, provando invece a rendere la vertenza su Aguzzano molto più di una semplice battaglia sull’affidamento di un casale. In pochi mesi, Alba 1 è diventato simbolo di una lotta di ampio respiro che ha coinvolto l’intera comunità della zona contro la messa a profitto dell’ambiente ed una politica basata su scelte imposte dall’alto. Un blocco sociale variegato che, a partire dall’opposizione ad un singolo progetto speculativo, ha saputo tirare una linea rispetto all’ingresso dell’imprenditoria nella gestione del verde pubblico, elaborare proposte alternative ed allargare il campo delle rivendicazioni ad un coinvolgimento sostanziale del territorio nelle decisioni che lo riguardano. La Valsusa in questi anni ha dimostrato tanto, la forza di una comunità in rivolta può imporre rapporti di forza del tutto inaspettati. 

La responsabilità più grande, per il Forum di Aguzzano, probabilmente arriva adesso, con una piccola vittoria in tasca e uno sguardo al futuro tutto da costruire. Anzitutto per il Casale Alba 1, tuttora vuoto e inutilizzato, su cui gli abitanti dovranno immaginare e, perché no, far vivere i propri sogni. Con il vantaggio di avere un bagaglio di esperienza ed una ricchezza di composizione che nessuna delibera, in ogni caso, avrebbe mai potuto cancellare. Grandi sfide attendono il Forum e tutti i piccoli, grandi movimenti a difesa dell’ambiente nel prossimo futuro. Le potenzialità, la reale efficacia delle mobilitazioni e delle vertenze, la ricomprensione o meno nel recinto del capitalismo green saranno da mettere costantemente a verifica. L’ambientalismo senza lotta anticapitalista è giardinaggio: non può e non deve essere solo uno slogan.

 

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