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La cuoca e Lenin

di Franco Piperno

Alcune delle idee-forza del movimento M5S hanno ascendenze lontane. Si avverte, per chi eserciti l’arte della memoria, l’eco della parole d’ordine comuni ai movimenti degli anni 70. Il reddito di cittadinanza; la democrazia diretta; l’esercizio spesso inconsapevole di una certa potenza destituente; il rifiuto del lavoro salariato perché aliena e l’attrazione per l’attività scelta liberamente perché realizza; la critica beffarda al sistema dei partiti; un sentimento di estraneità ostile verso l’ideologia lavorista e progressista, per quella illusione di conseguire la felicità cercando d’arricchirsi in fretta; e così via.

V’è ancora qualcosa di comune in quella sorta di appercezione della trasformazione sociale come processo interiore, esercizio di autocoscienza; perché il nemico non è tanto fuori di noi ma piuttosto dentro di noi, e prima di cambiare il mondo bisogna mutare le nostre idee sul mondo. Per dirla in altri termini, la psicologia del sovra consumo di massa, quella del cittadino in quanto “consumatore obeso” è senza dubbio addebitabile alla smodata produzione di merci in cerca d’acquirenti, ma non si può non riconoscere che tutta la baracca, dirò così il sistema, riposa, in buona misura, sulle condotte complici del cittadini stessi.

Va da sé che queste similitudini non comportano, certo, una qualche identità tra il ciclo insurrezionale “68-78” e il movimento di cui Grillo si fa portavoce. Basterà, a questo proposito, ricordare che vi sono concetti-chiave, comportamenti e slogan di questo movimento che lo pongono agli antipodi dei movimenti di mezzo secolo fa — come la convinzione che l’informazione sia di per se comunicazione; una certa prassi che sembra proporre una versione di democrazia che è sì diretta ma diretta da Grillo; l’uso del carisma per organizzare il consenso piuttosto che per liberare la coscienza colonizzata del cittadino consumatore; per non parlare di più di una tentazione statolatrica e xenofoba; di qualche eccedenza securitaria e piccolo borghese, quando non propriamente plebea, ipocrita concessione al buon senso ingenuo e forcaiolo delle procure; tratto questo ultimo che finisce col collocare M5S ben dentro l’ormai saturo antiberlusconismo – il lascito il più malefico del cavaliere di Arcore. E tuttavia sono le analogie che contano, che prevalgono; le analogie con quel che è già accaduto e accadendo ha mostrato di potere riaccadere, di potersi ripetere, d’essere una potenzialità; e sono queste analogie che risultano decisive ai fini dell’intelligenza della situazione politico-sociale nella quale siamo gettati.

Vediamo le cose più da vicino. Il passaggio davanti al quale M5S si trova è una sorta di cambiamento di fase: dal movimento all’organizzazione del movimento. Se questo passaggio fosse, per qual si voglia motivo, impraticabile il volto del fenomeno ne risulterebbe definitivamente accartocciato, come una foglia riarsa; ed assisteremmo ad una decrescita esponenziale del M5S, con lo stesso ritmo con il quale s’era data la crescita.

Ora, un movimento di massa ha solo due forme disponibili per avviare la propria organizzazione: la forma partito e quella della democrazia assembleare o diretta che dir si voglia. Qui non ci occuperemo della forma-partito, la lobby elettiva, perché essa, nel nostro paese, risulta ben familiare, sfortunatamente — ne facciamo, infatti, quotidiana esperienza. Ci limiteremo a ricordare, nei termini astratti del diritto costituzionale moderno, che, nelle democrazie rappresentative, la sovranità appartiene al popolo ma il suo esercizio è, appunto, riservato ai partiti, al ceto politico. Per essere più espliciti, il popolo, questa cattiva astrazione, ha la titolarità della sovranità, ne è il proprietario; ma l’uso, ovvero l’azione sovrana, gli è interdetta e viene delegata permanentemente agli eletti dal popolo.

Viceversa,la democrazia diretta è una forma che prescinde dal partito; essa, per alimentarsi,ha bisogno ogni volta di ritrovare le sue radici, talmente antiche da risultare arcaiche; necessita ogni volta di un ritorno all’origine, al primitivo, alla dimensione politica nel senso originario del termine; cioè all’ abitare, alla fondazione e all’autogoverno della città – tratto antropologico, questo, che caratterizza la specie umana.

L’agenzia fondante è qui l’assemblea, la piazza, l’ecclesia, costituita dalla simultanea presenza dei cittadini attivi. I corpi in presenza convertono, l’uno nell’altra, il pensiero nell’azione e viceversa; sicché “fatto” e “vero”, mezzo e fine, coincidono. La consuetudine di discutere e decidere insieme, ma già il nudo prendere la parola in pubblico, trasforma, può trasformare, “ il consumatore incompetente e anonimo ” in “individuo sociale”, dalla capacità comunicativa enorme, all’altezza della specie – il pensare globalmente e l’ agire localmente apre alla possibilità di autorealizzazione, di mutare la sorte in destino, senza residui, qui ed ora, nel presente, nella “vita activa”.

Un congegno abitudinario che, storicamente, si accompagna alla democrazia diretta è il dispositivo della elezione del delegato a mandato vincolante oltre che breve e revocabile. Così il rappresentante non può liberarsi dall’assemblea che l’ha eletto; e quest’ultima continua ad essere il luogo della concentrazione di tutti i poteri, il luogo della dittatura come la più elevata tra le magistrature, della potenza collettiva ricondotta ad unità. Infine, per ultimi ma non ultimi, vengono gli istituti della rotazione e del sorteggio dei ruoli apicali, delle cariche pubbliche; istituti questi che, insieme, risultano essere un formidabile antidoto alla cospirazione delle inevitabili lobby, come all’ambizione dei demagoghi — proprio perché aprono al caso, consentendo l’improbabile: la cuoca può accedere al governo.

Non è vano qui ricordare, a proposito di cuoche, che Lenin, nei mesi immediatamente precedenti l’Ottobre Rosso, ebbe modo di scrivere, nel suo famoso opuscolo “Stato e Rivoluzione” del 1917, che la rivoluzione coincideva con il processo di deperimento dello stato; e questa stessa estinzione avrebbe permesso, finalmente, agli “incompetenti” , la cuoca appunto, di governare. Certo in Russia le cose non sono andate proprio come Lenin aveva immaginato; ma, come dire, l’affondamento della nave “Concordia” non smentisce la validità del principio di Archimede.

Per tornare a noi, in Italia, nella misura in cui M5S resisterà alla tentazione di divenire partito, e si auto organizzerà secondo i canoni della democrazia diretta, allora e solo allora si porrà la questione della sua relazione con il movimento dei Centri Sociali; un incontro scontro, tra coloro che sono “dentro e contro” e quelli che si schierano “fuori e contro” — secondo la regola del marciare divisi per colpire uniti. E l’appartenenza del M5S al movimento “NO TAV” è un chiaro indizio di come tutto ciò sia possibile, forse addirittura inevitabile. L’incontro scontro tra questi due insorgenze porterebbe in dono ai militanti dei centri sociali la capacità di parlare al senso comune, uscendo dall’asfissia della setta; e ai cittadini del M5S, la memoria di tutto ciò che è già accaduto, in Italia e nel mondo, nel processo d’emersione dell’individuo sociale; e con la memoria l’arma del pensiero critico.

Se le cose stanno così, converrebbe facilitare, con la maieutica, questo incontro scontro tra la cuoca e Lenin, preparando l’evento; e ancor meglio sarebbe anticiparlo. In fondo, come recita l’omelia di Francesco I – un papa che è a ben vedere non è che una reincarnazione, sia pure più potabile, del compianto prof. Cacciari – è solo una questione d’aver fede, una fede depurata d’ogni speranza.

da dinamopress

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