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Il Partito della Merda

Questo interessante articolo di Baiada – che si è occupato in passato, e con minuziosità della “rottamazione” dell’azienda di stato Alitalia –  sembrerebbe scritto apposta per questa rubrica. Con parole semplici descrive quello che si è istituzionalizzato come ‘sistema politico’, ben oltre il berlusconismo. Un incrocio di ‘Shock Economy‘, disinvestimento programmatico nei settori strategici e la spregiudicatezza, fino alla volgarità compiaciuta, nel trattare ‘cosa pubblica’ e ‘beni comuni’, di volta in volta smembrati e rottamati per farne nuovi pezzi di un profitto che ha sempre più il volto della pura e semplice rapina, lasciando dietro di sé un cumulo di rifiuti che ancora si sforzano di venderci come “società”.

[Pubblicato on-line da Carmilla, che precisa: “pubblichiamo l’articolo senza le note, che potranno essere lette sul numero indicato della gloriosa e coraggiosa rivista Il Ponte.]

 

Davvero, come è stato notato, si possono distinguere tre tappe, nel percorso del berlusconismo? Effettivamente, dall’inizio del suo riciclaggio in politica, Berlusconi ha strumentalizzato emozioni e pulsioni elementari; una linea costante negli aspetti di fondo, ma con alcune varianti. Si è partiti da un’aggregazione simile alla tifoseria (il padrone del Milan, Forza Italia), per passare attraverso un branco spaventato (il securitarismo, la Casa delle libertà), e giungere a un mucchio di carne convulsa e istintiva (il presidente gaudente, papi Silvio e il Partito dell’Amore). Si teme che l’appello a istinti primari scenda più in basso, sostituendo il modello a sfondo erotico con ciò che viene chiamato «il Partito della Merda».
L’osservazione mi stimola a portare avanti una riflessione, e in un certo senso a cercare il tassello mancante, dentro un discorso che avevo già iniziato ad affrontare. È scontato che qui ci si riferisca in generale a un modello politico, e non al fatto che proprio Berlusconi sia al governo; anche se ne è il più abile praticante, e un po’ il maestro di cerimonie, non solo il berlusconismo frequenta questa linea. Il Partito della Merda, cioè, potrebbe essere il vero e più profondo lascito di questi ultimi anni agli italiani.

Nel paradigma di cui sto parlando, si può notare la tendenza alla liquefazione, alla rottamazione e alla dissoluzione. Materiale preesistente (politico, industriale, simbolico, eccetera) viene distrutto per frugare, selezionare un bottino e allestire nuovi scenari. Vediamo alcune specifiche tendenze.
Nell’amministrazione pubblica sono stati ritagliati settori, variabili e tendenti a coincidere con gli interessi dell’area governativa e dei gruppi di potere gravitanti nella zona grigia fra imprenditoria e crimine organizzato. Anche qualche segmento dell’opposizione ha fatto la sua parte. Questi settori comprendono importanti opere pubbliche, spesso nel cono d’ombra di eventi modaioli o mediatici, e sempre nell’ambito delle emergenze. L’intervento pubblico in questi perimetri è stato costruito con deroghe alla normativa generale, e con accentramento di poteri nel governo e specialmente in una sua articolazione, la Protezione civile. Una larga parte del diritto amministrativo, della struttura dei pubblici poteri che si deve all’unità d’Italia e alla forma repubblicana, e persino una parte della Costituzione sono state rottamate, trasformate in rifiuti, mentre si sono selezionati uffici, rami di personale, utensili e mezzi per montare un automa ubbidiente al potere politico e affaristico, povero di controlli e di trasparenza.
Col terremoto in Abruzzo, è stata colta l’occasione per consolidare il sistema. Sin dalla notte del sisma, imprenditori e faccendieri hanno offerto del loro programma un sunto efficacissimo, perché avaro di parole ma generoso di altri suoni: fra motteggi e allusioni, hanno riso sulla sciagura accaduta, pregustando affaroni. I fatti sono seguiti, coerenti. Una città è stata trasformata in discarica, trascurando il restauro di case e strade, e il recupero di vita, relazioni, professionalità. Un pezzo dell’Aquila è stato trasformato in tal quale, in rifiuto. Altrove, si è vista la costruzione secondo il modello new town. L’edificazione è avvenuta a distanza, proprio come si pone distanza fra le discariche e gli abitati.
Con la crisi Alitalia si è configurato il meccanismo bad company-new company. Era già stato accennato, in realtà, durante il governo Prodi 2006-2008, in quella che Enrico Micheli, allora sottosegretario alla presidenza del consiglio, ha descritto come «una proposta informale», condivisa da Bersani e Visco. Ma è stato il governo Berlusconi, col sostegno del suo blocco di potere e in particolare di Intesa Sanpaolo, e con l’apporto determinante di un gruppo di imprenditori fra cui spiccano Roberto e Matteo Colaninno (di area Pd), a predisporre un sistema che prevede due cose. La trasformazione dell’impresa in difficoltà in un residuo da smaltire, una cosa morta, insieme a gran parte dei suoi lavoratori. E l’allestimento di una nuova impresa, che riceve a un prezzo manipolato i beni funzionali alle sue esigenze, e che assume solo una parte del personale (escludendo naturalmente quello sgradito), il tutto con ampia copertura politica. Parallelamente a questo, anche la legislazione è stata trasformata in una discarica, perché la vecchia normativa, per esempio sul trasferimento di azienda o sulla tutela della concorrenza, è stata accantonata e rifiutata, prelevando però ciò che serviva. È stato esemplare l’intervento sull’articolo 2112 del codice civile, per evitare la tutela dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento dell’azienda o di parte di essa.
Avviato e collaudato con l’Alitalia, il sistema può essere ripreso per la Tirrenia, per la Fiat, per qualsiasi cosa. Per i nuovi impianti di Mirafiori e di Pomigliano, poi, il sistema dello scarto viene perfezionato, perché la nuova società, allo scopo di aggirare i contratti collettivi di lavoro, non viene iscritta alla Confindustria. Poi però si annuncia un’iscrizione successiva, cioè un recupero, un riciclaggio. Anche l’associazione imprenditoriale viene di fatto scartata, ci si può iscrivere per stare nella contrattazione collettiva, e si può uscirne e rientrarvi: diventa un residuo da cui si può attingere, ma solo alla bisogna, come i poveri frugano nella spazzatura. Ma la Confindustria non si offende, anzi, perché coglie al volo l’opportunità. Al di là delle finzioni consentite dallo schermo societario, va sottolineato come lo stesso gruppo industriale possa per alcuni stabilimenti o per alcune linee di produzione accettare o respingere la contrattazione collettiva, così conservando quelle pattuizioni, oppure sbarazzarsene.
Sempre conformemente al sistema dello scarto, proprio il contratto per Mirafiori ci spiega che sono i corpi, l’oggetto di questo modello. Ai lavoratori si impone con la pressione padronale e mediatica l’accettazione di un contratto durissimo: per loro, è un prendere o lasciare. Dal punto di vista imprenditoriale, c’è invece un prendere per poi lasciare, nel senso che i corpi degli operai vengono misurati e adibiti a funzioni minuziosamente programmate, per essere fiaccati e poi sostituiti con altri, preferibilmente quelli dei loro figli, cui si è reso difficile studiare (a questo scopo, si è provveduto a rottamare l’università italiana). Il sistema Ergo-UAS, recepito nell’accordo, consente un’ampia polizia del lavoro. Soprattutto, permette di preventivare insieme alla produzione il logoramento fisico di chi produce. La carne lavorante diventa un oggetto di cui si preventiva la trasformazione in un tal quale; è una sostanza organica che adesso vive e domani chissà, e che certamente viene spremuta oggi per essere abbandonata domani in discariche sociali: degenze, cronicari, cassa integrazione, disadattamento, prigione, suicidio.
Proviamo a tirare una prima conclusione. Possiamo cogliere in questo la tecnica della trasformazione di tutto in massa momentaneamente utile, bolo e succo gastrico, in vista dell’assimilazione di nutrimento e dell’espulsione del soverchio. Proseguiamo.
Tracce di questo sistema si vedono in certi passaggi istituzionali. Ho già accennato a quanto accade nell’amministrazione. Nella giurisdizione, si vede un esempio nel dilagare delle conciliazioni stragiudiziali, almeno nelle intenzioni governative, a spese della giurisdizione civile. Il processo ordinario diventa un tal quale, un terreno residuale da scegliere per convenienza, come il padronato può scegliere o respingere la contrattazione collettiva. In nome di oscure flessibilità e di opache funzionalità, la tutela generale viene allontanata e marginalizzata. Un altro sentore si percepisce non nella giurisdizione ma nella normazione. Col pretesto di snellire, discutibili tecniche di accorpamento e di mutilazione pongono mano alle leggi vigenti, determinando una confusione travestita da codificazione. In questo, ha un ruolo importante il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli. Contemporaneamente, nella compagine del Parlamento pochissimi personaggi hanno un autentico spessore politico, mentre una folla di mediocri, e talvolta di gaglioffi, fa mucchio nei gruppi parlamentari (che sono oggi pochissimi e, salvo rare eccezioni, culturalmente afasici). Qualcuno, purtroppo, vuole trasformare le Camere in un tal quale, in una discarica di lusso, da cui all’occorrenza si traggono a caro prezzo i voti necessari al sostegno di decisioni prese altrove, proprio come i rapaci traggono da una discarica ciò che sazia i loro appetiti. Amministrazione, giurisdizione, legislazione: i tre poteri della nozione classica dello stato sono oggi investiti, con diverse tecniche e misure, da questo processo di fagocitazione ed espulsione.
Più in generale, il modello di rottamazione e di selezione è insito nel passaggio politico iniziato nei primi anni Novanta, e forse è già stato percorso anche più indietro, nella storia italiana. Nell’anno delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità nazionale, il tema meriterebbe un approfondimento.
Dopo Mani pulite, la rottamazione di una parte del ceto politico, e soprattutto del sistema elettorale proporzionale e di abitudini consolidate, specie a livello di prassi costituzionali, ha comportato la valorizzazione di personaggi preesistenti, ma prima defilati. Una digestione storica consumata con la fine della Guerra fredda ha selezionato ciò che nel 1993 andava di moda chiamare «il nuovo». Dentro queste apparenti novità, possiamo mettere Berlusconi, una buona parte del personale craxiano (per esempio Tremonti, Brunetta, Sacconi), ma anche nomi già conosciuti, come D’Alema, Veltroni e Rutelli. In generale, il personale politico è stato trasformato in un serbatoio di figuri impresentabili, selezionando da un lato i personaggi più malleabili per una politica di violenza sociale, e dall’altro gli oppositori di corte, individuati tra coloro che si sono prestati più facilmente al compromesso per errori di calcolo, per convenienza, per abitudine. Abbandonati gli altri in un tal quale espulso dal circuito politico, i recuperati e i riciclati sono stati posti in posizioni di comando, più robuste delle precedenti. Le segreterie di partito hanno un potere assoluto, specie grazie a un sistema elettorale ferreo, ritagliato da esperti della raccolta differenziata. La legislazione che ha dato forma a questo, subito prima delle elezioni del 2006, come è stata chiamata? Con una formula che è un programma: «porcata». Il nome che allude alla sporcizia, con echi sia stercorari che alimentari, si deve a uno dei principali responsabili, proprio il ministro Calderoli, un medico (fra poco, ne incontreremo un altro).
Più indietro, la storia dell’Italia postunitaria è fitta, in mancanza delle radicali pulizie che sarebbero state necessarie, di recuperi da materiale di scarto, con cui sono state edificate cose a volte maleodoranti ma dure a morire, a volte dignitose ma invece fragili. Forse persino la vecchia formula politica del «trasformismo», benché figlia di un tempo in cui la società dei consumi non esisteva, nasconde un modello fatto di rifiuto e di selezione, ma nella versione povera di una comunità non avvezza al lusso.
Ancora, tornando a tempi più recenti. Dal 2008 al vertice della Confindustria c’è Emma Marcegaglia, un’imprenditrice attiva anche nel settore dello smaltimento. Proprio nel 2008, una delle chiavi della politica berlusconiana è la promessa di risolvere il problema dei rifiuti nelle province più difficili d’Italia. Non verrà mantenuta, e si trascinerà questa situazione paradossale, in cui ai due estremi della società italiana ci si occupa e ci si preoccupa dei rifiuti: profitti e danni non sono uguali, ma abitano lo stesso quadro nazionale. Le volponiane Mosche del capitale hanno trovato la loro merda. Nel frattempo, sino a fine 2010 la Protezione civile è capeggiata da un altro medico: Guido Bertolaso. Chi più dei medici, conosce funzioni e disfunzioni del corpo umano? Chi più di loro, palpa le viscere e ne interpreta le deiezioni?
Un’altra cosa. A fine 2010, una manovra politica nel Partito democratico, agitata dal sindaco di Firenze Matteo Renzi, tenta un regolamento di conti fra segmenti politici della stessa formazione, opaco nel programma ma chiaro nelle ambizioni. Il partecipanti all’iniziativa prendono il nome di «rottamatori». Il documento che viene diffuso, la «Carta di Firenze», fra i giochi di parole di grana grossa, ne contiene uno che chiede «un paese in cui si possa scaricare tutto, scaricare tutti». Dentro questo slogan parolaio, la libertà di accesso ai contenuti di Internet viene accomunata all’eliminazione delle persone. Poco dopo, Renzi va a trovare Berlusconi nella sua villa lombarda, un incontro pomeridiano in cui il «Corriere della sera» vede una «merenda». Cioè, l’iniziativa comincia con un appello allo smaltimento; la sua prima tappa visibile va a produrre una digestione.
Quanto agli aspetti ventrali della simbologia politica in Italia, ci sono importanti esempi. Un episodio significativo è pochi anni dopo Mani pulite, in un momento chiave del quadro politico berlusconiano. Nel 1997, a casa di Gianni Letta, un accordo concluso fuori delle sedi parlamentari favorisce Berlusconi, imprigionando la politica italiana in miseri tatticismi dai quali non si è ancora ripresa. Il nome con cui quell’intesa viene ricordata è squisitamente postprandiale: «patto della crostata». Adesso, l’allora padrone di casa è il sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega per i servizi segreti.
In precedenza, e con un diverso quadro politico, l’espressione «forchettoni» era entrata nel linguaggio per indicare la proverbiale voracità dei dirigenti democristiani dell’immediato dopoguerra. È possibile che il ricordo freschissimo della fame avesse un ruolo, allora, nell’uso della parola.
Molto più di recente, nel 2010, la piazza di Montecitorio, di fronte alla Camera, vede un ributtante incontro pubblico fra segmenti della destra, con lo scopo di rassicurare gli elettori dopo gli screzi fra Berlusconi e Fini. Leghisti e berlusconiani si fingono concordi mangiando insieme pietanze italiane del nord e del sud. C’è un’immagine in cui la presidente del Lazio Renata Polverini imbocca Umberto Bossi con una forchettata di pasta unta di sugo, e sotto regge con l’altra mano un piatto di plastica. Il suo gesto complice e materno non è solo un riassunto fulmineo della spaventosa volgarità di un intero ceto dirigente, ma anche il paradigma di un’epoca e forse la bandiera di una prerogativa politica: il federalismo ventrale. Persino il compassato quotidiano della Confindustria, mostra quello scatto senza una riga di critica.
Quanto alla contiguità fra gestione del piacere, anche gastrico, manipolazione del consenso e intrigo politico, va citato un personaggio dell’Italia della Guerra fredda, non molto noto, ma importante: Federico Umberto D’Amato. Questo alto funzionario di polizia e agente segreto, anche degli Usa, iscritto alla P2, fu tra i primi produttori del programma pubblicitario Carosello, e in seguito, specialmente dopo il ridimensionamento dei suoi incarichi istituzionali, fu autore di rubriche di gastronomia. Il suo percorso fatto di spionaggio, securitarismo, doppiezza e intrattenimento, è solo apparentemente tortuoso. Per qualche aspetto ha elementi in comune, pur con diversità di incarichi e di schieramenti politici, con quello di Giuliano Ferrara, notabile di partito, giornalista, uomo di spettacolo, già autore della trasmissione televisiva Lezioni d’amore, poi militante cattolico antiabortista, che è ricordato come promotore di un questionario contro le Brigate rosse, per la raccolta di informazioni in forma anonima, e che ha rivelato e poi negato di essere stato un informatore della Cia. Le loro, come quelle di altri in Italia, sono storie di condotte oscure e diversive, di uomini d’ordine e di segreto, come nascosta e inesorabile, figlia del piacere e madre della vergogna è la digestione.
Abbiamo incontrato, in questa breve panoramica sull’Italia, molti elementi. Vorace appropriazione della realtà, della storia, della ricchezza e insomma della vita. Digestione e assimilazione. Selezione, smaltimento, abbandono del rifiuto. Espulsione, con allontanamento o nascondimento, di strutture, cose e persone indesiderate.
Senza pretesa di risposte perentorie, possiamo chiederci se ci sono gli estremi per congetturare l’imminenza di un Partito della Merda, in Italia? Probabilmente – seppure sotto traccia, trasversale a varie forze, segreto come un tubo digerente e prepotente come le sue esigenze – è già fra noi, con un posto decisivo nell’agenda politica.

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