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Una voce dalla prima linea del fronte Mediterraneo

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Soccorso in mare dopo un anno e sette mesi di prigionia in Libia, muore per denutrizione. La nave che lo soccorre è braccata dai militari libici che vogliono catturare fucili alla mano i fuggiaschi del Mediterraneo. Abbiamo raccolto una testimonianza da questa guerra al largo delle nostre coste.

Un mare che è “terra di nessuno”. Il Mediterraneo è un ossimoro in questa guerra delle migrazioni in cui ogni giorno si avventurano centinaia di uomini e donne, in fuga dall’“aiutiamoli a casa loro” del neocolonialismo europeo e dei campi di tortura libici finanziati dal governo italiano. A fronte dell’azione umanitaria delle ONG, messe in difficoltà dall’ostruzionismo dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni e bersagliate dalle dichiarazioni infamanti della politica che le qualifica semplicemente come “taxi dei clandestini”, sta l’enorme numero di rifugiati che continuano a imbarcarsi su gommoni e barche di fortuna. Lo fanno per scappare alle guerre, alla povertà, poi alle torture dei lager messi in piedi dalle strutture parastatali libiche rimaste dopo la destabilizzazione post-2011 — milizie e formazioni “regolari“, bande di trafficanti, cerchie politiche corrotte che approfittano dei soldi offerti da Minniti per “arginare i flussi“.

Hanno fatto scalpore nei giorni scorsi alcuni casi che sono riusciti a rompere il silenzio finendo sui maggiori quotidiani nazionali. Un ragazzo libico giovanissimo, malato di leucemia, i cui due fratelli hanno deciso di affrontare insieme a lui il viaggio attraverso il Mediterraneo per farlo curare in Italia. E un altro ragazzo, Segen, eritreo, imprigionato per un anno e sette mesi nei lager libici elevato all’“onore delle cronache“ perché morto. Morto di fame all’ospedale di Modica pochi giorni dopo lo sbarco, guadagnandosi così un posto in prima pagina su Repubblica. Poco sotto l’articolo che dava notizia del ripescaggio di Minniti nel suo collegio elettorale e annunciava il reingresso in Parlamento dell’uomo che avendo “previsto Macerata” ha sovvenzionato i campi di prigionia libici per fermare il “problema Segen” prima che arrivi. Meglio ammazzarli laggiù che farli ammazzare qui. Occhio non vede, cuore non duole; che logica!

Francesco da 4 anni lavora a Lampedusa. È appena rientrato dall’intervento sulla nave della ONG spagnola Proactiva Open Arms che ha soccorso il barcone di Segen. La Proactiva Open Arms è da 24 ore braccata dai militari libici che chiedono in consegna gli uomini e le donne soccorsi in mare per riportarli nei campi di prigionia dai quali sono fuggiti. La nave resiste all’arroganza assassina della cosiddetta Guardia Costiera libica, che minaccia di aprire il fuoco sulle navi delle ONG pur lontanissime dalle sue acque territoriali. La 42esima missione della Proactiva Open Arms, alla quale Francesco ha partecipato, oltre ai due giovani migranti di cui parlavamo, ha nei giorni scorsi salvato oltre 200 persone.

Pubblichiamo una corrispondenza telefonica con Francesco.

 

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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