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Migrazioni, guerre e ambiente

Dalle missioni militari ai decreti del governo Meloni

Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Emiliano del Coordinamento Antimilitarista Livornese. Buona lettura!

Il 28 settembre il consiglio dei ministri del governo Meloni ha approvato un nuovo decreto sull’immigrazione che con una mano prosegue l’opera di criminalizzazione delle persone migranti e con l’altra aumenta ulteriormente i fondi per le forze dell’ordine e la militarizzazione dei territori.
L’ennesima mossa scellerata per nascondere l’incapacità di gestione del fenomeno migratorio e al contempo soddisfare i mal di pancia dei propri elettori.

La storia delle politiche migratorie in Italia parte da lontano. Dalla legge Martelli del 1990 alla Turco – Napolitano del 1998, che istituì i CPTA (su cui torneremo più avanti), passando per la Bossi – Fini e i decreti Minniti – Orlando, insieme ai vergognosi accordi con la Libia che prevedevano di trattenere i migranti in veri e propri lager, per arrivare ai famosi decreti sicurezza Conte – Salvini e infine quelli del governo Meloni. Tutte queste misure, varate dai governi in cui si sono succedute più o meno tutte le forze politiche, dal centro sinistra alla destra, fino al M5S, sono sempre state criminalizzanti nei confronti delle persone migranti lasciando enormi lacune sia per quanto riguarda i salvataggi sia per quanto riguarda l’accoglienza e l’integrazione. Lo Stato italiano, con la complicità dell’Europa, è responsabile di aver fatto diventare il Mar Mediterraneo il più grande cimitero d’Europa. Dal 2014 ad oggi sono 26 000 coloro che, su questa rotta, hanno perso la vita o risultano dispersi.

Eppure l’Italia, insieme ad altri paesi europei, ha storicamente una politica coloniale nei territori di provenienza di queste persone. Guerre, sfruttamento umano e di risorse, inquinamento ambientale caratterizzano da sempre le attività dei paesi europei e nord-americani in Africa e nel medio oriente.
Il bel paese, ad esempio, conta attualmente più di quaranta missioni militari all’estero attive distribuite tra:

  • Africa: principalmente Nord Africa, Sahel e Corno d’Africa.
  • Asia: principalmente medio oriente, tra cui Iraq e Libano.
  • Europa: il baricentro si è spostato verso l’Europa orientale e si è avviata anche una missione in Ucraina per l’addestramento di truppe in funzione del conflitto con la Russia.

Il costo totale di queste missioni ammonta, per il ministero della difesa, a 1313 milioni a cui si vanno ad aggiungere i costi di altri ministeri (interni, giustizia) per un costo totale di 1708 milioni per il solo 2023. (Fonti: NormalSegreteria (camera.it) , DI0041.pdf (camera.it) )

Per quanto riguarda l’inquinamento ambientale in Africa, le grandi aziende, per lo più Europee e nord – Americane, hanno un elevata attività estrattiva per sfruttare i giacimenti di petrolio o gas, ma non solo. L’italiana Eni (Società per azioni in cui lo Stato italiano detiene la maggioranza delle quote e il controllo) è una delle più operative in questo continente, è infatti il secondo produttore di petrolio e gas in Africa.
Le attività di estrazione/produzione hanno gravi ricadute sui territori in cui avvengono con conseguenze sociali e ambientali devastanti. Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti del cambiamento climatico in corso con desertificazioni, siccità e altri eventi estremi sempre più frequenti che porteranno a cambiare ancora di più le dinamiche in quei territori.

E l’attuale governo cosa ha fatto fino ad oggi sul tema immigrazione?
A Febbraio 2023 è stato varato il decreto Ong che prevede principalmente:

  • Stop a trasbordo di naufraghi e soccorsi multipli.
  • Possibilità per le persone migranti di chiedere asilo direttamente a bordo e non nel Paese di primo approdo.
  • Obbligo di chiedere il porto di sbarco immediatamente.
  • Sanzioni da 10mila a 50mila euro (per il comandante e l’armatore) e confisca della nave in caso di condotta vietata.

Le gravi conseguenze di questo decreto sono evidenti: riduzione drastica delle possibilità di salvare le vite in mare, limitazione dell’operatività delle Ong con aumento dei costi, dovuto anche all’assegnazione di porti lontani dalla zona di soccorso, e violazione dell’obbligo di salvataggio in mare in caso di pericolo.

Va ricordato che arriva in Italia, tramite Ong, una parte minoritaria di persone, il 10%, cioè 10mila su 100mila (dato del 2022).

E’ arrivato poi il decreto Cutro con il quale sono state introdotte una serie di ulteriori restrizioni e misure che ledono i diritti con effetti altamente negativi.

Con questo provvedimento, entrato in vigore il 5 maggio 2023, sarà tra le altre cose, più difficile ottenere la protezione speciale che consente alle persone migranti di restare in Italia per ragioni umanitarie e familiari e non sarà più possibile convertirlo in permesso di soggiorno lavorativo. Sono state inoltre eseguite altre strette per quanto riguarda i permessi di soggiorno per cure mediche, per calamità e per i minori al compimento dei 18 anni per cui il permesso per motivi di studio, lavoro o esigenze sanitarie avrà la durata massima di un anno.

Dopodiché, il 18 settembre, è stato approvato un nuovo Dl che prevede l’aumento del tempo di detenzione delle persone migranti nei CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) da 6 a 18 mesi.

Come anticipato precedentemente, i CPR nascono nel 1998 con il nome di CPTA (Centri di permanenza e assistenza temporanea) con la legge Turco-Napolitano, per diventare poi CIE (Centri di identificazione ed espulsione) nel 2008 e infine CPR. Attualmente in Italia ci sono 10 CPR di cui 9 attivi.

Queste strutture sono vere e proprie prigioni dove sono recluse persone che non hanno commesso nessun crimine. Qui i cosiddetti “migranti irregolari”, detenuti in attesa di essere rimpatriati, vivono  in condizioni disumane.

Diversi rapporti usciti negli anni, redatti da  Medici Senza Frontiere, Amnesty International e più recentemente, una sentenza della corte di cassazione, hanno messo nero su bianco le condizioni degradanti delle persone detenute nei centri con alloggi inadatti, condizioni estreme, scarsa igiene, cibo scadente e sovraffollamento.

Va considerato che solo il 49% della gente detenuta nei CPR viene poi effettivamente rimpatriata.

Ma i CPR sono anche un business importante per il governo; nel periodo 2021-2023 le prefetture competenti hanno bandito gare d’appalto per un costo complessivo di 56 milioni di euro (Fonte: https://www.meltingpot.org/2023/08/laffare-cpr-un-rapporto-di-cild-mette-alla-sbarra-gli-enti-gestori/ ). Probabilmente anche per questo ne vorrebbero costruire uno in ogni regione.

Alla luce di questi dati risulta evidente che queste prigioni servono più che altro a sistemare qualche affare dell’esecutivo più che risolvere, come dicono loro, il problema dei rimpatri.

Nel frattempo hanno ben pensato di introdurre una cauzione di poco meno di 5000 euro che chi richiede asilo può versare per non essere trattenuto nelle strutture. Un vero e proprio strozzinaggio di stato che, come per il business dei CPR, mostra come il governo cerchi di lucrare sulla pelle delle persone in cerca di una vita migliore.

Tra fallimentari ricerche di scafisti sul tutto il “globo terracqueo” e fantomatici accordi con il governo della Tunisia, arriviamo all’ultimo decreto, quello dello scorso 28 settembre.

Anche questa disposizione ha degli aspetti molto critici:

  • Espulsioni eseguite con più rapidità.
  • Verifiche per l’età dei minori non accompagnati anche tramite accertamenti sanitari. Se l’età dichiarata non corrisponde al vero si procede con la condanna ed eventualmente l’espulsione.
  • Le persone con età tra i 16 e i 18 anni potranno essere detenute nei centri per adulti e non solo in quelle dedicate ai minori.
  • Aumento delle spese per l’esercito per l’operazione strade sicure (+400 unità militari) e aumento delle forze dell’ordine per una spesa di 5 milioni nel 2023 e 20 milioni nel 2024 fino al 2030, nel paese con il rapporto forze armate/abitanti più alto d’Europa con un numero ben oltre la media.

In questo quadro è stata affossato ulteriormente il sistema dell’accoglienza che risulta fondamentale per integrare le persone che arrivano in Italia.

Cerchiamo quindi di unire con un filo tutti gli aspetti che sono stati evidenziati, partendo da un punto fermo: le migrazioni sono un fenomeno epocale enorme di non facile soluzione e non un tema da affrontare in modo emergenziale. Da questo punto possiamo estendere la prospettiva e avere uno sguardo più ampio vedendo che si stratta di un problema sistemico. Il sistema capitalista in cui viviamo colonizza, sfrutta le persone e i territori e causa guerre, con il solo scopo di seguire l’interesse dei potenti di turno a discapito delle popolazioni. In tale contesto il governo di destra, che ha basato gran parte della propria campagna elettorale sul tema dell’immigrazione invocando infattibili blocchi navali e alimentando una campagna di odio razzista e repressiva, da una parte è in totale difficoltà mentre dall’altra si muove perfettamente in questo modello di società. In Italia dal primo gennaio al 15 settembre 2023 sono sbarcate circa 127 000 persone, uno dei dati più alti degli ultimi anni. Ciò dimostra che i provvedimenti presi, citati precedentemente, non servono assolutamente a niente dal punto di vista dei flussi ma solo a buttare fumo negli occhi, calmare le turbolenze di qualche elettore e sfogare gli impulsi razzisti di alcuni componenti dell’esecutivo. Incideranno però negativamente sulla vita dei migranti che si vedranno limitate le possibilità di salvataggio e la libertà. Al contempo, con le politiche economiche e sociali messe in campo, vengono seguiti gli interessi di pochi a discapito di molti, facendo i forti con i deboli e i deboli con i forti.
A fronte di questo crescente razzismo, militarizzazione, crisi climatica risulta importante continuare ad essere solidali con i migranti e mobilitarsi sui territori per impedire la costruzione di CPR, basi militari, altre opere di devastazione ambientale e opporsi al continuo aumento delle spese militari a discapito di quelle sociali. Insomma, è fondamentale unire le lotte, perché sono tutte legate l’una all’altra, e non lasciare indietro niente e nessuno.

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