InfoAut
Immagine di copertina per il post

Afghanistan: Ennesima frattura nell’Impero?

||||

L’epilogo dell’occupazione militare “occidentale” dell’Afghanistan scuote il mondo.

A distanza di 20 anni dall’11 settembre e dall’invasione promossa e guidata dagli USA, i talebani si riprendono il paese con una breve e vittoriosa marcia giungendo in una Kabul “arresa”.

Indignazione e sgomento stanno invadendo la stampa e le televisioni mentre lo spettro di un secondo emirato talebano diviene realtà.

L’imbarazzo della politica statunitense e occidentale è evidente, come altrettanto chiara è la goffaggine comunicativa, ma anche pratica, della ritirata in corso.

Di seguito proviamo ad evidenziare alcuni nodi che ci sembrano centrali per avviare un ragionamento sul significato del disimpegno americano dal paese e alcune prime considerazioni sulle conseguenze geopolitiche.

 

La fine della stagione unipolare?

 Nei vent’anni trascorsi dal lancio della dottrina Bush della “guerra preventiva”, le battute d’arresto della leadership statunitense sono state molteplici ed hanno riguardato diversi ambiti dell’ordine internazionale da loro creato.

Crisi finanziaria globale 07-08, stallo delle guerre mediorientali, ascesa cinese, il Covid-19, conflitti interni sono solo alcuni macro-temi che hanno sottratto consenso e creato minacce alla guida USA.

La cosiddetta “egemonia liberale” è entrata in crisi in ciascun suo ambito: dalla fornitura del bene “sicurezza” (dal pericolo sovietico), al funzionamento scorrevole del libero mercato globale, e infine, al rispetto delle leggi internazionali e delle istituzioni multilaterali.

Questo paradigma di governo globale, lontano dall’incarnare reali principi di cooperazione, sviluppo complessivo, e autodeterminazione per i popoli, ha rappresentato un delicato equilibrio tra gli USA e i propri alleati, funzionale nel corso degli anni ’60-70-80 nel temperare le spinte rivoluzionare interne ed esterne all’ordine incentrato su Washington.

Il primo aspetto di questo delicato equilibrio che è entrato in crisi è stata la fine della minaccia che imponeva la fornitura di una “sicurezza”. La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha cambiato la natura stessa dell’ordine fondato dopo la Seconda Guerra.

Il passaggio da un’sistema bipolare ad unipolare ha cambiato radicalmente la combinazione di consenso e comando con il quale gli USA si proponevano di guidare i propri alleati e il mondo.

Come già evidenziato da Immanuel Wallerstain nel 1993, “il collasso del blocco comunista ha rappresentato un disastro geopolitico per gli Stati Uniti, in quanto ha eliminato l’arma ideologica con la quale essi impedivano alla Comunità Europea e al Giappone di portare avanti i propri interessi”.

L’avvento della war on terror costrinse i paesi dell’ordine liberale a far quadrato intorno alla leadership americana.  

In quest’ottica, le invasioni di Iraq e Afghanistan, mal digerite dai vassalli UE e Giappone, possono essere lette come l’apice del delirio unipolare a stelle e strisce.

Se l’Afghanistan era stato riconosciuto dalle risoluzioni ONU come problema di carattere globale per la diffusione di cellule jihadiste sul proprio territorio, la guerra in Iraq, iniziò senza alcun mandato internazionale se non la volontà americana di abbattere il regime di Saddam.

Le norme internazionali erano il perimetro nel quale gli altri attori dovevano muoversi, non gli USA.

Con l’attuazione di un’efficace politica militare di regime change gli Stati Uniti miravano a conseguire sinteticamente due scopi: mostrarsi simbolicamente e materialmente vincenti sul fondamentalismo islamico, designato come nuovo male dal quale “proteggere” il mondo dopo la dissoluzione sovietica e, in secondo luogo, assicurarsi ampie zone ricche di giacimenti petroliferi e minerari in un’area fondamentale in quanto ponte tra Cina, India e Medio oriente.

Lungo questi vent’anni gli equilibri del gioco tra le grandi potenze sono notevolmente cambiati.

Con intensità e ambizioni differenti, Russia, Cina, ed Iran svolgono un ruolo più proattivo e hanno maggior peso nei propri affari regionali.

La Turchia, membro NATO, ha intrapreso un proprio percorso egemonico regionale nel mediterraneo, tra l’altro con una forte connotazione religiosa.  

L’economia globale è sempre meno imperniata sull’occidente e l’accumulazione, soprattutto per le classi medie occidentali, è fortemente minacciata da almeno tre grandi tensioni: concorrenza dell’Asia orientale, una stasi di sovrapproduzione (approfondimento qui), infine dall’inestricabile volontà capitalista di creare monopoli che fuggano concorrenza e competizione per massimizzare i profitti.

Tutto ciò non può certo essere unicamente attribuito alle invasioni di Iraq e Afghanistan, ma è indubbio che esse si siano rivelate dei boomerang economici e geopolitici.

Per quanto concerne il primo aspetto, basti pensare che la spesa USA nel solo conflitto afghano si aggira intorno al trilione di dollari.

Buona parte finanziata con i pagherò del tesoro americano che prosegue ad indebitarsi tramite l’infinita (?) espansione monetaria (emissione di moneta), che sta caratterizzando tutto il XXI secolo.

In secondo luogo, vale la pena ricordare che in Iraq, la destituzione del dittatore sunnita Saddam Hussein ha innescato otto anni di guerra civile, conclusi con la costituzione di un esecutivo espressione della maggioranza sciita.

Il forte sentimento anti-americano nelle popolazioni di ogni confessione ed etnia ed il “naturale” avvicinamento dei vertici sciiti verso l’Iran sono solo due elementi che mostrano chiaramente l’arretramento degli interessi americani nell’area.

A questo proposito è necessario menzionare come la “risoluzione” del conflitto civile siriano iniziato nel 2011 stia procedendo con gli Stati Uniti che recitano un ruolo secondario se non marginale.

Essi infatti sono assenti dal tavolo di trattative di Astana, dove prendono parte Turchia, Iran, Siria di Assad, Russia, e forze sunnite para-jihadiste ancora sparse per la Siria orientale.

Gli sceriffi del globo sono stati pressoché espulsi da un’area del pianeta.

Il delirio unipolare, così come concepito nel corso degli anni ’90, sembra essersi evoluto verso una nuova postura “isolazionista”. Tuttavia, con questo termine non si intende un arretramento delle ingerenze americane e/o un disinteresse per le questioni globali, ma l’interruzione di cooperazione internazionale e sottrazione dagli ambiti multilaterali quando questi non sono limpidamente garanti del perseguimento dell’interesse USA. Il caso recente del de-finanziamento dell’organizzazione mondiale della Sanita (OMS) può essere un buon esempio.

Dire che non ci saranno altri Afghanistan sarebbe ingenuo, tuttavia tesoro e opinione pubblica statunitense difficilmente supporterebbero e sopporterebbero altre débâcle.

Le guerre in medio-oriente “americane” devono finire non solo per la manifesta inadempienza ad ogni promessa di risultato umanitario ma anche per la necessità di allocare risorse economiche e militari su nuovi fronti.

Il fronte della transizione ecologica, con la riconfigurazione della ricerca estrattiva, potrebbe essere il nuovo terreno di confronto “fisico” della lotta inter-capitalista globale.

Torniamo alla domanda iniziale del titolo. L’Afghanistan rappresenta una nuova frattura nell’impero USA?

Da una certa angolatura, la risposta non può essere che si.

Tuttavia, delineando le difficoltà e i contraccolpi subiti dalla leadership statunitense si rischia sempre di cadere nella trappola che Susan Strange, definiva come “il persistente mito dell’egemonia persa dagli Usa.” (The persitent myth of lost hegemony).

L’autrice marxista, già nel 1987, sosteneva che l’egemonia statunitense poteva nutrirsi anche del caos da essa stessa scatenato, l’insicurezza e le minacce globali sarebbero servite a rinsaldare le fila degli alleati e aumentare il potere strutturale degli Usa, sia esso militare sia esso monetario tramite il dollaro.

La capacità degli Usa di continuare a governare la civiltà mondo-capitalista rimane una domanda centrale che continuerà a rappresentare un asse focale del sistema che affrontiamo.

Non possiamo ancora farci abbagliare dall’avvento di un secolo “cinese”, dicotomia atta ad alimentare una coesione interclassista contro il pericolo “giallo”, ma dobbiamo indagare cosa ci imporrà l’attuale frattura tra il potere economico dell’Asia orientale, e non della Cina, e lo strapotere militare degli Usa.

55fbb50e9dd7cc23008bb466

Non è Saigon.

Com’è noto, le condizioni per avviare l’invasione dell’Afghanistan nascono con l’attentato del 11 settembre. Meno di un mese dopo, l’aviazione USA e inglese inizia i bombardamenti sulle maggiori città afghane alla ricerca delle basi di Bin Laden e Al Qaeda. A novembre dello stesso anno, la spedizione occidentale conquista il paese.

Bastano queste poche righe ad evidenziare quanto le immagini della farraginosa ritirata di oggi dell’aeroporto di Kabul e quelle di Saigon del 30 aprile 1975 siano assimilabili solo da un punto di vista fotografico.

In Vietnam, le forze militari americane, come ampiamente riconosciuto nei famosi “Pentagon Papers”, non hanno quasi mai avuto la possibilità di respingere la riunificazione del Vietnam guidata dalle forze comuniste di Ho Chi Minh.

Il conflitto, dall’ingresso americano (1962), si è protratto 13 anni unicamente per la volontà americana di non conseguire una sconfitta militare e per paura di innescare un “effetto dominio” che desse slancio alle miriadi di movimenti comunisti sparsi per il mondo.

In Afghanistan, gli occidentali hanno vinto la guerra in poche settimane, per poi ritrovarsi per le mani un paese utile solamente a riaffermare il proprio dominio sull’area, senza nessuna idea o volontà di investire nella ricostruzione o di aumentare il benessere di trenta milioni di persone che vivevano costantemente in guerra da 30 anni (oggi 40).

Anche per quanto concerne l’opinione pubblica americana, il ritiro da Kabul e quello da Saigon sono molto distanti.

Nel conflitto vietnamita morirono 60 mila soldati americani appartenenti ad un esercito di leva, e gli Stati Uniti dovettero fronteggiare un imponente movimento pacifista interno. Mentre nei 20 anni di occupazione afghana i morti americano sono stati 2000 (3000 quelli dell’intero contingente).

Le vittime afghane sono state 243 mila.

kabsai

Il “teatrino” Afghano

Il teatrino alla ricerca di Bin Laden e dei covi di Al Qaeda è andato avanti per anni, mentre il paese viveva una condizione di occupazione dove il celebre “state-building” veniva espresso da una corruzione diffusa e tramite una continua concertazione con le forze jihadiste sul campo.

Molte aree periferiche dell’Afghanistan hanno continuato a vivere seguendo la legge islamica lungo tutto il conflitto sottraendosi alle istituzioni e alle dinamiche di Kabul.

A questo proposito è sempre necessario menzionare come il territorio che oggi costituisce l’Afghanistan “moderno” sia il risultato degli scontri imperialistici lungo il XX secolo, tra Russia zarista e sovietica, ottomani e britannici.

Una terra che è stata crocevia di culture e migrazioni per millenni, con le conseguenti profonde differenze etniche e religiose tra le differenti regioni del paese, province tra loro “frammentate” dalla presenza dei più grandi massicci montuosi del pianeta (Hindu Kush).  

Una terra e i suoi popoli che da decenni risultano essere un enigma per tutti gli invasori, sovietici compresi.

Prendere Kabul non vuol dire prendere l’Afghanistan, ma d’altronde nessuno voleva veramente prenderlo.

Questo rende più semplice comprendere come i talebani da almeno dieci anni abbiano ricominciato a costruire relazioni e accantonare forza nell’attesa dell’inevitabile ritiro occidentale.

Il confine con il Pakistan è un confine poroso, nel sud-est del paese, i talebani hanno atteso e organizzato il loro rientro in scena.

163311 sd

Russia e Cina: pericolo “giallo” e scontro di civiltà.

Scaricare le responsabilità per ogni insuccesso “occidentale” su Russia e Cina sarà la narrazione comunicativa dei politici e della stampa occidentale per gli anni avvenire.

Nel contesto pandemico, i vaccini prodotti da Russia e Cina, che sembrano avere bene o male le stesse problematiche e utilità di quelli made in USA, sono stati bollati come veleno al cianuro.

Le dichiarazioni dei capi di Stato sull’emergenza climatica trattano sempre meno nel merito il problema delle emissioni e sempre più il fatto che la Russia, la Cina, e bisogna aggiungere l’India in questo caso, boicottino le iniziative multilaterali per salvare il pianeta.

Ovviamente, le responsabilità sono ben condivise tra tutte le élite nazional-capitaliste ma ogni attore tenta di scaricarle verso l’esterno. In Cina, ad esempio, l’ingerenza statunitense viene sempre più sbandierata dai media nazionali per rafforzare una coesione identitaria che anestetizzi le tensioni sociali interne.

Per quanto riguarda la “ritirata afghana”, si tenta di narrare la rapida avanzata talebana come il risultato di un favoreggiamento promosso in concertazione da Putin e Xi Jinping.

Falsità che la Russia e Cina rispediscono al mittente sottolineando di aver anche supportato in principio l’invasione americana.

Nel lontano 2001, la Cina, ben lontana dal rappresentare il compitor di oggi, supportò anche in sede di consiglio di sicurezza dell’ONU (risoluzione 1386) l’idea della guerra al terrorismo islamista.

Da una parte, è necessario menzionare che quella votazione avvenne appena 9 giorni dopo l’accettazione cinese all’interno dell’organizzazione mondiale del commercio (11 dicembre 2001).

Non è speculazione pensare che l’allineamento cinese fosse necessario nell’ottica di mostrarsi un player affidabile per i capitali occidentali.

Dall’altra parte, Il Partito Comunista Cinese ha sempre considerato un problema la presenza delle minoranze turcomanne islamiche nelle zone occidentali del proprio paese.

Il popolo Oiguro, gli abitanti dello Xinjiang, sono sempre stati duramente repressi e discriminati da Pechino che ha ultimamente rincarato la dose nell’ottica di aumentare il numero di infrastrutture nelle province interne: la celebre “nuova via della seta”.

Ad oggi, che la Cina sorrida per l’ennesima figuraccia statunitense non c’è dubbio. Ogni danno al “consensus” di Washington può migliorare l’immagine di Pechino.

Lavrov e Wang Xi, rispettivamente ministro degli esteri russo e cinese, hanno incontrato delegazioni talebane.

La stessa cosa che stanno facendo da anni gli americani nell’ambito dei tavoli diplomatici di Doha (Qatar) dove lo scorso anno (29 febbraio 2020) Donald Trump ha firmato accordi per il ritiro delle truppe americane entro 14 mesi al quale sarebbe seguito un ritorno al potere dei talebani.

Lo stupore delle cancellerie occidentali è una farsa.

Tuttavia, la postura cinese non è assolutamente disinteressata e a differenza del mondo occidentale, Pechino ha già le idee chiare su cosa farsene di un Afghanistan nella propria sfera d’influenza.

Ci sono almeno due aspetti da sottolineare:

In primis, un accordo con i talebani permetterebbe ai cinesi di indebolire il “nemico interno” oiguro tagliando a questi ultimi i legami con degli alleati storici, che a breve saranno nuovamente in possesso di una terra franca per l’internazionale jihadista.

In secondo luogo, i cinesi stanno cercando attraverso “la nuova via della seta” e la Asian Investment and Infrastructure Bank (AIIB) di dotare di infrastrutture l’intera area centrale della piattaforma asiatica attraverso la creazione di corridoi stradali, gasdotti e oleodotti che garantiscano al paese l’indipendenza energetica senza la necessità di transitare per l’oceano indiano, dove lo strapotere navale statunitense è ancora netto.

A9CEAD5D 3666 43A2 A0BB 43FBE15326E0 720x390

In Italia

Concludiamo con qualche battura sul solito circo della politica italiana.

La politica italiana è divisa tra chi fa a gara a strillare contro i profughi in arrivo, che al momento si trovano a circa 7.000 km dai nostri confini, e chi è già vedova dell’invasione più fallimentare di sempre.

Oltre la guerra, sul corpo delle donne afghane, si sta perpetrando la strumentalizzazione della loro condizione per stimolare lo sdegno di una paternalista comunicazione giornalistica.

Non esistono talebani moderati così come non esistono teocrazie non patriarcali.

In Afghanistan si tornerà ad applicare una legge islamica simile a quella del nostro alleato Saudita.

Eppur per l’Arabia si parla di “Rinascimento”.

Draghi si dà un tono con telefonate ai leader che contano per aggiornare l’agenda dei G7 e G20, quest’ultimo in programma a Roma.

Sulle colonne del Corriere della Sera, il Professor Angelo Panebianco, noto guerrafondaio suprematista occidentalocentrico, scomoda Huntington e “lo scontro di civiltà”, paventando all’orizzonte un’alleanza tra Jihadismo, Comunisti cinesi e Russi pronto a distruggere il “mondo libero”.

Ogni ulteriore peggioramento delle nostre condizioni di vita verrà sempre più intimamente legato all’ascesa di altri paesi e dei movimenti islamisti al fine di creare una coesione identitaria mortifera per un riscatto globale e il superamento della società capitalista.

Così come loro, anche noi dobbiamo tornare ad aggiornare la nostra agenda, a rifiutare la guerra e le dicotomie narrative della controparte siano esse Usa contro Cina, o talebani versus eserciti stranieri.

140207365 f8acaaff 3af8 4bc6 b06e c881e660fb75

 

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

afghanistan

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Brasile: la questione dei terreni e l’influenza politica nelle zone delle milizie hanno motivato l’assassinio di Marielle Franco

Secondo il documento, i fratelli Brazão decisero di assassinare Marielle Franco perché si opponeva alla votazione del Progetto di Legge (PL) 174/2016, di cui era autore Chiquinho Brazão, allora consigliere.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Appello dei lavoratori palestinesi per la Giornata della Terra. Lottiamo per la nostra terra e per la nostra libertà

Il 30 marzo in Palestina è il Giorno della Terra, che ricorda i caduti negli scontri del 30 marzo 1976 quando l’esercito israeliano inviò le proprie forze in tre paesi (Sachnin, Arraba e Deir Hanna) allo scopo di reprimere le manifestazioni che ebbero luogo a seguito della decisione delle autorità israeliane di espropriare vasti terreni agricoli. 

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La Russia, l’ISIS e lo scacchiere della Jihad internazionale

La Russia è da tempo nel mirino dell’Isis e il gravissimo attentato di Mosca ne è la conferma. L’Isis, nonostante la sconfitta del Califfato nato tra Siria e Iraq, continua ad essere forte nel Caucaso, nel cosiddetto Khorasan e in Africa.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

In Italia stanno sbarcando molti mezzi militari americani

La denuncia dei portuali del Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali (CALP) di Genova

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bologna: dopo le cariche all’inaugurazione dell’anno accademico, occupato il rettorato

Occupato il rettorato dell’Università di Bologna. L’iniziativa si inserisce all’interno della “Israeli Genocide Week”, settimana di solidarietà e mobilitazione nelle Università contro il genocidio in corso a Gaza, promossa dai Giovani Palestinesi d’Italia.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Argentina: Un’altra provocazione di Milei che annuncerà un indulto per i genocidi

Il presidente Javier Milei, su richiesta della sua vicepresidente Victoria Villarruel, ha deciso che il prossimo 24 marzo concederà un indulto a tutti i militari genocidi

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Misure cautelari per tre militanti di Antudo per un sanzionamento alla Leonardo SPA. Repressione su chi fa luce sulle fabbriche di morte e le guerre in atto

Ieri mattina la Questura di Palermo ha eseguito tre misure cautelari, due obblighi di firma e una custodia cautelare in carcere per tre militanti di Antudo.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bologna: “UNIBO complice del genocidio. Stop accordi con Israele”. La polizia carica il corteo per la Palestina

Centinaia di studentesse e studenti in corteo per le strade di Bologna mentre si svolge l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università felsinea alla presenza della ministra Bernini.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il senato accademico di Unito blocca il bando Maeci sugli accordi di cooperazione con le università sioniste

Riceviamo e ricondividiamo il comunicato del CUA di Torino sul blocco del senato accademico dello scorso martedì. IL SENATO ACCADEMICO DI UNITO BLOCCA IL BANDO MAECI SUGLI ACCORDI DI COOPERAZIONE CON LE UNIVERSITÀ SIONISTE Ieri, dopo ore passate in presidio al rettorato dell’università di Torino, dopo mesi di mobilitazione, è stata ottenuta una prima vittoria: […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Palestina: Israele all’attacco dell’ospedale Al Shifa, di Rafah e di Jabalya. Picchiato in carcere Marwan Barghouti.

Palestina. “A Gaza 150 strutture dell’Unrwa sono state distrutte, 400 addetti sono stati uccisi e più di 1.000 feriti. Israele ha inoltre arrestato diversi dipendenti e li ha maltrattati, mentre civili e bambini continuano a morire e la fame aumenta”.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

AFGHANISTAN: ATTACCO SUICIDA IN UNA SCUOLA DI KABUL. OLTRE TRENTA MORTI, LA MAGGIOR PARTE STUDENTESSE

Afghanistan. Il bilancio provvisorio è di circa 30 persone uccise e oltre 40 ferite in un attentato suicida, seguito da una sparatoria, in un un centro educativo a ovest di Kabul avvenuto venerdì mattina, 30 settembre 2022. L’esplosione è avvenuta all’interno del centro educativo “Kaj” nel quartiere di Dasht al-Bar-shi, abitato da sciiti e in […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Afghanistan, attori internazionali, crisi umanitaria, Isis K

Abbiamo chiesto a Laura del CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), attivo nella promozione di progetti di solidarietà a favore delle donne afghane sin dal 1999, di raccontarci come stanno andando le cose in Afghanistan a ormai tre mesi e mezzo dall’insediamento del governo dei Talebani. Ci ha restituito il quadro di un paese al […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’opera dell’imperialismo e dei suoi scagnozzi (alleati) non è una sorpresa

Il punto di vista di Rawa sulla condizione in Afghanistan. Ottobre 2021. Estratto del dossier pubblicato da Rawa * Per la maggior parte degli opinionisti politici la veloce conquista di Kabul da parte dei talebani è stata una sorpresa perché non si pensava così immediata. Questo è successo perché i militari afghani non hanno fatto nulla […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La lotta delle donne afghane per la libertà e la democrazia non sarà mai un fallimento

Dichiarazione di RAWA sul 20° anniversario dell’occupazione dell’Afghanistan da parte di USA/NATO Dopo vent’anni di guerra, il massacro di decine e migliaia di innocenti e la consegna dell’Afghanistan ai loro tirapiedi talebani (assicurando loro 85 miliardi di dollari in armi ed equipaggiamento militare), gli Stati Uniti e la NATO hanno parlato di “fallimento strategico” in […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Note di carattere militare sulla disfatta occidentale in Afghanistan

di Sandro Moiso per Carmilla Il lettore non deve aspettarsi di trovare uno studio generale di «scienza militare» o l’esposizione sistematica di una teoria dell’arte militare. No, il problema di Engels era […] di aiutare il lettore ad orientarsi sul corso delle operazioni e anche di sollevare, di quando in quando, quello che si usa […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Contro il fondamentalismo, la violenza patriarcale e l’oppressione: libertà di movimento per tutte e tutti. Statement sulla situazione in Afghanistan

di E.A.S.T. (Essential Autonomous Struggles Transnational) → English Tanto la guerra in Afghanistan quanto la supposta fine della guerra si giocano sulla vita delle donne. Prima, abbiamo assistito all’ipocrita grido di protesta a favore dei diritti delle donne, a cui è seguita una spietata guerra durata vent’anni che ha colpito in misura maggiore proprio le […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

“Lettera aperta a Merlo e compagnia” di Bifo

Di Franco Berardi Bifo da comune-info.net   Il coro di raffinati intellettuali ha ripreso a cantare: esportare la democrazia è un nostro diritto, anzi un nostro dovere! Cantano nel coro illustri intellettuali come Francesco Merlo, Ernesto Galli della Loggia, Fiamma Nierenstein e naturalmente Giuliano Ferrara. Colpito da tanta passione democratica sono andato a informarmi, e […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Le radici politico-ideologiche del disastro afghano

La sconfitta statunitense è politica e il giudizio che la riguarda non può astenersi dall’interrogare l’identità ideologica stessa e il ruolo storico degli Stati Uniti. Di Davide Grasso da Micromega Biden si è rivolto al popolo statunitense – che non ama (ammettere) le sue (continue) sconfitte – solleticando sentimenti sottilmente «suprematisti»: siete sicuri, ha chiesto, […]