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Ordinare la crisi o disordinare il governo?

Chi di magistratura ferisce, di magistratura perisce. O, per dirla con quell’altro, chi crede nella giustizia verrà giustiziato. Si potrebbe riassumere così, con una facile battuta, la parabola del M5s alla prova dei governi cittadini. Una parabola non difficile da prevedere, una linea di sviluppo certamente interna alla caotica costellazione del movimento di Grillo. E tuttavia, lo abbiamo detto fin dall’inizio e i fatti ci hanno dato ragione, le contraddizioni e le ambiguità anche profonde del M5s non riguardano solo delle posizioni dei ceti dirigenti, ma innanzitutto una composizione sociale allargata e in buona misura colpita dalla crisi che nel M5s trovano una forma di espressione e partecipazione, forte o debole che sia. Dall’Onda in avanti, è dentro questa composizione che con fatica ci muoviamo. Ergo, fare i conti con quelle contraddizioni e ambiguità è da diverso tempo necessario per immaginare una linea di sviluppo autonoma e non istituzionale di quella composizione.

Era prevedibile, dicevamo, e in parte lo era anche tra i grillini. La senatrice Taverna, prima delle amministrative, diceva che c’era un complotto per farli vincere a Roma: “Quando saremo al governo della città, chiuderanno ogni rubinetto. Avremo tutti contro: governo, regione, giornali locali gestiti dai palazzinari. Nella capitale ora vogliono metterci il Movimento 5 Stelle per poi togliergli i fondi e fargli fare brutta figura”. Al di là del sapore dietrologico e chiaramente autogiustificativo, la previsione ha perlopiù colto nel segno. I media si sono scatenati contro i 5 stelle, a cominciare ovviamente dal Partito di Repubblica. Mentre “l’affaire Marra” campeggia con titoli a nove colonne di anti-berlusconiana memoria, le vicende dell’expo-corrotto Sala sembrano rubricate a beghe di un piccolo comune periferico. La recente bocciatura del bilancio preventivo del governo capitolino, assunta anche a sinistra come dimostrazione dell’incompetenza della Raggi, è un’ulteriore stretta nei diktat del governo dell’austerità centrale e un’indicazione ad accelerare sulla strada delle privatizzazioni.

Gli esempi potrebbero continuare, ma non è tanto questo il punto che ci interessa, anche perché appunto si tratta di ciò che era piuttosto prevedibile. Il punto è che il tempo delle scelte è per i 5 stelle sempre meno rinviabile. Tra i poteri citati da Taverna non c’è, per esempio, la magistratura: si capisce bene il perché, dato il tratto giustizialista che fin dall’origine caratterizza il M5s. Eppure, se ce ne fosse bisogno, dovrebbe adesso essere anche a loro chiaro come si tratti di un’istituzione tutt’altro che neutrale o garante degli interessi dell’astratta figura del “cittadino”. La magistratura è nelle mani delle lobby politiche ed economiche dominanti, in Italia in buona misura del PD, dei banchieri e dei palazzinari. Era scontato che non appena il M5s avesse iniziato a governare in qualche città importante, la magistratura sarebbe andata in soccorso del malconcio partito renziano; così come era scontato che i dirigenti di Banca Etruria e Cassa di Risparmio di Ferrara venissero assolti, alla faccia di quelle decine di migliaia di risparmiatori che qualcuno pensava potessero trovare nella magistratura una forma di tutela e risarcimento. Giustizia penale, insomma, non fa mai rima con giustizia sociale, perché la corruzione è sistemica ben prima di essere individuale: questa è una lezione che i 5 stelle dovrebbero imparare in fretta, meglio tardi che mai. Allo stesso tempo, dovrebbero anche aver fatto esperienza di cosa significa stare dentro le istituzioni. Laddove tengono in mano le leve del governo cittadino, si trovano circondati da un apparato amministrativo e burocratico consolidato, che risponde al sistema dei partiti che l’ha prodotto.

Eppure, i sondaggi degli ultimi giorni ci dicono che, Raggi o non Raggi, il “complotto” non riesce a “fargli fare brutta figura”, o quantomeno i danni nelle proiezioni elettorali sembrerebbero estremamente limitati. Ciò perché comportamenti e umori della composizione sociale sono sempre più lontani da quello che succede nei palazzi, della politica e dei media, e sempre meno sono da essi condizionabili o almeno prevedibili. All’interno del “grillismo”, perciò, dovrebbe essere evidente che il loro destino è legato alla composizione sociale e non ai compromessi o ingenui affidamenti in qualcuno dei vari organi del potere istituzionale, in primis la magistratura. Tanto per dirne una, di particolare importanza: il Tav è bloccato dal movimento popolare, non da votazioni parlamentari e giudici che hanno ampiamente dimostrato da che parte si collocano. Dall’esterno, invece, continuare a insistere sulle ambiguità del M5s é inutile, perché a noi non interessa il destino di questo o di un altro partito. Lasciamo la denuncia di ogni sciocchezza retorica dei 5 stelle ai professionisti dell’anti-grillismo, a quei livorosi entomologi ed esegeti del pensiero pentastellato che pullulano a sinistra e – per stucchevole ingenuità o calcolato interesse – non si curano mai del nemico principale, ovvero del Pd e affini. Costoro sperano in una governabilità di sinistra e del politically correct, vogliono ritoccare e non rompere le forme della rappresentanza, e si preparano all’ennesima farsa della costituzione del soggetto di sinistra (“quello vero stavolta, mica come le centinaia di volte precedenti!”) oppure direttamente a fare il salto nelle quaglia dentro o nei paraggi del Pd – come ha già fatto la “Migliore gioventù”, cioè gli ex giovani rifondaroli di Gennaro Migliore. Costoro stanno, oggettivamente e spesso soggettivamente, dall’altra parte. A noi interessa, al contrario, quanto le contraddizioni e le ambiguità nella composizione sociale possano rovesciarsi in espressione di ingovernabilità.

Infatti, belle o brutte che saranno le figure nei governi locali, il bivio dei 5 stelle lo possiamo descrivere così, tagliando con l’accetta un calderone confuso e contraddittorio: diventare un elemento di riforma della governabilità, oppure essere un cuneo che la impedisce. La prima strada è la più verosimile, probabilmente iniziano a guardare a questa possibilità anche parti delle elite nazionali e internazionali pragmatiche e realiste. Lo stesso M5s sembra andare in questa direzione nei primi mesi del “complotto per farli governare”, soprattutto nel marciume romano. La seconda strada esprime, in forme estremamente diverse, un sentire comune e diffuso: l’avversità alla politica istituzionale, quella che è stata chiamata anti-politica e che in realtà è una potenziale istanza di destituzione del potere esistente. Nessuna delle sue strade, ça va sans dire, corrisponde a posizioni chiare e definite, tutt’altro. Ci dice però che la dialettica interna al caotico magma del M5s, perfino la sua potenziale implosione, non avverranno secondo l’asse destra-sinistra, come auspicato tanto da destra quanto e forse soprattutto da sinistra. Poiché quell’asse rappresenta la costituzione formale delle istituzioni completamente svuotata e superata dalla costituzione materiale dei comportamenti sociali, la dialettica ci pare in prospettiva destinata a giocarsi sull’asse governabilità-ingovernabilità. Ed è ancora una volta dentro l’ambiguità del secondo polo, dentro la composizione sociale e non nelle istituzioni, che dobbiamo giocare la nostra partita. La partita della rottura, perché solo nel disordine della rottura è possibile costruire l’ordine dell’autonomia.

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