
Morte di Ramy Elgaml: altri due indagati per falso tra i carabinieri premiati con l’Ambrogino d’Oro
Altri due carabinieri sono stati iscritti nel registro degli indagati con le accuse di aver fornito false informazioni al pubblico ministero e di falso ideologico in atti pubblici nell’ambito dell’indagine sulla morte di Ramy Elgaml, il 19enne del quartiere Corvetto di Milano morto lo scorso novembre dopo essere caduto dal motorino su cui viaggiava con un amico durante un inseguimento da parte dei carabinieri.
I due militari appartengono al nucleo radiomobile intervenuto quella notte. Non è ancora chiaro a quali episodi si riferiscano esattamente le contestazioni, ma è verosimile che l’accusa di false informazioni riguardi le dichiarazioni fornite ai magistrati come persone informate sui fatti, mentre il presunto falso ideologico riguarderebbe il verbale redatto subito dopo la morte di Ramy Elgaml.
Complessivamente salgono a sette i carabinieri indagati, anche se uno solo è accusato di omicidio stradale: si tratta di Antonio Lenoci, alla guida dell’auto che stava inseguendo Ramy. Con la stessa accusa è indagato Fares Bouzidi, che guidava lo scooter su cui viaggiava il 19enne. Gli altri militari sono invece coinvolti in una seconda indagine per presunto depistaggio: sono accusati di aver fatto cancellare un video girato da un testimone che mostrava il momento della caduta, ritenuto importante perché una delle prime ipotesi era che fosse stata provocata da un contatto tra l’auto dei carabinieri e il motorino, circostanza su cui le perizie finora effettuate hanno fornito risultati contrastanti.
Sullo sfondo di queste indagini ancora aperte pesa la decisione del Comune di Milano di attribuire l’Ambrogino d’Oro proprio al Nucleo Radiomobile coinvolto nell’inseguimento che portò alla morte di Ramy. Una scelta non solo inopportuna, ma politicamente grave: avviene infatti nello stesso anno dell’episodio, mentre le responsabilità non sono ancora state accertate e persistono zone d’ombra nelle ricostruzioni ufficiali. L’inseguimento stesso – privo di motivazioni solide e segnato da versioni contraddittorie – solleva interrogativi profondi sull’uso della forza, sulla legittimazione di pratiche rischiose e sul clima sociale in cui certe azioni trovano copertura. Per la famiglia di Ramy, per chi chiede verità e giustizia e per una parte della città, questo riconoscimento rischia di trasformare un caso ancora aperto in una narrazione già chiusa, spostando l’attenzione dalla ricerca dei fatti alla celebrazione dell’istituzione coinvolta. Ed è proprio contro questa normalizzazione che molti continuano a mobilitarsi: perché una medaglia non cancelli le responsabilità, né impedisca che su quella notte si faccia piena luce.
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