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Su Lars Von Trier

di kinoglaztorino.blogspot.com

Ci sono molti modi per vedere un film. Con gli occhi, con la testa, con il cuore. Alcuni, sono come un colpo di fulmine, altri ti prendono allo stomaco. Altri ancora, a naso, lasciano dei dubbi. Di Lars Von Trier, per esempio, non ci siamo mai veramente fidati. Personalmente, vidi Europa alla sua uscita, e ci capì molto poco. Le onde del destino, lo difesi con gli amici che lo trovavano ridicolo, nonostante la fatica della visione e le perplessità sui “contenuti”. Avevo voluto “concedere” un’opportunità al regista, pensando che al fondo di tanta esibizione del dolore vi fosse dell’umana pietà. Insomma, che non si potesse essere davvero così meschini da divertirsi con i sentimenti altrui e passarla liscia. Dancer in the dark, qualche anno dopo, mi dimostrerà che mi ero sbagliato. Non c’era molto da difendere. Da allora non sono più riuscito a vedere un film di Lars Von Trier.
Il suo è sì un cinema della crudeltà, ma verso lo spettatore. Questi è la vittima di un gioco sui sentimenti, sulle emozioni e anche sul pensiero, fine a se stesso. Nei film di Von Trier non vi è alcuna tragedia, alcuna catarsi. Solo eccessi, che traggono in inganno. Ma sarebbe anche sbagliato considerare Von Trier un sadico. Ciò che abilmente viene fatto apparire profondo e intenso, altro non è che gretto cinismo. Il sadismo, quello vero, quello del marchese de Sade, in realtà – giustamente – lo terrorizza. A lui è sufficiente giocare col ruolo che il suo talento innegabile gli ha permesso di costruire, quello del “provocatore organico” al mainstream, per sentirsi realizzato. I premi che puntualmente riceve ne sono la dimostrazione, il suo vero successo.

Finchè un giorno, al festival di Cannes 2011, il regista danese si lascia scappare alcune frasi:
“Per lungo tempo ho pensato di essere ebreo ed ero felice di esserlo. Poi ho conosciuto Susanne Bier (regista danese ebrea) e non ero così contento. Ma dopo ho scoperto che in realtà ero un nazista. La mia famiglia era tedesca. E questo mi fa anche piacere. Cosa posso dire? Hitler lo capisco. Ovviamente ha fatto molte cose sbagliate, assolutamente, ma riesco a immaginarmelo mentre sedeva nel suo bunker quando tutto era finito. Sto solo dicendo che capisco l’uomo. Certo, non è proprio quello che definiresti un bravo ragazzo ma, sì, ho capito molto di lui e mi fa un po’ di simpatia. Su ragazzi ,non sono mica per la seconda guerra mondiale. E non sono contro gli ebrei. Mi sento vicino agli ebrei. Ma non troppo, perché Israele è un dito nel culo”

Poco dopo, viste le reazioni non proprio favorevoli alla sua performance, il regista tutto d’un pezzo redige ben due comunicati stampa, dal momento che uno non era stato sufficiente a smorzare le polemiche. Nel secondo afferma, lapidario: “Tengo sinceramente a scusarmi. Non sono antisemita, né razzista, né nazista”.
Che smacco, per uno come lui, dovere rinnegare così platealmente le sue false provocazioni. Nel momento in cui si è trattato di scegliere se smontare il suo personaggio o rischiare probabili ritorsioni nell’ambiente cinematografico, il regista danese non ha avuto dubbi. Meglio perdere la faccia che perdere dei soldi.

Nel 1995, se non erro l’anno, Von Trier si presentò a Cannes con altri registi facenti parte del collettivo “Dogma”. Sul tappeto rosso fecero la loro passerella accompagnati dalle note dell’Internazionale, marciando a pugno chiuso. Per caso von Trier era comunista e ora è diventato nazista? No, niente di tutto questo. Von Trier, dovrebbe essere chiaro ormai, non è uno che fa sul serio. Che siano passerelle, conferenze stampa o pellicole.
E allora, piuttosto che un suo film, meglio riguardarsi un Pozzetto o un Lino Banfi. Almeno ogni tanto si ride, e non ci si sente presi in giro.

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