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Gaza. Yahya Sinwar, nuovo leader di Hamas nella Striscia

 

Il nuovo leader di Hamas Yahya Sinwar (a destra)


Roma, 13 febbraio 2017, Nena News – Il movimento islamico palestinese Hamas ha da oggi un nuovo leader nella Striscia di Gaza: Yahya Sinwar. Sinwar (55 anni) è descritto dalla stampa israeliana come un “integralista”: condannato da Tel Aviv a 4 ergastoli nel 1988 con diversi capi d’accusa (tra cui l’uccisione di due soldati dello stato ebraico), è stato liberato nel 2011 grazie all’intesa che ha portato al rilascio del soldato Gilad Shalit e di oltre 1.000 prigionieri palestinesi.

Sostituisce Ismail Haniyeh (ex primo ministro della Striscia dal 2007) che dovrebbe essere eletto nei prossimi mesi alla leadership dell’ufficio politico di Hamas al posto del dimissionario e storico leader Khaled Masha’al. Secondo la stampa araba è stato scelto anche il vice di Sinwar: sarà Khalil al-Hayya, parlamentare di Hamas dal 2006 e membro dell’ufficio politico.

Le elezioni interne per scegliere la nuova guida islamista nella Striscia sono iniziate a gennaio. Hamas ha quattro “elettorati” – a Gaza, in Cisgiordania, in esilio e tra coloro che sono detenuti nelle celle dello stato ebraico. Ciascuno di essi sceglie i leader locali così come i delegati per il Consiglio della Shura (una organismo parlamentare consultivo). Secondo alcuni commentatori locali, la scelta di Sinwar, fondatore delle Brigate al-Qassam, sarebbe la prova della preminenza che ha attualmente il braccio militare del movimento rispetto a quello politico.

Il nuovo capo islamista, scrive il The Times of Israel, è un “falco persino all’interno di Hamas” e sarebbe contrario a qualunque compromesso sia con l’Autorità palestinese che con Israele. Persino nell’affare Shalit – la cui liberazione ha portato al rilascio di 1.027 prigionieri palestinesi tra cui lo stesso Sinwar – il neo leader non aveva nascosto la sua contrarietà all’intesa con Tel Aviv perché la considerava una resa allo stato ebraico. Al nuovo capo del movimento islamico attendono all’orizzonte sfide assai complesse.

In primo luogo cercare di trovare una soluzione al malcontento della popolazione locale causato principalmente dall’assedio israeliano sulla Striscia. A destabilizzare il quadro sociale ed economico vi è inoltre la possibilità di un nuovo conflitto con lo stato ebraico. Le dichiarazioni bellicose dei politici israeliani sono state spesso accompagnate dai fatti: i raid aerei della scorsa settimana rappresentano più di una minaccia. C’è poi il tema della riconciliazione con i rivali di Fatah. Nonostante i summit di questi ultimi anni nelle varie capitali arabe e le ripetute promesse di collaborazione, l’unità del mondo politico palestinese al momento appare una chimera: Ramallah e Gaza continuano a farsi guerra a suon di dichiarazioni, arresti e fatti sul terreno.

La scelta della nuova guida del movimento giunge più o meno nelle stesse ore in cui la tensione nella Striscia resta alta: un militante delle “Brigate di resistenza nazionale” (il braccio armato del “Fronte democratico per la liberazione della Palestina”) è stato ferito ieri sera da un frammento di proiettile sparato dall’esercito israeliano all’interno del piccolo lembo di terra palestinese. Ad essere colpiti dal fuoco di Tel Aviv sono stati tra ieri sera e oggi anche alcuni pescatori gazawi nella zona di Rafah in modalità non ancora del tutto chiare. Una portavoce dell’esercito ha fatto sapere che indagherà su quanto accaduto. Tuttavia, non sembra difficile immaginare quanto sia successo: la marina israeliana apre regolarmente il fuoco contro i pescatori e allevatori lungo le aree di confine quando questi si avvicinano troppo alle aree di confine (“zone cuscinetto”) o superano le poche miglia nautiche a loro consentite.

Se Gaza non ride, non se la passa meglio la Cisgiordania: tra ieri notte e stamattina sono state arrestate nel distretto di Betlemme, Hebron, Ramallah e Qalqilia 25 persone. Secondo l’associazione ad-Dameer sono 6.500 i palestinesi attualmente rinchiusi nelle carceri israeliane (tra cui 300 minori).

Brutte notizie per i palestinesi giungono anche da Israele. Ieri la commissione ministeriale sulla Legislazione – guidata dalla ministra di giustizia Shaked del partito di estrema destra Casa Ebraica – ha approvato la “bozza di legge contro i muezzin” (coloro che invitano alla preghiera nell’Islam, ndr) con cui il governo afferma di voler prevenire il “rumore” proveniente dalle “case di preghiera” (si legga moschee). L’ok della Commissione fa sì ora che il testo passi in parlamento per essere votato. La prima lettura è attesa mercoledì.

Il provvedimento giunge a una settimana dall’approvazione della Regulation Law, la sanatoria di circa 4.000 insediamenti illegali nei Territori Occupati palestinesi che, secondo molti analisti, ha distrutto definitivamente la “soluzione a due stati”. Una soluzione, qualora mai fosse esistita, che è morta però da tempo: a ribadirlo è stato oggi il ministro della Sicurezza pubblica Gilad Erdan. “Credo che tutti i membri del gabinetto [israeliano] si oppongano allo stato palestinese – ha confessato Erdan alla radio militare – Tra questi vi è anche il primo ministro”. 

 

da Nena News

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