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#yosoy132: un nuovo movimento per un vecchio Messico neoliberista. Intervista a Rita Diaz

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Come nasce l’esperienza di #yosoy132, e come si inserisce nell’attuale contesto politico messicano?

Tutto parte all’interno della campagna per le elezioni presidenziali tenutesi nel giugno scorso. Il candidato alla presidenza del PRI Pena Nieto, poi vincente alle elezioni con enormi brogli elettorali, si presenta il 10 maggio all’università IBERO per un discorso. Gli studenti presenti al comizio iniziano a riempirlo di domande ed accuse riguardo un episodio accaduto durante la sua presidenza dello Stato di Messico (regione amministrativa n.d.r.). A San Salvador de Atenco nel 2006 vennero uccise 2 persone (e ferite più di 200) in seguito alle proteste popolari contro l’espropriazione  di terreni sui quali doveva sorgere un nuovo aeroporto.

Pena Nieto si rivendicò la piena legittimità di quella repressione, dicendo che andava assicurata con ogni mezzo la pace sociale. Gli studenti, ovviamente insoddisfatti di quella risposta, hanno iniziato ad incalzarlo fino a quando, di fronte ad una contestazione così forte e ad una figura pessima di fronte ai media e agli studenti, Pena Nieto decise di non terminare il comizio ed andarsene dall’università.

Qualche giorno dopo alcuni membri del suo staff ritornano sulla vicenda, dando dei contestatori prezzolati e dei “finti studenti” a chi aveva osato attaccarlo; allora quei contestatori registrano un video declamando ognuno il proprio nome ed il proprio numero di matricola , fino a raggiungere il numero di 131 persone. #yoy132 (io sono il numero 132) è il movimento che nasce a supporto di questi 131 studenti, in modo da dare attiva solidarietà e creare una opposizione che vada oltre la contestazione all’IBERO. Inizia a scaldarsi così il clima nelle università pubbliche; il tema principale è l’opposizione a Pena Nieto che in quel momento è oggetto di un enorme sostegno e appoggio da parte dei media mainstream, che manipolano la campagna elettorale in favore suo e del PRI.

Come si realizza allora il passaggio dalla pura contestazione alla figura di Pena Nieto verso la formazione di un’agitazione politica organizzata? Come si arriva ai fatti del 1 dicembre?

Ogni facoltà ha la sua assemblea locale di #yosoy132, da cui emergono dei rappresentanti che portano la voce delle facoltà nelle assemblee di ateneo, dove si discutono i temi più importanti che riguardano il paese: disoccupazione,educazione,questione della terra ed indigena,sanità..tutti temi delicatissimi, in cui è evidente la mano delle politiche neoliberali, del neoliberismo che è ancora l’ideologia dominante in Messico.

Pena Nieto ha vinto, il suo insediamento era previsto per il 1 dicembre. Si è deciso allora come #yosoy132 di chiamare una contestazione pubblica per quel giorno. Allora ci sono state manifestazioni (a composizione principalmente studentesca) non solo a Città del Messico ma in tutto il paese. Nella capitale la polizia ha bloccato tutti gli accesi alle strade vicine al Parlamento per evitare che il corteo vi si avvicinasse. Ci sono stati scontri in tutta la giornata di assedio, che hanno portato a decine di arresti, molti dei quali ancora in atto.  Ci sono video che mostrano anche gruppi paramilitari che partono affianco alla polizia. Una pratica simile a quella che si usava negli anni 70, quando lo studente era stigmatizzato come il provocatore, l’attentatore alla stabilità pubblica e lo Stato su di lui apriva una repressione generalizzata contro tutte le mobilitazioni che si davano nel paese. Successe già nel 1971, quando a seguito del massacro di piazza delle tre Culture, la polizia iniziò questa prassi di infilare corpi paramilitari nelle piazze studentesche.

#yosoy132 si è sempre occupato molto della creazione del consenso, del ruolo della comunicazione nella sfera politica, delle storture dell’intreccio tra istituzioni della democrazia rappresentativa e media. Che tipo di rapporto ha costruito #yosoy132 con partiti e sindacati?

Il principale problema era attaccare il golpe mediatico dei media, il loro endorsement pro Pena Nieto. Facebook Twitter e le reti sociali hanno costruito dal basso una “contronarrazione della campagna elettorale” che però è stato anche lo spazio e la issue su cui si sono solidificate le relazioni tra le persone che formano ora i gruppi dislocati che fanno capo alla piattaforma #yosoy132.

Ci sono due opinioni che si confrontano: c’è chi rifiuta in toto il voto e si esprime contro la democrazia elettorale “all’occidentale”, e chi invece voleva comunque esprimere una sorta di “voto utile” per ostacolare Pena Nieto. E’ sempre stato ad ogni modo un movimento indipendente dai partiti politici, anche se i mass media hanno sempre cercato di costruire al movimento un immagine di una costruzione artificiale di questo da parte di Obrador, il candidato dell’opposizione.

Pensando al Messico viene sempre in mente la questione zapatista, l’eredità e l’attualità di quel percorso di lotte. Quanto questo contributo è presente in una lotta come quella di #yosoy132, in una fase così diversa da quella che vedeva emergere le mobilitazioni zapatiste?

Dopo la marcia zapatista su Mexico City diciamo che si è raffreddata un po’ quella, o quantomeno si è concentrata molto sui processi interni alla regione del Chiapas. A quella lotta noi siamo debitori, tutte le coscienze critiche messicane ne sentono l’eredità, è un punto di riferimento, le domande alla base di quel percorso politico sono le stesse che ci troviamo ad affrontare oggi. Ad ogni modo, quando si discute o ci si mobilita sul tema dei diritti delle popolazioni indigene, così come tornando alla composizione dei manifestanti di Atenco di cui parlavamo prima, gli zapatisti sono sempre presenti, e anche fisicamente, nelle lotte.

Una delle principali cose per cui si parla sui media del Messico è la questione dei narcos. Un tema dalle implicazioni enormi e che richiederebbe ore per essere sviscerato appieno; il movimento si è confrontato su questo tema? Con quali esiti?

Si parla spessissimo della questione nelle varie assemblee. I gruppi criminali si sono rafforzati sfruttando l’enorme crisi sociale del Messico, che ha radici profondissime e risale dalla crisi del debito degli anni’80, guidata dalle istituzioni finanziarie internazionali.  E’ semplicistico, ma scontato affermare che se non c’è lavoro, se non esistono opportunità di vita è chiaro che vai a rimpolpare le fila di questi gruppi: lo Stato è assente, anzi è interessatamente assente nei confronti di questi gruppi che di fatto esercitano al suo posto il controllo del territorio.

E lo esercitano perfino su un piano internazionale . Sono all’ordine del giorno i casi di migranti sequestrati che arrivano dagli altri paesi centroamericani puntando gli USA; le reti dei narcos li sequestrano, facendoli diventari propri sicari, per mantenere la loro immagine pulita e comunque mantenere il controllo dei territori, spacciandosi anche come benefattori visto che se accetti la loro protezione un minimo di miglioramento nelle tue condizioni di vita lo ottieni. Nel 2006 è esploso all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, con l’arrivo di Calderon (anche egli vincente con enormi brogli elettorali), la “lotta ai narcos”, ma era pura propaganda dello Stato che ha al suo interno a decine e decine personaggi che con i cartelli hanno rapporti strettissimi.

Come vengono percepite in Messico le lotte che si stanno dando sulle due sponde del Mediterraneo negli ultimi anni, tra Tunisia,Egitto,Grecia,Spagna?  Qual è la lettura che fate di questi movimenti, come li inquadrate nella vostra prospettiva di lotta?

In Messico arriva molta informazione sulle lotte europee. C’è stato molto dibattito anche rispetto all’esperienza di Occupy Wall Street, così come riguardo alle lotte studentesche in Cile. Ciò che succede in Europa ricorda molto l’esperienza dell’America Latina degli anni80, in cui le politiche di austerità spinte da Banca Mondiale, F.m.i. etc etc portano a tagli a educazione, sanità..al fine di abbassare notevolmente i livelli di vita delle popolazioni. Ma questa volta la differenza sta nel fatto che la crisi che viviamo è una crisi neoliberale complessiva..ed è proprio per questo che sviluppa ovunque forme di lotta. L’attacco è complessivo e necessita sempre di più sforzi per costruire percorsi transnazionali comuni, di solidarietà reale.

 

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