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Nicaragua, la frenata di Ortega sulle riforme non ricompone la frattura dopo i tumulti e i 25 morti nel Paese

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Il Governo del Nicaragua ha deciso di fare un passo indietro (almeno per ora) e ritirare la riforma strutturale del sistema previdenziale avallata lo scorso 16 Aprile.

Dalle parole di ieri della consorte dell’ex guerrigliero sandinista Daniel Ortega, ora governatore del paese, traspare l’intenzione di calmare le acque dopo la dura ondata repressiva seguita alle proteste. La polizia di Managua ha causato la morte di 25 persone, compreso un reporter indipendente.

L’apertura ai mercati globali del piccolo stato del centro-America ha portato con sé l’obbligo di adesione alle peggiori ricette dell’ FMI. Un film già visto a quelle latitudini, ad esempio negli stati più a Sud, dove la dinamica è quella di una progressiva convergenza forzata nei piani governativi tra le destre esplicitamente neoliberali, quelle conservatrici, e le sinistre nazionalsocialiste.

L’aggiustamento strutturale dettato dalla riforma delle pensioni, che era destinata a prelevare forzosamente una percentuale annua ancora maggiore dai salari dei lavoratori così come dai ricavi rendicontabili degli imprenditori, ha scontentato un po’ tutti.

Così, complice la difficile situazione economica, si è data una esplosione di rabbia che si può a prima vista definire trasversale. Il fronte delle organizzazioni filo-governative non ha tardato a bollare i saccheggi e le manifestazioni che si sono date tempestosamente in tutti i centri del Paese come guidati dalla borghesia imprenditoriale legata a doppio filo con i grossi apparati di potere statunitense. Se ciò è in parte vero, è difficile negare che la portata dei tumulti e le modalità di azione ( una importante serie di espropri in primis ) hanno riguardato ampi settori dei ceti impoveriti delle aree urbane. Mostrando le difficoltà di gestione politica e di rinnovamento della proposta dei governi di ispirazione neo-bolivariana in questa fase di disordine internazionale.

Se le acque si calmeranno, lo si vedrà nei prossimi giorni. Quel che appare chiaro è che il processo di forte destabilizzazione in corso in America Latina continua ad estendersi, e si fa sempre più nebuloso, tra un crescendo delle destre e degli apparati militari da una parte (vedi quanto avviene in Brasile) e la crisi della proposta socialista e neobolivariana dall’altra, con il Venezuela di Maduro esempio massimo di queste convulsioni.

Con le grandi corporation del profitto americane e il Vaticano pronte a spingere nel senso della Restaurazione politica, le società del centro e del Sud America si trovano nella necessità di resistere e trovare prima possibile il modo di contrattaccare.

 

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