
Intervista a Ypg International: “Il prezzo sarà alto, ma Menbij cadrà”
Un numero molto alto di combattenti internazionali sta sostenendo lo sforzo delle Ypg-Ypj in queste settimane, come mostrano anche le morti di due “foreign fighters” che vestivano i colori delle unità di protezione popolare, Jemie Bright e Levi Shirley, rispettivamente australiano e statunitense. La Siria è, come si sa, teatro di un conflitto globale, tanto a causa degli interessi neocoloniali coinvolti (dalla Turchia all’Arabia Saudita e all’Iran, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Francia all’Inghilterra e alla Germania) quanto a causa della partecipazione di combattenti non siriani che supportano ora il regime nazionalista arabo, ora il jihad globale d’impostazione salafita, ora le trasformazioni socialiste portate avanti a nord dal movimento confederale.
Ypg International è espressione di un nuovo sistema di informazione, accoglienza e contatto per chi intende supportare le Ypj o le Ypg. Alcuni compagni di Ypg International ci hanno incontrato in una località del Rojava e hanno risposto alle nostre domande su questo progetto, sui foreign fighters in Rojava e sulla situazione a Menbij.
In questo momento le Ypg-Ypj sono impagnate in un’importante operazione militare nella città di Menbij. Sono quasi due mesi che state combattendo. Qual è attualmente la situazione?
Menbij è un’operazione diversa da altre che abbiamo affrontato in precedenza, ad esempio quella di Shaddadi a febbraio. La differenza è che la città è grande e soprattutto strategica. Si tratta di aprire la via tra Kobane e Afrin e risolvere il problema dell’accerchiamento nemico del cantone di Afrin. E’ anche l’ultimo corridoio tra Turchia e Daesh, bloccarlo vuol dire assestare un colpo mortale a Daesh.
Anche il nemico sa che si tratta di una battaglia strategica e ha preparato una grossa resistenza, c’è una battaglia molto dura lì. Il prezzo che stiamo pagando è alto, ma è la guerra. E’ una battaglia strategica e importante per noi e per il nemico, tutti danno tutto, Daesh sa che se perde è finito, ma anche noi diamo grande importanza a questa operazione e vinceremo, tutti sanno che la lotta è dura e il prezzo sarà alto, ma dobbiamo pagarlo: non abbiamo alternativa.
Da qualche giorno è on line un nuovo sito, Ypg International. Potete dirci di che si tratta e qual è il significato per il Rojava di questa nuova realtà?
Ypg-I è un nuovo progetto ufficiale delle Ypg, nato per promuovere un approccio politicamente più cosciente per gli internazionali che intendono unirsi alle Ypg. In precedenza la situazione era abbastanza caotica, di fatto non era universalmente chiaro come raggiungere il Rojava e supportare le Ypg. Il mezzo che avevamo messo in campo, il sito “Lions of Rojava”, produceva un’immagine eccessivamente apolitica, così che arrivava qui anche gente che di fatto non volevamo, persone che non accettavano la filosofia che ispira la lotta delle Ypg-Ypj e per questo non mancavano di creare problemi. Ora vogliamo dare una nuova direzione al tutto, che sia più cosciente di ciò che sono le Ypg e di ciò che è il Rojava.
Come valutate l’esperienza del rapporto tra Ypg e combattenti internazionali fino a questo momento?
Come dicevo, inizialmente la gente veniva in modo non organizzato, in base a scelte individuali. Con il tempo è stato necessario creare un sistema di preparazione al conflitto, una struttura, un sistema per loro. Ciò che facciamo ora è migliorare il sistema e portarlo a un altro livello di coscienza. Nostra intenzione non è escludere delle persone, ma possiamo dire che vogliamo più coscienza politica. Finora il punto principale per i cosiddetti “foreign fighters” era la guerra a Daesh, lo abbiamo accettato e lo accetteremo, ma vogliamo sia dato più peso all’aspetto politico. Questa non è soltanto una guerra, è una rivoluzione.
Una questione che emerge talvolta nelle Ypg è la mentalità esplicitamente coloniale di alcuni foreign fighters, che replicano in modo acritico i cliché secondo cui l’occidente sarebbe in grado di illuminare, liberare o rendere migliore o più democratico l’oriente. Siete d’accordo?
Sì, bisogna ammettere che qualcuno è arrivato qui con questa impostazione, ma bisogna dire che molti sono cambiati vedendo la realtà di questa regione e della sua rivoluzione. Tuttavia c’è anche chi ha creato dei problemi e noi non possiamo permetterci il lusso di dedicare tempo a risolvere questo genere di problemi, è proprio per questo che abbiamo deciso di modificare il nostro approccio e renderlo più efficace attraverso questo portale e la relativa pagina facebook, che costituiranno l’unico canale per supportare le Ypg in Rojava. Dobbiamo vincere una guerra e costruire una rivoluzione, questo ci crea già problemi, non abbiamo bisogno di problemi supplementari…
Credete ci sia consapevolezza, tra i compagni che vivono fuori dal Kurdistan, su ciò che effettivamente sta accadendo, sul piano sociale e politico, in Rojava?
Tanti parlano del Rojava ed esprimono svariate opinioni, ma l’approccio giusto è sempre essere prudenti con le descrizioni di ciò che accade in un altro luogo se non lo si è visto di persona. La cosa migliore che si può fare è venire qui in prima persona, per aiutare e vedere la situazione con i propri occhi, capire la rivoluzione ed esserne parte. C’è anche chi critica da lontano, talvolta senza consapevolezza e comprensione. Noi non soltanto siamo “aperti” alle critiche, ma amiamo la critica e la critica ha un’enorme significato per noi. Proprio per questo vogliamo che le persone vengano qui e siano parte integrante della rivoluzione, contribuendo a migliorarla.
Alcuni di voi vengono dall’Europa. Quale differenza esiste tra il movimento di liberazione curdo e le organizzazioni “radicali” dell’occidente e dell’Europa in particolare?
Posso rispondere che i compagni europei dovrebbero dire ciò che pensano e fare ciò che dicono. Questa è la maggiore differenza, al momento, tra Europa e Kurdistan. Un altro aspetto è che la sinistra “radicale”, o meglio rivoluzionaria, dovrebbe chiarire alcuni punti: si tratta di affrontare il problema della struttura organizzativa, chiarire qual è la propria filosofia e la propria ideologia, proporre un’analisi universale del sistema capitalista, come Ocalan ha fatto attraverso il concetto di modernità capitalista. Un terzo aspetto è la mancanza di fede, di fede rivoluzionaria in Europa. Non esiste prospettiva perché la fede nella rivoluzione è andata perduta.
Quale credete sia il contributo più importante che le persone solidali possono dare alla resistenza del Rojava?
La rivoluzione si muove ancora all’interno del suo processo critico, deve difendersi militarmente, ma al tempo stesso costruire la rivoluzione sociale, la vera rivoluzione. Auspichiamo aiuto per entrambi questi aspetti, ma in particolare sul piano della difesa militare del Rojava apprezzeremmo una maggiore solidarietà internazionale. Quindi la prima fase per chi raggiunge il Rojava attraverso Ypg-I sarà questo genere di contributo per sei mesi, poi chi vorrà restare potrà decidere se dedicarsi al lavoro civile o continuare l’opera di protezione popolare.
Esiste anche un contributo che il Rojava può dare al resto del mondo, in termini di scambio rivoluzionario?
Sì. Crediamo anzi che questo aspetto sia al primo posto, che sia il più grande e importante. È fondamentale che si rafforzi la solidarietà delle compagne e dei compagni nella lotta contro Daesh e il fascismo, ma ciò che è ancora più importante è che i compagni vedano la realtà della rivoluzione e la capiscano, comprendano come è fatta e come funziona, ecc. Vogliamo che la gente capisca meglio, perché è difficile capire da fuori. Se le persone vengono qui e stanno dentro il movimento, imparandone la cultura e la lingua, è possibile anche che si impegnino a costruire la rivoluzione sociale. Per questo l’esperienza nelle Ypg-Ypj è in prima battuta essenziale, perché forgia le competenze in termini linguistici e culturali e rende capaci di contribuire poi sotto tutti gli aspetti.
Dal corrispondente di Infoaut e Radio Onda d’Urto in Rojava, Siria
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