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Non c’è nessun dio quassù. Lotta alle torri della centrale elettrica di Ottana in Sardegna

A dicembre 2015 sono state spente le caldaie che fino ad allora, per 43 anni, avevano funzionato ininterrottamente perché, per la prima volta, Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, ha deciso di negare l’essenzialità. Vale a dire che, secondo Terna, a seguito di investimenti cospicui, tra cui un nuovo cavodotto che collega l’isola al continente, questa centrale non è più considerata essenziale per evitare black out alla rete elettrica sarda e dunque non sussistono più le condizioni per erogare incentivi statali a Ottana Energia SpA.

Il grido disperato delle operaie e degli operai di Ottana Energia, che per questa ragione si trovano da oggi in cassa integrazione, è rivolto alla classe politica sarda, affinché intervenga per far sì che si trovi una soluzione che li faccia uscire dall’incubo della disoccupazione e dell’emigrazione, unica possibilità che rimarrebbe loro se perdessero questo lavoro, destino comune già a molti giovani in questa zona della Sardegna. Ma la giunta Pigliaru, succube del governo di Roma, come dimostrato dalle ultime dichiarazioni sul referendum contro le trivelle, inetta e disinteressata alla situazione sempre più drammatica del popolo sardo, vedasi le vertenze Meridiana e Ryanair, non prende parola, non entra nel merito e si gira dall’altra parte, anche davanti al gesto disperato di questi lavoratori. Forse ha poco da dire visto che la giunta Pigliaru non sembra avere le idee molto chiare, o forse non molto limpide, in materia di energia. Infatti, il piano energetico regionale, di ben 350 pagine, avanza l’ipotesi, di cui già si fantastica da 20 anni, di realizzare un gasdotto, che richiederebbe 5 anni per essere costruito, oppure la conversione degli impianti esistenti in centrali a carbone. Niente di concreto, insomma, né in materia di energia né in materia di soluzioni occupazionali. Nel frattempo, la giunta Pigliaru si è lasciata scappare l’investimento di una società giapponese per la costruzione di una centrale termodinamica (energia pulita!) forse, come maligna qualcuno, per favorire l’emiro del Qatar, esportatore di metano, cui ha già svenduto Meridiana e il San Raffaele di Olbia.

L’opposizione, in questo teatrino, sembra giocare un ruolo inesistente, a parte qualche politico che si è recato in questi giorni ad Ottana per cercare una visibilità che altrimenti non avrebbe, vista la mediocrità della proposta politica. La piana di Ottana è depositaria di una storia di rapina e sfruttamento, vittima sacrificale del sogno truffaldino di un piano di rinascita, venduto come volano di progresso per i sardi e, in realtà, attuato svendendo la Sardegna a Rovelli, Moratti, Aga Kan e ad altri imprenditori senza scrupoli che l’hanno depauperata lasciando ruderi, inquinamento e cattedrali nel deserto. Proprio come quelle due torri dalle quali si spera possa rinascere una nuova realtà di riscatto e di ripensamento del presente e del futuro del rapporto tra lavoro e territorio sardo.

Davvero sembra non esserci più nessun dio, nemmeno fasullo, al di là di un lotta operaia che va sostenuta e alimentata attraverso il contributo di chiunque creda che debba esserci per la Sardegna un’alternativa credibile e stabile all’emigrazione, allo sfruttamento selvaggio delle risorse, così come è stato fatto fino ad ora, e alla svendita dell’isola a padroncini stranieri senza scrupoli, da Moratti all’emiro del Qatar, triste parabola che si ripete ciclicamente da decenni.

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