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Studenti e condizione abitativa: tra sfruttamento e riappropriazione

E’ indiscutibile che in questi ultimi anni si veda anche a Bologna l’affiorare del problema abitativo. Intanto c’è da premettere che quello che ultimamente sta emergendo e sta dandosi forma di movimento e di lotta, è quello che coinvolge principalmente le famiglie e i migranti. Il problema abitativo degli studenti è infatti un problema che c’è sempre stato, al di là di crisi o meno, in quanto il soggetto studentesco, più frequentemente di passaggio per il tempo di conclusione degli studi, è sempre stato un soggetto da sfruttare e spolpare da parte di palazzinari bolognesi e agenzie immobiliari. Da parte loro gli studenti sembrano accettare questa situazione, un po’ per abitudine, un po’ appunto per l’approccio da “cliente” alla città, di cui si usufruisce tentando di tagliare al minimo i tempi di permanenza e le spese. In questo negozio tra parti, l’università di Bologna, nonostante nelle classifiche appaia tra le più importanti università italiane, non si espone e, si potrebbe pensare in un neanche troppo tacito accordo coi palazzinari, non costruisce l’inserimento di un soggetto vitale per la città, per il suo lustro scientifico e filosofico, per la sua crescita culturale, anche per il suo sostenimento economico, all’interno dell’assetto cittadino. Vediamo la problematica per punti.

Posti letto offerti dall’università.

Dai dati di quest’anno si può evincere che a Bologna sono presenti 40mila studenti fuori sede a fronte dei quali l’Er.Go, ente regionale per il diritto allo studio in appalto per Alma Mater sulla gestione delle residenze universitarie, rende disponibili solo 1465 posti letto. Oltre a essere un numero decisamente irrisorio rispetto all’utenza da soddisfare, c’è anche da ragionare sulla qualità di questi servizi e le reali condizioni di vita che producono negli studenti. I problemi “logistici” degli studentati sono infatti spesso noti: camere troppo piccole e sovraffollate, spazi comuni difficilmente utilizzabili perchè mal riscaldati o insufficienti, non serviti o mal serviti dai mezzi pubblici, edifici fatiscenti, servizi come internet mal funzionanti (in un polo universitario altamente informatizzato). Ma ci sono altri problemi meno immediati, che hanno direttamente a che fare con il disciplinamento e l’imposizione di stili di vita: l’impossibilità ad ospitare amici e amiche, a utilizzare arredamenti propri, a decorare e allestire le camere in maniera personale, l’obbligo di sospensione del soggiorno durante le feste natalizie. Ma da questo punto di vista, il meccanismo più eclatante è quello del sistema di assegnazione del posto letto nelle residenze universitarie gestito da Er.Go che che ricorda indiscutibilmente il prestito d’onore, sistema di indebitamento che negli Stati Uniti ha portato a un accumulo complessivo di 800 miliardi di dollari di debito. Infatti l’assegnazione della borsa di studio sottende al conseguimento annuale di un numero di crediti d’esame prestabilito; nel caso questo tetto non sia raggiunto, non solo si perde il posto letto per l’anno successivo, ma bisogna rendere ad Er.Go tutte le rette mensili del periodo di permanenza, tra l’altro calcolate da “ospite” (attorno le 300 euro mensili).

Da contraltare a questi disservizi fanno le strutture private come quelle gestite dalle fondazioni Ceur e Falciola, entrambe di Comunione e Liberazione, tre a Bologna, di cui abbiamo assistito all’inaugurazione dell’ultima proprio questo novembre, a cui hanno partecipato il Ministro alle infrastrutture Lupi, il Magnifico Rettore Dionigi e il sindaco Virginio Merola. Questi Campus si fanno prestigio di offrire una vasta gamma di servizi e di dotarsi di alta tecnologia pubblicitaria, attraverso le quali innalzare e sostenere il prestigio dell’università italiana sulla scena mondiale. Poco importa se le rette sono evidentemente escludenti (si parla di cifre tra i 10mila e i 13mila euro annui), si denominano infatti “residenze di merito” dove molto presumibilmente il diritto allo studio incontra barriere di disciplinamento e estrazione sociale.

Alloggi in città.

Senza stare a ripeterci, anche per gli appartamenti affittabili in città da privati valgono spesso le considerazioni sulla fatiscenza degli alloggi fatte prima: cucine non a norma, muri ricoperti di muffa, caldaie dell’anteguerra, posti letto ricavati in corridoi o cantine…. A cui ovviamente si aggiungono anche qua gli interventi e ammodernamenti “di facciata” che i proprietari si prendono a cuore di fare per spacciare le modeste abitazioni che affittano per case dotate di grandi comfort, come ad esempio istallare infissi ermetici alle finestre in case con i buchi nei muri, tutto ovviamente per aver esenzioni dalle tasse e comunque alzare i prezzi delle mensilità. Inoltre ultimamente, in chiacchiera o curiosando tra gli annunci delle stanze capita sempre più spesso di ritrovare persone che vivono in triple, quadruple o addirittura quintuple, per dividersi ulteriormente le spese dell’affitto, tagliando su docce e riscaldamento per non far lievitare le spese di utenza. Al di là di queste diffusissime contraddizioni, troviamo anche l’altrettanto diffuso fenomeno degli affitti in nero, attraverso i quali si negano diritti agli inquilini, spesso ingenui e frettolosi, e si evadono le tasse. E’ palese quindi come a Bologna l’arrivo degli universitari sia trattato non come un arricchimento culturale cittadino, una fonte di crescita intellettuale e scientifica, possibilità di ampliamento di orizzonti e vedute, ma come un immenso conto in banca di cui approfittare per succhiare soldi. Un sistema che annovera tra le sue armi anche il continuo ricatto morale e la calunnia verso questo soggetto, che sente costruire attorno a sé, dai giornali e dall’opinione pubblica, una figura che si compone delle sfaccettature di parassita della famiglia, sporcaccione, casinista, perdi giorno, testa calda ecc ecc… Vediamo anche infatti da alcune ricerche che i quartieri in cui maggiormente emergono problemi riguardanti la convivenza sono quelli della zona universitaria, Irnerio e San Donato, i più abitati dagli studenti. Ma vivendo queste zone ci si accorge che ben poco viene fatto per accogliere questo soggetto, se non offrire un divertimentificio vuoto di scambio di culture e di possibilità di integrazione, che serve solo a riempire le tasche di commercianti, locali e bar. Il rapporto di forza di queste piccole imprese sostenute dalle istituzioni, a uno sguardo oggettivo, sembra essere incrinato solo dai minimarket gestiti da immigrati, su cui infatti si abbattono le ordinanze della giunta cittadina, cercando di limitarne le libertà che vanno a confliggere col monopolio dei rivenditori autoctoni. L’università come istituzione ha colpa (ingenuamente o consapevolmente?) di non aver mai dimostrato un interesse a lavorare su questi aspetti. In poche altre città come a Bologna, l’università è così intrinsecamente inserita nel tessuto urbano cittadino ed è motore dell’economia cittadina, e proprio per questo risulta ancora più assurdo come l’Alma Mater, lo ripetiamo, università di prestigio, non si preoccupi di costruire un circolo virtuoso tra soggetto studentesco e metropoli, ma anzi tacitamente avvalli la riproduzione di rapporti disintegrati e generatori di conflitto.

Conclusioni analitiche e rilanci.

Sono proprio queste crepe, mantenute dal sistema istituzionale cittadino per perpetrare la produzione di un soggetto debole, da sfruttare e tenere continuamente sotto lo scacco del ricatto, quello studentesco, che devono essere allargate ancora di più per svelare le contraddizioni che sottendono. Questo è quindi il progetto della costruzione di una geografia altra della zona universitaria, una geografia di conflitto, fatta di occupazione di studentati, autoriduzioni alla mensa, riappropriazione di muri, costruzione di una socialità e una cultura dal basso nelle strade e nelle piazze. Lo Studentato Occupato Taksim è una indicazione che gli studenti e le studentesse di Bologna  hanno voluto dare come risposta al problema abitativo di questa città, riprendendosi direttamente un bisogno, quello di un alloggio, che evidentemente è un nodo non solo esistenziale di questa città, ma anche politico, su cui si giocano un sacco di equilibri speculativi da una parte e soggettivi dall’altra. Occupare una stanza è in questo contesto non solo un modo per liberare tempi di vita e le coscienze dal ricatto morale del welfare famigliare, poter desiderare la casa che si vuole senza il ricatto dell’affitto, ma è anche la denuncia a una città che non ci vuole, se non sotto pagamento, contemporaneamente sfruttando l’attrattività della reputazione di città universitaria. Inoltre non è difficile rendersi conto come sia difficile trovare dati dell’università sulla situazione abitativa studentesca. I dati statistici che leggiamo parlano sempre di una università in crescita, con sempre più matricole, ma nello stesso tempo si sa quanti di questi nuovi ingressi abbiano la possibilità di fare la vita da fuori sede? Quante famiglie, in un momento di crisi come questo in cui il welfare famigliare è sempre più sottile e precario, possono permettersi di pagare un affitto a un figlio all’università? A quali compromessi di sacrifici devono scendere? Quanti sono i pendolari?
C’è sicuramente bisogno di approfondire l’inchiesta su questi punti, e l’occupazione di Taksim vuole essere un rilancio in cui possano continuamente convogliare storie che creino che legami che creino organizzazione che crei l’esplosione della risposta soggettiva della componente studentesca al bisogno di poter vivere e abitare la nostra città, riprendendosi il diritto a muoversi coi trasporti pubblici, il diritto a una mensa universitaria a prezzi agevolati, a libri di testo gratis, a sconti e offerte su teatri,  cinema e iniziative musicali, interagendo e crescendo insieme a tutti i soggetti che compongono il tessuto cittadino. Il progetto I Love Piazza Verdi vuole appunto parlare di questo, ha visto infatti dal maggio scorso la costruzione dal basso di un attraversamento della zona universitaria libero, meticcio e solidale, con iniziative dedicate a tutti e tutte, nel rispetto del territorio e di chi lo abita e senza la presenza asfissiante e prepotente delle forze dell’ordine.


Studentato Occupato Taksim

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