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Pandemia, fiscalità e crisi climatica: le sfide del capitale

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A 18 mesi dalla diffusione del virus Covid-19, il mondo, pressoché nella sua interezza, continua a vivere i profondi sconvolgimenti della nuova normalità.

Una delle fratture necessariamente più dirimenti riguarda l’impatto della condizione pandemica nell’arena geopolitica.

Lo scontro globale tra opzioni egemoniche contrapposte sta subendo un’intensificazione che riconfigurerà gli equilibri di potenza. Un terreno lontano, da noi incalpestato, che tuttavia forma l’ambiente nel quale dovremo muovere i nostri conflitti.

In un 2021 colmo di meeting internazionali può essere utile iniziare a tratteggiare i nodi salienti di quanto si muove in alto.

Chi oggi governa il mondo è consapevole, così come noi, che l’avvento del Covid è stato tutto fuorché uno shock esterno.

E’ innegabile che la proiezione planetaria del modello di sviluppo capitalista, incentrato da diversi secoli su consumo di suolo, estrazione e messa a valore di risorse umane ed extra-umane, sia intrinsecamente foriero di minacce alla riproducibilità della vita.

Nuove malattie e nuovi fenomeni climatici saranno orizzonte, sfida, e chissà minaccia, del prosieguo del capitalismo.

Quindi, se ad un’attenta analisi il Covid non può essere considerato uno shock esogeno ma prettamente endogeno al sistema, il suo impatto sul gioco delle grandi potenze ha dei riverberi ben più complessi e imprevedibili.

Qui, proveremo ad affrontare i tre macro-temi che stanno formando lo scheletro delle discussioni tra i grandi del pianeta costantemente riuniti nei meeting internazionali.

Il primo tema è quello della lotta alla pandemia.

Il secondo, è la riorganizzazione della fiscalità globale tramite la Global Minimum Tax.

Il terzo tema è quello della crisi climatica.

Il fatto che l’Italia targata Draghi detenga la presidenza e sia sede ospitante dei G20 del 2021 non può che aumentare la necessità odierna di comprendere il loro dibattito.

 

LA SCARSITA’ DEI VACCINI

Una prima considerazione riguarda il fatto che non c’è in nessuna forma un approccio cooperativo internazionale volto a fermare o temperare la pandemia.

La legge mors tua vita mea e la ricerca del vantaggio relativo all’interno della transizione critica continuano a rappresentare la bussola dello scontro inter-capitalista.

Tutti i 20 maggiori paesi, Stati Uniti e Cina compresi, devono in primo luogo rendere conto al proprio interno nel tentativo di preservare i diversi ma ugualmente fragili, compromessi di tenuta sociale.  

A questo proposito, l’ultima volta che il G20 ha tentato di darsi delle linee guida sulla gestione e risoluzione della crisi sanitaria globale è stato in Arabia Saudita alla fine del 2020.

La promessa era quella di una diffusione massificata ed economicamente accessibile al vaccino, accompagnata da stimoli globali all’economia e taglio dei debiti per i paesi maggiormente in difficoltà.

Un classico comunicato conclusivo di rito che non ha portato avanti nessuna di queste vaghe e benevole intenzioni.

Su questo versante, l’avvento di Biden alla guida degli Stati Uniti ha “semplicemente” modificato la strategia comunicativa.

Una nuova narrazione paternalista nella quale gli Stati Uniti, creatori dell’ordine contemporaneo, si impegnano nuovamente a promuovere una visione maggiormente solidaristica della politica internazionale.

Questa retorica ha immediatamente impattato con la scarsità del bene da condividere: i vaccini.

Infatti, mentre i riflettori sono proiettati sulla drogata polarità tra pro-vaccini e no vax, si rischia di tralasciare il fatto che la gran parte della popolazione mondiale è ancora lontana dal ricevere dosi vaccinali.

Se USA, UE, UK, Giappone, Cina e pochi altri paesi hanno ormai immunizzato il 50% delle proprie popolazioni, riducendo mortalità e ospedalizzazioni, il resto del mondo viaggia su ritmi completamente diversi.

L’india e l’Indonesia hanno vaccinato (2 dosi) appena il 7% della propria popolazione (insieme 1.6 miliardi di abitanti), il Brasile il 18%, la Russia il 16% mentre Africa e Sud-Est Asiatico viaggiano tra lo 0, e il 4%.

Il perché di questa sperequazione è chiaro, le multinazionali farmaceutiche “occidentali”, soprattutto americane, hanno strutturato la produzione e distribuzione del vaccino intorno ai criteri standard dell’economia di mercato, ossia tentando di massimizzare i profitti alla luce di un monopolio su un bene scarso.

Con questo ritmo la pandemia Covid-19, con il suo susseguirsi di varianti, potrebbe proseguire ancora per anni e sarà caratterizzata da una crescente asimmetria di pericolosità e limitazioni tra centri di potere e proprie periferie.

L’unico argine a questo modus operandi potrebbe essere dettato dalla necessità “occidentale” di preservare quel poco di credibilità rimasta a chi si sente il custode dell’ordine. Una postura obbligata dal costante tentativo cinese di sottrarre consenso a Washington lavorando diplomaticamente e pragmaticamente con i paesi alla periferia dell’impero.

Gli accordi cinesi per la fornitura di Sinovax a Turchia, Indonesia e Brasile, vanno letti in questa direzione.

 

LA FISCALITA’ GLOBALE

Questi meeting creano un bel rompicapo per la stampa asservita.

Infatti in circa 3 mesi, il circo mediatico ha festeggiato ben due volte la stessa notizia: la global minimum tax, simbolo di un rinnovato capitalismo buono.

Annunciata al G7 di giugno nel Regno Unito, la tassa minima globale concordata da Biden con le big tech USA, si è fatta largo anche al G20 di Venezia.

Peccato, che tale impalcatura fiscale, oltre a non essere minimamente redistributiva (tema già trattato qui), entrerà comunque in vigore tra anni.

 

LA CRISI CLIMATICA

Parlando di crisi climatica, non ci si può più fermare alle previsioni e ai dati drammatici su emissioni e riscaldamento, ma è ormai necessario menzionare la quotidiana intensificazione dei fenomeni disastrosi.

Gli incendi estivi aumentano sia nel numero sia nell’intensità (si veda la mappa cronologica della NASA). Aumento delle temperature, combinate a siccità prolungata e alle sempre meno rare “tempeste di vento”, stanno aggravando lo scenario.

Quanto successo in Sardegna in questi giorni è molto meno eccezionale di quanto dica la stampa.

Nell’ultimo mese, ci sono stati almeno tre eventi catastrofici e parzialmente inediti.

Sulla costa pacifica, dall’Oregon all’Alaska sono state registrate temperature elevatissime ed inedite, che hanno causato centinaia di morti, soprattutto anziani, nelle aree metropolitane di Seattle e Vancouver.

L’Alaska, che già nel 2019 era stato devastato da un’ondata di incendi, ha registrato le più alte temperature dall’inizio delle registrazioni atmosferiche.

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Poche settimane dopo, l’Europa occidentale, dall’Olanda alla Renania-Palatinato (Germania), ha vissuto piogge e alluvioni che hanno devastato interi centri urbani (177 morti).

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Un fatto simile è successo in Cina, nella provincia dell’Henan, la cui capitale Zhengzhou è stata completamente sommersa dall’acqua.

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Con questi episodi nella mente, si è aperto il meeting ministeriale su energia e clima del G20, che si è tenuto a Napoli tra il 22 e il 23 luglio.

Anche in questo caso, i protagonisti, come il “nostro” neo ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, hanno rilasciato dichiarazioni entusiaste e sensazionali.

“Un risultato impensabile fino a qualche anno fa” (R. Cingolani).

La verità è che questo meeting è stato l’ennesimo flop.

A partire dalla COP 21 (Conferenza annuale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico) di Parigi del 2015, i pilastri del dibattito internazionale ruotano su due macro-necessità: de-carbonizzare e mantenere il riscaldamento globale entro 1.5 gradi centigradi.

Nonostante le parole di Cingolani, altri hanno commentato la dura realtà del nulla di fatto, attribuendo le colpe a Cina, India e Russia (40% della popolazione globale), paesi che continuano a non impegnarsi in una irrealizzabile de-carbonizzazione entro il 2025.

Tuttavia, nei sei anni trascorsi dal meeting parigino, nessun paese al mondo ha ottenuto risultati sostanziali, e il G20 italiano non ha introdotto nessun nuovo vincolo legale e/o finanziaria.

La narrazione sui cattivi “orientali” e russi che non vogliono salvare il clima sarà un cardine della narrazione occidentale nell’immediato futuro.

Come sempre in questi casi, ci si è ridati appuntamento al prossimo meeting, la COP 26 di Glasgow (Novembre, 2021).

Concludiamo questa digressione con il prossimo appuntamento, quello di chiusura della Presidenza italiana, il meeting di Roma che si terrà il 30 e 31 ottobre.

Il vertice sarà ai massimi livelli, ossia con i presidenti, gli esecutivi e i ministri delle finanze dei 20.

Non c’è ancora una scaletta dei temi, ma i nodi che saranno affrontati non saranno distanti da quanto delineato sopra.

Se Europa e USA avranno veramente, come da programma, vaccinato l’80% della popolazione, questo meeting potrebbe vedere una sterzata effettiva sulla distribuzione globale dei vaccini.

D’altronde è solo una questione di gerarchia. Prima noi, poi se avanzano ve le vendiamo.

Nel 2019, la crisi della civiltà-mondo capitalista aveva due direttrici principali.

Da un lato, la “non gestione” della crisi climatica, parzialmente intaccata e stimolata dalle piazze oceaniche per la “Climate Justice” del 2018-19.

Dall’altro il perdurare di una crisi di accumulazione, cominciata nel 2007-08, che stava imponendo una riconfigurazione economico-finanziaria e militare-geopolitica su scala globale, con Stati Uniti e Cina come maggiori protagonisti in ambo le sfere.

Il biennio pandemico appena trascorso ha travolto queste due tensioni, dilatando povertà e disuguaglianze, ma anche accelerando le risposte mortifere del comando capitalista.

Pandemia, fiscalità, e crisi climatica. Tre concetti da legare.

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