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Dalla delusione alla rabbia

Intervento (da Roma), mattinata introduttiva, Sabato 18 giugno.

Pensiamo che sia importante per superare l’impasse in cui siamo partire da un rovesciamento di alcuni modi di fare, di alcuni luoghi comuni che almeno nel nostro territorio sembrano essere dati per scontati dal “movimento”.

Il primo di questi luoghi comuni è quello che viviamo una fase in cui le possibilità di un movimento antagonista siano risicate. convinzione che si traduce in un atteggiamento passivo di chi aspetta “che passi la nottata”. il nostro nemico non morirà di morte naturale, aspettare il suo cadavere lungo il fiume non servirà a molto.

Un certo pessimismo della ragione nutre quotidianamente l’assenza di volontà.

E allora bisogna guardare a questa fase con ottimismo non solo perché sul piano delle condizioni materiali non c’è prospettiva di miglioramento: i dati sulla povertà e sulla disoccupazione sono li a raccontare di una promessa di uscita dalla crisi ogni giorno meno credibile. Ma soprattutto perché nuovi spazi sembrano aprirsi rispetto alla capacità della nostra controparte di costruire consenso. Il renzismo sta andando incontro alla sua prima evidente battuta d’arresto. sta a noi far si che questo non sia un “incidente di percorso” ma l’inizio della sua fine.

La prossimo tappa è il referendum costituzionale d’ottobre che diviene ogni giorno di più un plebiscito sul governo. È uno spazio che si apre per esprimere inimicizia.  E parallelamente prende spazio un’altra ipotesi di governo: il movimento 5 stelle.  Sospeso tra la sua ambiguità di fondo tra il rappresentare un’alternativa alla partitocrazia e il volersi accreditare come forza di governo affidabile nella campagna elettorale  si è esposto su temi difficilmente compatibili con l’attuale gestione della crisi: per rimanere a quello che vediamo nella nostra città rifiuto del debito, no alle olimpiadi, blocco delle edificazioni, ripubblicizzazione di ACEA.

Dentro questa contraddizione possiamo intravedere una crepa nel blocco monolitico che ha governato la città negli ultimi anni, anche attraverso il dispositivo del commissariamento, anche qua sta a noi trasformare la delusione che il tradimento di queste aspettative si trasformi in rabbia.

E se allora questa impasse non è il risultato di “condizioni oggettive” dobbiamo guardare alle nostre capacità soggettive di stare nelle contraddizioni e determinare passaggi.

Da questo punto di vista, partendo dall’insufficienza di quanto abbiamo già costruito, ci sembra necessario provare a fare delle “scommesse”. L’ipotesi che avanziamo è che il proletariato giovanile in formazione abbia espresso negli ultimi mesi comportamenti di rottura e di rifiuto meno “visibili” che spesso si sono dati nel rapporto quotidiano con l’istituzione scolastica (contro l’autoritarismo dei presidi, contro la presenza della polizia nelle scuole, contro l’invalsi e l’alternanza scuola-lavoro) più che sul terreno della mobilitazione di piazza. Così come dentro l’università si stia aggregando un tessuto militante intorno alle esperienze di autogestione di spazi e alla circolazione di contro-saperi. 

Questa composizione può trovare nuove capacità di attacco laddove si mette in relazione con il proletariato giovanile che vive nei quartieri l’erosione del welfare, l’esclusione dal mondo della formazione, una condizione di disoccupazione o sotto occupazione strutturale.

Sulla potenzialità di questo incontro occorre rilanciare l’inchiesta, la capacità di organizzare momenti di rottura, di cogliere delle occasioni di contrapposizione.

Consapevoli che oggi più che mai non ci possiamo porre come mera “rappresentazione” di un conflitto, che non ci può bastare semplicemente alludere a un processo, che affianco a momenti di visibilità efficaci dobbiamo attrezzarci per radicarci e tenere.  Fuori da facili formule affrontiamo questa due giorni con la voglia di moltiplicare i punti interrogativi più che con l’ansia di trovare risposte.   

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