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Il Venezuela come spia della crisi del gendarme americano?

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A un primo sguardo sembrerebbe che gli Stati Uniti stiano replicando per l’ennesima volta un copione già visto. Un copione immutabile nel tempo, e di sicuro successo. Minaccia di intervento militare che segue guerra economica di lungo periodo. Azione decisa nello schierare le principali potenze contro il nemico di turno. Narrazione messianica tra bene e male a descrivere il campo del conflitto in maniera manichea, finalizzata a distogliere attenzione dai profondi temi di ordine economico e geopolitico.

Sembrerebbe, appunto. Perché quanto sta avvenendo in Venezuela, al di là delle veline giornalistiche, tradisce la definizione di un mondo sempre più multipolare. In cui le volontà di una singola potenza, per quanto dominante, non portano più direttamente o quantomeno facilmente all’esito da questa desiderato.

Ne è prova la titubanza dell’Unione Europea sul Venezuela. Questa va in ordine sparso, gioca su più tavoli, e non sembra avere alcuna linea comune. Il motivo è da cercare ad est. Non paga di quanto sta avvenendo in Siria e dopo la campagna di Crimea, la Russia sta tornando infatti ad emergere come potenza militare globale. Una potenza capace di influire anche politicamente. Il rifiuto dell’Italia di appoggiare ufficialmente Guaido si spiega anche con le pressioni esercitate sul governo italiano da parte di Mosca, grande alleato di Maduro. Non a caso Salvini, i cui legami con circoli legati al Cremlino sono noti da tempo, insiste su questo tema molto meno di quanto potrebbe fare, e di quanto fa su temi molto minori.

Ma la Russia non è sola, e da sola non riuscirebbe in alcun modo a mantenere questo tipo di approccio. Riesce a agire in questo modo anche perché ha l’appoggio alle spalle della Cina. Pechino, impegnata in un duro scontro commerciale e tecnologico con gli USA, è infatti assolutamente felice di mettere i bastoni tra le ruote agli USA dove possibile. Dalla questione coreana, dove insieme a Kim ha di fatto messo Trump all’angolo costringendolo a trattare con quello definito “Rocket man”, a quella venezuelana dove in gioco sono centinaia di milioni di barili di petrolio e una posizione privilegiata sull’oceano Atlantico. E sempre stando da noi, con il piano delle nuove vie della seta guadagna sempre piu relazioni a livello internazionale ( a marzo Xi sarà in Italia).

Siamo quindi di fronte a un cambio di passo nelle relazioni internazionali? È possibile che da qui in avanti tensioni finora risolte in maniera relativamente semplice, guardando a Washington, di volta in volta si politicizzino su scala globale a partire dalla fase dei rapporti tra Cina, USA e Russia? E che l’esito in paesi cruciali come il Venezuela sia appunto la guerra civile tra fazioni sociali e militari sostenute da differenti potenze, come del resto avvenuto in Siria ed Ucraina? È possibile, ma non scontato.

Gli Usa rimangono infatti la prima potenza militare globale. Il recente ritiro dal trattato INF ne segna anche la volontà di riprendere direttamente in mano la corsa agli armamenti, anche per rispondere alla “arroganza” russa. Il golpe in Venezuela, come segnalato anche da Raul Zibechi, potrebbe essere pensato proprio per dare un altro colpo alla Cina, che ha grandi investimenti nell’industria petrolifera del paese e che sta cercando di guadagnare spazio in Sudamerica. Gli USA tramite la Nato controllano in maniera chiara i territori europei, e anche da noi continuano a imporre il loro volere dove sono in ballo interessi economici fondamentali, come ad esempio la TAP. E con il dollaro ancora cardine della finanza internazionale, gli USA possono segnare vita e morte dei paesi che gli fanno sgarbi (chiedere a Turchia e Argentina).

Ma è evidente che sta emergendo, basti pensare alla posizione cinese in Africa, al progetto seppur contestato delle vie della seta, alle posizioni guadagnate dalla Russia in Medio Oriente, un abbozzo di alternativa, di messa in discussione del dominio globale americano. In cui anche l’Europa, tra venti secessioniste e spirali sovraniste, sembra poter tornare allo status di terra di conquista di influenza, come ai tempi della guerra fredda. Del resto Putin non fa mistero di voler distruggere l’Unione Europea balcanizzandola, attraverso i vari Salvini, Le Pen, Orban.

A pagare ora, in questo specifico momento, è soprattutto la popolazione venezuelana, stretta tra le contraddizioni di un modello economico chavista insufficiente e un tentativo di golpe organizzato dall’esterno. Ma forse siamo ad un punto di cambiamento che potrebbe segnare i prossimi anni. E che potrebbe rendere ogni crisi politica singola un punto molto più caldo di quanto sembrerebbe, facendo tuonare con molta più forza i tamburi di guerra..

 

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