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Il giorno del ricordo e il mito delle foibe

 

IL GIORNO DEL RICORDO E IL MITO DELLE FOIBE

La legge, decisa nel marzo del 2004 dal parlamento italiano, che istituisce la “giornata del ricordo” dei “martiri delle foibe” e dell’“esodo” istriano ogni 10 febbraio è la rappresentazione tipica dell’uso politico e strumentale della storia e dello stravolgimento della stessa a fini politici.

Prima di andare a vedere la reale storia non solo delle foibe ma anche di quella che è stata una delle pagine più sanguinose del colonialismo italiano (l’occupazione dei balcani da parte del regio esercito), è bene fare una piccola, ma doverosa, introduzione per spiegare che l’istituzione del “giorno del ricordo” «al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale», fu voluta da tutto l’arco istituzionale italiano lienaberando dal contesto neofascista, in cui sino ad allora si trovava la peggio porcheria nazionalista.

A dimostrazione di ciò basta leggere la definizione di Giorgio Napolitano sulle foibe data il 10 febbraio 2007 durante la prima commemorazione: “Un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”.

Se consideriamo il contesto in cui si svolsero i fatti (una violenta guerra di aggressione da parte di due eserciti, quello nazista e quello fascista, una feroce occupazione militare, la deportazione e lo sterminio di intere popolazioni), la dichiarazione di re Giorgio, molto amato dai sinistri istituzionali nostrani, appare la dimostrazione lampante di come il revisionismo storico su argomenti quali il fascismo, l’antifascismo e la resistenza, e non solo, sia da molti anni opera e proprietà non più della destra ma dell’intero arco politico che, attraverso una costante opera di revisionismo e attacco alla resistenza, in un contesto culturale segnato dall’uso politico della storia da parte delle istituzioni, attacca di fatto quei valori politici che ispirarono la resistenza stessa tutt’ora attuali.

 

SI AMMAZZA TROPPO POCO

“Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”. – Benito Mussolini, 1920 .

“Si ammazza troppo poco!”: questa è la nota messa dal generale Robotti a commento di un fonogramma inviatogli dal Capo di Stato Maggiore Galli nel 1942 con il resoconto di un rastrellamento in zona Travna Gora.

La vergognosa aggressione alla Grecia, iniziata il 28 ottobre 1940, mette in seria difficoltà l’esercito italiano, che si trova a dover fronteggiare non solo l’esercito greco ma anche i combattenti dell’EAM, la più numerosa formazione della resistenza greca facente capo al KKE, il partito comunista greco fondato nel 1918.

Di fronte a queste difficoltà la richiesta di aiuto militare alla Germania nazista infranse l’illusione della “guerra parallela” voluta da Mussolini.

Nel 1941, dopo il criminale bombardamento nazifascista che rase al suolo Belgrado, l’esercito italiano, insieme a quello tedesco e ungherese, invade la Jugoslavia occupandola completamente in un mese e dando inizio al “mattatoio balcanico”.

All’Italia spetta tutta la costa dalmata, la Slovenia, la Croazia e parte del Montenegro.

La Slovenia viene direttamente annessa diventando “provincia di Lubiana”, mentre la Croazia diventa un “regno indipendente” avente come primo ministro Ante Pavelic, un fascista sanguinario e feroce (di cui Curzio Malaparte dà un eloquente descrizione in “Kaputt”) vecchio amico di Mussolini e come monarca Aimone d’Aosta, cugino di Vittorio Emanuele III.

Il partito fascista croato Ustascia capeggiato da Pavelic e appoggiato dal vescovo di Zagabria Stepinac intraprende da subito un’opera di sterminio nei confronti dei serbi (colpevoli di essere tra i principali sostenitori della nascente resistenza capeggiata da Josiph Broz, meglio conosciuto come Tito) e delle altre minoranze sul suolo croato, spalleggiata dall’esercito italiano.

L’intera Jugoslavia diventa un immenso territorio di stragi e crudeltà. Alla fine della guerra, dopo la liberazione da parte della resistenza del Partito Comunista Jugoslavo (KPJ), sarà uno dei paesi che avrà pagato il più alto numero di morti: circa 1 milione e mezzo di persone su 16 milioni di abitanti (basta pensare che i caduti italiani tra civili e militari, fra battaglie e bombardamenti, repressioni e fucilazioni, non supera le 300 mila unità su 45 milioni di abitanti).

Se proprio vogliamo fare la contabilità dei morti, come i revisionisti nostrani, allora ci sembra giusto far notare che 250 mila morti (di cui i caduti in combattimento sono una parte esigua), su quel milione sopracitato, si devono attribuire alla responsabilità diretta dell’esercito Italiano che si distinse in saccheggi, stragi e brutalità (da ricordare a tal proposito la II Armata, sotto il comando del generale Roatta).

I villaggi jugoslavi distrutti dall’ esercito italiano durante i rastrellamenti furono 250, che cosa fossero questi rastrellamenti lo racconta in una sua testimonianza Edvard Kocbek, all’epoca comandante partigiano: “I villaggi bruciano, i campi di grano e i frutteti sono stati devastati dal nemico, le donne e i bambini strillano, quasi in ogni villaggio degli ostaggi vengono passati per le armi, centinaia di persone vengono trascinate nei campi di prigionia, i bovini muggiscono e vanno vagando per i boschi. La cosa più sconvolgente è che questi orrori non vengono perpetrati da un’accozzaglia di primitivi come al tempo delle invasioni turche, ma dai gioviali soldati del civile esercito italiano, comandati da freddi ufficiali che impugnano fruste per cani… “.

Le deportazioni della “inferiore razza serba e jugoslava” furono massicce e migliaia di cittadini trovarono la morte nei campi di sterminio nazisti o nel campo italiano della Risiera di San Sabba, a Trieste.

Nel “regno indipendente della Croazia” operavano, affiancate dalle truppe italiane, le milizie del partito Ustascia mentre nella costa dalmata e nelle isole annesse la repressione era affidata alla II armata del regio esercito. Fu una repressione pianificata a tavolino, ancora più dura in Slovenia, la quale, annessa all’italia, doveva essere completamente assimilata.

Pochi conoscono i lager di Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab (isola di Arbe) costruiti dall’Italia in Jugoslavia. Furono creati campi in cui deportare la popolazione anche in Italia a Gonars (Udine), a Monigo (Treviso), a Renicci di Anghiari (Arezzo) e a Padova.

Questo, in breve, è il contesto storico volutamente dimenticato dai revisionisti nostrani quando parlano di foibe e da “artisti” “di sinistra” come Simone Cristicchi che proprio sulle foibe ha realizzato “Magazzino 18”, una rappresentazione teatrale volta a “raccontarne il dramma”, portata in scena al teatro Aurora di Scandicci il 30 gennaio 2014 e duramente contestata dai compagni del collettivo Firenze Antifascista.

 

ALCUNI DEI FONDAMENTI “STORICI” DEL MITO DELLE FOIBE

Nel 1961 Gianni Bartoli, già sindaco DC di Trieste (famoso perchè nei suoi comizi si metteva regolarmente a piangere ricordando “le terre perdute di Istra e Dalmazia”) pubblicò il “Martirologio delle genti adriatiche–Le deportazioni nella Venezia Giulia e Dalmazia”, libro che raccoglie 4.122 nomi di “scomparsi” (dalle province di Trieste, Gorizia, Istria, Dalmazia).

Se andiamo a vedere le note bibliografiche che accompagnano i nomi e a leggerle con il dovuto senso critico riusciamo a inquadrare la realtà dei fatti. Difatti a proposito dei militari viene indicato il luogo in cui sarebbero dispersi e non quello in cui sarebbero “infoibati”, non si capisce quindi come possano far parte dei “martiri delle foibe” mentre, per quanto riguarda i civili “infoibati, un caso lampante della falsità storica dell’ opera di Bartoli è rappresentato dal Caso di Barut Servolo, fatto passare per “infoibato” quando invece, in seguito a una ricerca successivamente condotta, si scoprì che fu ucciso dai fascisti nella Risiera di San Sabba dove fu rinchiuso in quanto dirigente dell’Osvobodilna Fronta (Fronte di Liberazione) di Caresana.

Un’altra opera di “ricerca storica” su cui si fonda il mito delle foibe è “L’albo d’oro” di Luigi Papo il quale riporta i nomi di 20.172 persone. E’ un libro tra cui spiccano perle come questa: «Ciurcovich Leonardo, da Borgo Erizzo (Zara), ivi ucciso il 9.8.40 per aver difeso la propria italianità di fronte ad elementi slavofili», oppure quest’altra: «Serbo Eugenio, capitano 57° Rgt. Art. Div., rimpatriato dalla Germania fu catturato dagli Slavi e deportato nei pressi di Lubiana; risulta deceduto il 14.12.44 a Leitmeritz».

Per chi non lo sapesse Leimeritz è il nome tedesco di Litoměrice, cittadina che si trova nell’ attuale repubblica Ceca, all’epoca occupata dai nazisti, e non in Jugoslavia. E’ un po improbabile che i non meglio identificati “slavi” di cui parla Papo siano riusciti a deportare il capitano Serbo a Lubiana e farlo morire nel 1944 in un lager tedesco… Il libro di Papo tanto citato dagli storici revisionisti è più che altro un lungo elenco di nomi e inesattezze storiche; è inoltre importante ricordare che Papo partecipò attivamente ai rastrellamenti fascisti in Istria e venne arrestato dai partigiani di Tito per i crimini commessi e detenuto a Prestranek in Slovenia, da cui però venne rilasciato. In seguito divenne un importante elemento dei servizi d’informazione della Milizia repubblichina, collaborò dopo la fine della guerra con i servizi alleati ed i neocostituiti servizi italiani, occupandosi, indovinate un po’, di documentazioni sulle foibe… .

Bartoli e Papo sarebbero due dei pù noti “studiosi imparziali” sull’argomento insieme a Marco Pirina (scomparso nel 2011) che fu presidente del FUAN romano alla fine degli anni sessanta e presidente del “Fronte Delta”, un gruppo neofascista formato da studenti dell’università “La Sapienza”.

Pirina fonderà alla fine degli anni ottanta l’associazione “Silentes loquimur” che, grazie ai finanziamenti pubblici, inizierà a sfornare un libro all’anno sui “crimini” commessi dai partigiani in Istria e Slovenia, contribuendo ad alimentare il mito delle foibe.

Sembra chiaro che, viste le biografie politiche, di tre tra i più noti “studiosi imparziali” sul tema delle foibe l’appellativo “imparziale” è a dir poco un eufemismo.

Difatti se andiamo a cercare documentazioni ben più serie e attendibili come il rapporto che nel giugno del 1945 il maresciallo del 41° corpo dei vigili del fuoco Arnaldo Hazarich consegnò alle autorità militari alleate, possiamo vedere come il numero totale dei corpi recuperati nelle foibe istriane ammonta a 300 persone, identificate dai loro documenti come soldati italiani o tedeschi. Emblematico è il caso della foiba di Bassovizza (Slovenia), dove in realtà vennero gettati i corpi dei militari tedeschi morti durante la battaglia avvenuta nella zona 30 aprile 1945, come ha fatto notare in un suo articolo Claudia Cernigoi nel 2011 (1).

Oggi sul luogo si trova il monumento ai “martiri delle foibe” “uccisi perchè italiani” giusto per citare uno dei tanti esempi di attendibilità storica riguardo a foibe e “giorno del ricordo”.

D’altronde la propaganda sulle foibe basandosi su circostanze inesistenti non considera neanche due documenti dell’epoca noti agli storici da decenni.

Il primo documento è la “relazione Corcovado”, redatta da Marcello Corcovado che si trovava a Pisino (Istria) nel 1943.

Nella Relazione, consegnata al CLN triestino nel 1945, Corcovado descrive il comportamento dei partigiani locali: “Il dominio partigiano si svolgeva senza eccessivi disordini“ “Alcuni squadristi vennero uccisi ed altri vennero imprigionati nel castello Montecuccoli. Perquisizioni, arresti e minacce si susseguirono in questo periodo di ansia da parte della popolazione che assisteva e subiva impotente la situazione” (…) “Il Capo partigiano tuttavia si scusava di qualche eccesso e dell’uccisione di alcuni squadristi, biasimando il fatto ed attribuendolo ad elementi fanatici ed estremisti” e quello dei nazisti che riconquistarono la zona: “I carri armati aprirono il fuoco contro le case “che tosto andarono in fiamme e distrutte. Coloro che da dette case scappavano venivano indistintamente tutti mitragliati e stesi al suolo”, e furono uccisi “molti innocenti tra cui donne e bambini”, dimostrando chi fu realmente a mettere a ferro e fuoco la zona.

A Trieste, nonostante la vulgata generalizzata, le esecuzioni sommarie avvenute all’indomani della liberazione furono molto limitate, la città era sotto il controllo della resistenza Jugoslava. Una testimonianza utile ci viene da Mario Pacor, storico triestino, quando descrive quello che lui definisce “malcontento operaio” a proposito di un episodio accaduto a Trieste nel maggio del 45: “Fu così che agli operai insorti non fu permesso di procedere a quelle liquidazioni di fascisti responsabili di persecuzioni e violenze … …“Non ce lo permettono” mi dissero ancora alcuni operai “pretendono che arrestiamo e denunciamo regolarmente codesti fascisti”. (Documento conservato presso l’Archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, XXX 2227 ).

Non bisogna dimenticare il caso dell’ “Abisso di Plutone”, una foiba presso Trieste, in cui i cadaveri ritrovati appartenevano, in realtà, a civili ucissi e torturati da militi della X Mas e dalla “banda Collotti”, una delle tante bande di torturatori della repubblica di Salò. Come possiamo notare in un’intervista rilasciata ai giornali da Umberto de Giorgi: “Quando ero alla Questura durante l’occupazione nazista, noi facevamo il nostro solito lavoro di polizia. (…) la banda Collotti si occupava di altre vicende. Un giorno trovai il cadavere di una donna in una scarpata, presso Santa Croce. Aveva strane lesioni alle vertebre. Studiammo la cosa, e un mio assistente fece uno schema di come quelle lesioni e le ferite che trovammo in tutto il corpo potevano essere state provocate. Ne risultò lo strumento di tortura, che si scoprì in seguito, della banda Collotti. Trovammo anche altri cadaveri, che la banda Collotti buttava in cespugli e anfratti dopo le torture, girando la notte con un furgoncino che aveva sequestrato alla ditta Zimolo. Io volevo andare fino in fondo: feci i miei rapporti. Poi uno della questura mi disse: non occupartene più se non vuoi fare la stessa fine. Collotti ti tiene d’occhio”.

Tuttavia, nel corso delle sue indagini De Giorgi non ha nessun dubbio ad attribuire la responsabilità dei morti ritrovati ai partigiani jugoslavi. Il nome di De Giorgi è a Trieste anche legato ad un fantomatico “rapporto sulle foibe” che per decenni vari foibologi della destra nazionalista hanno sostenuto essere la prova definitiva dei “crimini” commessi dai partigiani. Questo rapporto considerato fondamentale non è però mai stato reso pubblico, né si sa dove sia conservato.

 

CONSIDERAZIONI FINALI

Il mito delle foibe, il “giorno del ricordo” servono, prima di tutto, a sdoganare la reale storia del colonialismo italiano rafforzando il mito degli “italiani brava gente”. Nessun criminale di guerra italiano che all’epoca operò nei Balcani venne incriminato e condannato, molti furono riciclati, già a partire dall’Armistizio, negli apparati statali del Governo del Sud, e poi in quelli della nascente Repubblica Italiana, almeno sino al 1948.

Tra i casi eclatanti si può ricordare quello del generale dei carabinieri Taddeo Orlando, artefice del grande rastrellamento di Ljubljana che provocò migliaia di vittime. Egli compariva al numero 149 della lista dei criminali di guerra delle Nazioni Unite ma venne nominato segretario generale del Ministero della Difesa da De Gasperi nel 1947. Il generale Mario Roatta, indiscusso massacratore durante l’occupazione italiana dell’ Istria e della Dalmazia, arrestato a Roma nel novembre 1944, fu poi fatto fuggire in Spagna dove visse agiatamente per un ventennio, per tornare infine indisturbato in Italia (Di Sante, 2005).

L’omertà degli apparati dello stato in cui si riciclavano i fascisti vanificò le richieste di estradizione dei criminali di guerra preparate dal governo jugoslavo.

Che il revisionismo sia una delle armi culturali della destra non c’è ombra di dubbio ma purtroppo negli ultimi anni è avvenuta, su questo fronte, un’accelerazione impressionante, sono passate “verità storiche” che tali non sono grazie a sedicenti “storici” non solo fascisti ma anche grazie a elementi come Gianpaolo Pansa e i suoi ultimi libri (primo fra tutti: “Il sangue dei vinti”) .

Nel quadro dell’attuale revisionismo storico, incentrato sulla sistematica demolizione di eventi fondamentali nella storia d’Italia come la Resistenza (fatta passare come semplice guerra contro l’invasore tedesco e non come come lotta antifascista e di classe oltre che come lotta di liberazione) proprio ciò che serve è costituito da quell’elemento che si possa equiparare al genocidio nazista e che è rappresentato dal falso storico delle foibe, occultando così la criminale occupazione nazifascista della Jugoslavia.

Il “processo annessionistico Jugoslavo” di cui berciò Napolitano altro non era che la legittima resistenza del popolo jugoslavo all’occupazione e alla repressione nazifascista, resistenza che si sviluppo senza alcun aiuto dall’esterno, processo di liberazione a cui partecipò anche la resistenza italiana.

Anche l’”esodo” delle popolazioni italiane dell’Istria all’indomani della liberazione della Jugoslavia è leggermente diverso da come descritto da molti degli storici tanto cari ai revisionisti italici, che si dimenticano di dire che al passaggio dei territori istriani alla Jugoslavia seguì un referendum che stabiliva la libera scelta sulla cittadinanza da mantenere, cosicchè chi optò per l”italianità” venne invitato a lasciare l’Istria. Questo avvenne nel contesto di un passaggio storico definito e razionale, determinato da accordi internazionali a cui l’Italia aderì come paese sconfitto all’indomani della guerra.

Infine è bene notare che una parte importante in tale processo revisionista la sta facendo il PD accettando e promuovendo attivamente la visione del mondo liberista anche attraverso una “nuova” visione della storia di quegli anni.

 

*****

Vista l’impossibilità di poter riassumere in poche pagine un argomento come quello delle foibe e del revisionismo storico su cui tale argomento si fonda, per chi volesse approfondire il tema segnaliamo alcuni materiali ulteriori:

 

Sui crimini di guerra dell esercito italiano il documentario fatto dalla BBC: “Fascist legacy”

 

Sull’argomento foibe:

– http://digilander.libero.it/lefoibe/partigiani.htm#ilfascismo

– http://digilander.libero.it/lefoibe/partigiani.htm#anpi

Resistenza e revisioni storiche: cazzi nostri di Wu Ming

La ‘Foiba’ di BasovizzaLe inchieste dell’ispettore De Giorgi e Foibe tra storia e mito di nuovaalbarda.org

Neo-irredentismo e foibe: quello che i media non dicono, Foibe tra storia e mito: intervista a Claudia Cernigoi e Santi subito! “Infoibati” veri e presunti di carmillaonline.com

Foibe e Wu Ming: un finto scandalo

 

1 Bajc G., 2006, Operacija Julijska Krajina, Zolozba Annales, Koper. .

2 Capogreco C.S., 2006, I campi del Duce, Einaudi, Torino. .

3 Cernigoi C., 2005, Operazione “Foibe” tra storia e mito, Kappavu, Trieste. .

4 Conti D., 2008, L’occupazione italiana dei Balcani, Odradek, Roma. .

5 Day M.J., Kueny J.A., 2004, Military uses of caves. In: The Encyclopedia of Caves and Karst Science, Taylor and Francis. .

6 Di Gianantonio A., 2006, L’arco lungo della Resistenza. Formazione, attese e pratiche politiche di una generazione tra guerra e dopoguerra. Il caso di Monfalcone. In: (a cura di Celletti D., Novelli E.) La Memoria che resiste, Memorie, 1, Cierre edizioni. .

7Di Sante C., Italiani senza onore, i crimini in Jugoslavia e i processi negati, Ombre corte, Verona. .

8 Ferenc M., 2005, Absent from Public Memory. Hidden grave sites in Slovenia 60 years after the end of the World War Two. In: 1945 – A break with the past, Institute for Contemporary History, Ljubljana. .

9 Kempe D.R., 1988, Living underground: A History of cave and cliff dwelling, Herbert Press, London. .

10 Linz J., 2000, Totalitarian and Authoritarian Regimes, Boulder, Rienner. .

11 Michel H., 1973, La guerra dell’ombra, Mursia, Milano. .

12 Mihevc A., 1995, Caves as mass-graveyards in Slovenia. In: Acta Carsologica, n. 24. .

13 Novak B., 1973, Trieste 1941-1954, Mursia, Milano. .

14 Pirjevec C., 2009, Foibe. Una storia Italiana, Einaudi, Torino. .

15 Pol Vice, 2008, La foiba dei miracoli, Kappavu, Trieste. .

16 PRC, 2003, Atti del convegno sul problema storico e politico delle foibe, Venezia. .

17 Pupo R., Spazzali R., 2003, Foibe, Bruno Mondadori, Milano. .

18 Sluga G., 1999, Italian National Memory, National Identity and Fascism. In: Bosworth R.J.B. & Dogliani P. (ed.), Italian fascism: history, memory and representation, Palgrave, New York. .

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