InfoAut
Immagine di copertina per il post

Il disincanto di Ippolita e lo sboom di Facebook a Wall Street

Alla fine Facebook è sbarcata a Wall Street. La prima giornata di vendita delle azioni hanno fatto affluire nelle casse del social network molti miliardi di dollari. Mark Zukerberg, uno dei fondatori, è diventato un piccolo Paperon de Paperoni; lo stesso è accaduto ad alcuni investitori istituzionali e manager dell’impresa. La divisione della torta ha inoltre previsto piccole porzione anche per i fortunati dipendenti che erano stati premiati con delle stock option nei mesi scorsi. E ieri la Rete ha diffuso un video dove Mark Zuckerberg era attorniato da decine e decine dipendenti che sorridenti festeggiavano l’avvio delle vendita delle azioni. Un video che i compassati New York TimesThe Guardian hanno paragonato alle rituali assemblee delle imprese coreane,giapponesi e cinesi, dove i lavoratori inneggiano al logo e ai padroni che li rendono merce. Immagine plastica di quella comunità dei produttori che uno studioso liberal come Richard Sennett prospetta per uscire dalla crisi. I due quotidiani, situati alle due sponde dell’Atlantico, hanno però sottolineato anche un’altra cosa: la prima giornata di Facebook a Wall Street non ha suscitato l’entusiasmo che accompagnò l’Ipo (Initial pubblic offering) di Google. Il giornale newyorkese ha anzi messo in rilevo che gli scambi a Wall Street non sono stati trascinati dall’effetto Facebook. I motivi di ciò sono tanti, ma ciò che emerge dalla lettura dei commenti in Rete sono i dubbi sulla fragilità di Facebook, una società ritenuta niente affatto dinamica e innovativa come invece le relazioni pubbliche del social network hanno sempre tentato di accreditare.

Ma al di là delle analisi che hanno accompagnato il quasi successo (o il quasi flop) di Facebook, il suo arrivo a Wall Street va valutato attentamente, perché è la prima volta che un’impresa che fa le sue fortune organizzando capitalisticamente la comunicazione informale tra i novecento milioni di utenti si candida a diventare un’impresa globale che fa leva su un circolo virtuoso tra finanza e sussunzione reale della cooperazione sociale. Esistono già altri circoli virtuosi di questo tipo. Google è tra questi; Apple anche, ma è la prima volta che un’impresa si insedia stabilmente a Wall Street per attirare capitali e investitori sul suo core business, cioè le chiacchiere informali scambiate in rete. Per capire le implicazioni della quotazione in borsa occorre tuttavia tornare un po’ indietro nel tempo e indagare a fondo le caratteristiche proprie di questo social network.

Il silicio parlante

La lunga e dorata marcia di Facebook verso la quotazione in borsa è stata sapientemente gestita da Mark Zuckerberg, che ha sempre presentato il social network come un’impresa innovativa che ha saputo interpretare il bisogno di socialità e di comunicazione nell’era del silicio. In un mondo sempre più interconnesso e piccolo, uomini e donne fanno esperienza di una solitudine che lascia attoniti e infelici, proprio quando la Rete dovrebbe consentire relazioni sociali che non conoscono i limiti dello spazio e del tempo. Ma più ci si avvicina alla realizzazione del villaggio globale, più la solitudine è esperienza quotidiana. Facebook, ripete il suo fondatore, fornisce ciò di cui la società ha bisogno: un habitat dove rinverdire vecchie amicizie e coltivarne di amicizie.

Con i suoi quasi novecento milioni di utenti, Facebook è dunque riuscita a compiere un piccolo miracolo: ha reso amichevole la Rete. Inoltre, fornisce gratuitamente i suoi servizi. Basta connettersi, aprire il proprio profilo e cominciare a dialogare con gli “amici”, socializzando stati d’animo, esperienze, gusti musicali, idee politiche, incontrando cioè sul web i propri simili, evitando così la spiacevole prospettiva di chattare con chi la pensa diversamente. L’Altro è bandito dalla propria pagina, ma se mai lo si volesse incontrare basterà chiedere amicizia a chi, nel suo profilo, ha definito un’identità diversa. L’innovazione, dicono alla Facebook, sta nell’aver fornito gratuitamente la possibilità di costruire griglie sociali laddove era impensabile costruirle, la Rete. Certo, la gratuità ha un prezzo, quello di fornire i propri dati, che saranno elaborati e impacchettati per essere venduti a imprese che li useranno per le loro strategie di vendita. Poi ci sono anche i discreti annunci pubblicitari che appaiono sulla destra della pagina, ma viviamo in una società aperta, dove la libertà di scelta è garantita a tutti. Insomma, l’innovazione per Mark Zuckerberg si limita a fornire un habitat favorevole agli incontri con i propri simili, evitando ogni contatto con chi è diverso. Sta in questa standardizzazione dei profili personali la libertà assoluta promessa da Facebook. Gli unici limiti posti sono l’uso di un linguaggio appropriato.

Da molti a molti

Molta acqua è dunque passata sotto i ponti da quando Mark Zuckerberg mise in piedi un social network destinato solo agli studenti di università prestigiose. Il giovane scontroso, irascibile, scaltro, opportunista e molto bravo ad assemblare codici informatici è diventato grande, ricco, ma non ha rinunciato a presentarsi come un «ribelle», ma tollerante verso chi la pensa diversamente. È ovviamente politicamente corretto, ma non rinuncia al suo punto di vista. La leggenda dice che Facebook doveva essere la chiave d’accesso di Zuckerberg nel mondo dorato dell’élite statunitense. Ma se i suoi primi compagni di viaggio, Dustin Moskovitz, Eduardo Severin e Chris Hughes, volevano solo entrare nei circoli e confraternite dell’Ivy League, cioè delle università statunitense più prestigiose, Zuckerberg, anche se era studente ad Harvard, aveva ben altri progetti. In fondo, non ha mai nascosto il suo disprezzo verso un’élite chiusa nelle sue recintate e ben protette torri d’avorio. Per lui, il potere e la ricchezza erano a portata di mano senza dover fare nessun inchino o partecipando ai tristi riti dell’Ivy League. E con feroce determinazione ha fatto fuori tutti i suoi iniziali compagni di viaggio per restare solo al comando.

Il fenomeno Facebook non è però spiegabile attraverso la personalità di Mark Zuckerberg. È infatti un modello di business atipico rispetto agli standard statunitensi. I suoi profitti dipendono da quell’impalpabile, ma fondamentale elemento alla base di quell’animale sociale che è l’essere umano. Bisogno di comunicare la propria esperienza agli altri, senza rinunciare alla sua singolarità. Ci sono ovviamente dei precedenti nel capitalismo di imprese che hanno fatto della comunicazione oggetto di attività imprenditoriali. Ma i media – dai giornali alla televisione – hanno sempre visto una fonte primaria della comunicazione. Il modello era dall’«uno ai molti». La Rete consente invece una comunicazione dai «molti ai molti». Mancava però un habitat dove il singolo potesse esprimere le sue potenzialità, la sua capacità cioè di costruirsi una rete sociale. L’espressione social network evidenzia, d’altronde, proprio la capacità dei singoli di autorganizzare le proprie relazioni sociali. Questo il modello di business di Facebook, al punto che molti analisti e studiosi ne hanno messo in luce le potenzialità politiche vista l’opportunità di funzionare come un produttore just in time di opinione pubbliche, quindi dell’esprimere, in tempo reale, il loro punto di vista senza la mediazione, appunto, dei media.

Destrutturare è bello

È indubbio che il modello di business di Facebook abbia questi elementi alla sua base, ma ce ne sono molti altri da valutare. Per esempio, il cosiddetto data mining, cioè la raccolta, l’elaborazione e la vendita di dati contenuti nei profili degli utenti, nonché la vendita di spazi pubblicitari, così come fa Google. L’aspetto tuttavia più importante, che finora non è stato indagato, è la relazione esistente tra Facebook e quella corrente politico-culturale che negli Stati Uniti è chiamata anarco-capitalista. È a questa relazione che il gruppo Ippolita dedica un saggio intitolato Nell’acquario di Facebook, che può essere acquistato direttamente sul sito www.ippolita.net.

Ippolita è un eterogeneo gruppo di mediattivisti, ricercatori e informatici che da anni analizza i fenomeni emergenti nella Rete e li passa al tritatutto di una critica militante antiautoritaria. Un gruppo che si definisce con orgoglio anarchico o left libertarian. In passato Ippolita ha analizzato il fenomeno del software open source, ritenuto la risposta capitalista alla possibilità di produrre programmi informatici al di fuori delle regole della proprietà intellettuale (Open non è free, Eleuthera) . La stessa tensione «destrutturante» è dietro il volume Luci e ombre di Google (Feltrinelli), dove la società del motore di ricerca è rappresentata come il simbolo di un’impresa che, dietro la retorica della gratuità, ha costituito il primo esempio di data minig nell’era del web 2.0.
Questo saggio non nasconde l’ambizione di destrutturare la visione imprenditoriale non solo di Facebook, ma di tutte le imprese che costruiscono le loro fortune economiche su una concezione «libertaria» delle relazioni sociali. Un progetto di ricerca ammirevole per chi libertario si dichiara. Alla fine del saggio, l’obiettivo di mettere all’angolo il proprio fratello gemello – gli anarco-capitalisti, appunto – è raggiunto. È quindi un testo da leggere con attenzione, perché fornisce molti elementi che aiutano a illuminare il lato oscuro di Facebook e di quel web 2.0 indicato come un luogo di assoluta libertà, considerato invece da Ippolita come un fenomeno di delega tecnocratica della propria socialità.

Gli attivisti da poltrona

La ricognizione parte dalla «distrattenzione», cioè da quella distrazione strutturale che accompagna la vita in Rete. Troppi gli stimoli, troppe le informazioni a cui si ha accesso; da qui la distrazione, che come hanno già verificato i teorici dell’«economia dell’attenzione» pregiudica gli affari. Segue poi la necessità di produrre luoghi dove la distrazione venga gestita e superata attraverso la definizione di profili individuali che attirano attenzione da parte di chi si sente simile. E non è un caso che Facebook sia l’emblema di una «omofilia», cioè della centralità del singolo che entra in relazione con altri individui a colpi di click del mouse, mettendo sulla propria bacheca messaggi tanto insignificanti quanto espressione di una identità immutabile nel tempo e impermeabile a qualsiasi relazione sociale. I post non solo alimentano il chiacchiericcio, la fuffa e il rumore di fondo della Rete, ma sono indice di una pornografia emotiva e relazionale che sicuramente non è sinonimo di libertà. Siamo cioè di fronte a un «automarketing personalizzato di massa» che Facebook trasforma, attraverso la profiliazione, in dati da vendere sul mercato. Non spaventino i neologismi. Il testo di Ippolita è di una chiarezza cristallina. Come non essere d’accordo quando viene analizzato l’attivismo da poltrona, che si esaurisce nel cliccare su «mi piace» di una pagina che invita alla mobilitazione per una causa ovviamente giusta. L’opinione pubblica viene prodotta dentro un dispositivo tecnocratico dove tutti sono spettatori passivi di spettacoli autorizzati dalla policy di Facebook.

L’analisi della «filosofia» anarco-capitalista sottolinea la capacità di una visione antistatalista e a favore del libero mercato di diventare egemone in un contesto, quello high-tech, influenzato dalla controcultura degli anni Sessanta. L’anarco-capitalismo ha una genealogia negli anni Trenta, quando un gruppo di economisti cominciò a sviluppare una teoria incentrata sulla figura dell’individuo proprietario e che ha avuto il suo massimo splendore nel Nobel per l’economia Milton Friedman. Lo stato era il nemico da combattere in nome della libertà individuale. Ogni attività umana doveva essere sottoposta alle leggi della domanda e dell’offerta. Il matrimonio, l’amicizia, il lavoro, la formazione, l’educazione erano beni che potevano essere acquistati o scambiati al mercato. La controrivoluzione reaganiana ha solo posto le basi affinché quella distopia poteva diventare realtà, ma la Rete è un mondo dove i contenuti non devono essere pagati. Ed è proprio in questo contesto che avviene la fusione tra alcuni temi del movement degli anni Sessanta e il credo liberista. Le teorie «libertariane» aggirano così il problema della gratuità e puntano tutto su una trasparenza radicale dove tutto deve essere reso pubblico. Quelle informazioni possono però diventare merce da vendere, lasciando che i contenuti continuino ad essere gratuiti. Anche la proprietà intellettuale non è molta amata. Gli anarco-capitalisti sottolineano allora come la condivisione, il potere della folla possono creare un mondo nuovo, dove l’attitudine individualista può atteggiarsi a paladina di una libertà che ha nel mercato il suo massimo custode.

Liberi perché eguali

Il gruppo di Ippolita ricorda che uno dei primi investitori su Facebook è Peter Thiel, un personaggio inquietante che ha fondato PayPal, chiamata mafia PayPal, un libertariano che chiede l’abolizione della moneta, dello stato, che crede nella competizione come regola aurea delle relazioni sociali. Ma di anarco-capitalisti ce ne sono molti a Silicon Valley. Tutti affermano di aver fatto propria l’attitudine hacker e la conseguente ostilità per i segreti – di stato, delle imprese; e tanti vedono nello Stato il nemico pubblico da combattere per porre le basi di una libertà assoluta. Libertariano è anche Julian Assange, che combatte il segreto di stato in nome di una trasparenza radicale, cioè uno dei fattori base di imprese come Facebook.

Nell’Acquario di Facebook non risparmia, a ragione, nessuno degli idoli della Rete. La sua non è però furia iconoclasta, né un rifiuto o adesione a un luddismo antitecnologico. Più semplicemente, Ippolita ritiene che la tecnologia vada conosciuta per usarla nella costruzione di una società di liberi e eguali che faccia a meno, però, dello Stato. Attitudine saggia, niente da dire, ma questa ricostruzione dell’anarco-capitalismo ne sottolinea sì l’antistatalismo, rimuovendo invece le trasformazione della forma stato che ha accompagnato il capitalismo cosiddetto cognitivo.

In uno dei seminari più citati di Michel Foucault raccolto nel volume Nascita della biopolitica (Feltrinelli), il filosofo francese illustra la genealogia del liberismo, mettendo in rilievo il fatto che più che scomparire lo stato aumenta le sue sfere di intervento. Ma a differenza dell’”era keynesiana”, quando lo stato assumeva il ruolo di imprenditore, nella prospettiva liberista regolamenta attentamente ogni aspetto della vita sociale,svolgendo cioè un ruolo pastorale proprio sugli aspetti della vita sociale che dovrebbero essere distinti da quelli che attengono la produzione della ricchezza. Ma nel capitalismo cosiddetto cognitivo i confini tra vita e lavoro tendono a svanire al punto che nella world factoryl’insieme della caratteristiche della natura umana devono sottostare al regime del lavoro salariato. Per questo, lo Stato punta a costruire una società del controllo proprio perché lo sfruttamento della comunicazione, della conoscenza, degli gli affetti è momento costitutivo del capitalismo contemporaneo. La superfetazione degli aspetti normativi delle relazioni sociali deve quindi svolgere una duplice funzione. Da una parte, definire un controllo preventivo dei comportamenti sociali, dall’altra creare le condizioni affinché comunicazione, conoscenza, affetti possano essere sussunti nella produzione di merci. Uno degli esempi che meglio illustrano il ruolo pastorale dello stato nei processi di valorizzazione capitalista è la proprietà intellettuale: da una parte definiscono il lecito e l’illecito per quanto riguarda l’accesso alla conoscenza; dall’altra legittimano l’enclosures di materie prime – conoscenza en general e informazioni – che sono prodotte attraverso la cooperazione sociale. E non è un caso che Facebook abbia sempre stabilito rapporti di collaborazione con gli Stati nazionali. Questo non significa che non ci sia stati conflitti e tensioni con gli stati nazionali attorno alla violazione della privacy, ma sempre all’interno di condivise tecnologie del controllo sociale. L’analisi del gruppo Ippolita restituisce invece una rappresentazione tutto sommato tradizionale della forma stato. Intrattiene sì un corpo a corpo, da gruppo libertario qual è, con il proprio fratello gemello reazionario, ma non riesce ad andare molto in là di una indignazione verso il potere oppressivo dello Stato, cancellando i vincoli, i legami tra l’organizzazione dello stato, le sue forme di governancedelle relazioni sociali e il capitalismo.

C’è, infine, un altro aspetto mancante nella critica all’anarco-capitalismo di Ippolita. Si tratta della necessaria critica all’economia politica del capitalismo on-line, cioè di un rapporto sociale di produzione che mette al lavoro alcune caratteristiche della natura umana, a partire da quale socialità e capacità di comunicare che sono i fondamenti di imprese come Amazon, Google, Apple, Facebook e tante altre ancora. Il problema è allora come contrastare questa accumulazione per espropriazione di sapere, conoscenza, socialità. espropriazione che avviene durante il lavoro, ma anche quando si chatta con amici e amiche. Il lavoro e la vita, vale la pena ribadire, sono momenti distinti, anche se i confini sono sempre più labili. E va dunque salvaguardata la privacy, come anche il diritto all’anonimato per non rimanere catturati dalla retorica della trasparenza di cui Facebook si è fatta paladina. Allo stesso tempo però come immaginare una realtà dove non c’è vendita di forza-lavoro se non si assume il fatto che è negli atelier della produzione dove avviene l’espropriazione della propria socialità.

La critica all’economia politica del capitalismo on-line ha dunque due momenti distinti, ma interconnessi. Il primo è lo svelamento del rapporto di sfruttamento del lavoro vivo; l’altro è il ruolo appunto pastorale dello stato nel garantire il controllo sulla produzione di socialità e della comunicazione. Non si vuol qui riproporre una concezione anchilosata e sterile della critica marxista al capitalismo. Piuttosto si tratta di fare i conti con gli attuali atelier della produzione, dove è avvenuta un cambiamento di prospettiva per quanto riguarda ad esempio la proprietà privata e la figura stessa dell’individuo. Il libertario Yochai Benkler, ad esempio, vede nella Rete l’emergere di un capitalismo non più basato sulla proprietà privata, bensì sulla condivisione e sulla cooperazione (La ricchezza della rete, Università Bocconi Editore).

Benkler non è il solo studioso che evidenzia questa tendenza, ma è il solo che evidenzia come la ricchezza delle nazioni non derivi dalla concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione nelle mani di una élite, bensì sulla capacità del capitale di espropriare la cooperazione sociale non ponendo limiti sulle sue potenzialità. Da qui la critica del giurista statunitense alla proprietà intellettuale, ritenuta una barriera proprio allo sviluppo della cooperazione sociale. Ci sarebbe molto da obiettare alle tesi di Benkler, ma è indubbio che mettono in evidenza come nella Rete e al di fuori dello schermo è la cooperazione sociale, e il lavoro vivo, a costituire il limite al capitale. Una critica all’ordine costituito non può dunque non assumere come centrale il lavoro vivo come asse su cui misurare le possibilità di costruire una società di liberi e eguali. Senza ripercorrere vecchie dicotomie tra eguaglianza e libertà, che invece emergono in alcune pagine di questo saggio, va quindi detto che la centralità di un conflitto contro i rapporti sociali dominanti di produzione rafforza l’affermazione di una libertà che non coincide con il mercato, ma nella costruzione di una realtà dove uomini e donne cooperano per vivere senza padroni. In fondo, l’animale umano è un individuo sociale. La posta in gioco è dunque il come vivere insieme senza che nessuno sia padrone della vita dell’altro.

Da: Uninomade 2.0

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Approfondimentidi redazioneTag correlati:

borsafacebookwall street

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il trattore torna al campo.. e adesso?

I primi mesi del 2024 sono stati segnati in molti paesi d’Europa dall’esplosione del cosiddetto “movimento dei trattori”.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Militarizzazione, guerra contro il popolo e imprese criminali in Messico

Nessuno con un minimo di sensibilità umana può rimanere indifferente alla violenza esorbitante che viviamo in Messico, sono circa 30.000 le persone uccise solamente nel 2023, mentre nel maggio di questo 2024 ne sono state assassinate 2.657.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Abbecedario dei Soulèvements de la Terre – Composizione

Pubblichiamo di seguito un estratto del libro “Abbecedario dei Soulèvements de la Terre. Comporre la resistenza per un mondo comune” in uscita per Orthotes Editrice, curato nella versione italiana da Claudia Terra e Giovanni Fava.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Emilio Quadrelli: tra Lenin, la guerra imperialista e le tute acetate (raccolta di contributi)

Di seguito raccogliamo alcuni degli interventi e contributi di Emilio Quadrelli per InfoAut o che in passato abbiamo ripreso da altri siti.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il movimento studentesco popolare estromette il primo ministro del Bangladesh Sheikh Hasina

Il 5 agosto 2024, dopo settimane di rivolte politiche, violenze della polizia e repressione degli studenti attivisti, il primo ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina del partito Awami League, si è dimesso dopo 15 anni di governo.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Sapere, potere e controllo della natura: l’intreccio tra tecnologia militare e accademia

Le diramazioni delle scienze e della tecnica sono sottili e articolate, bisogna seguirle e percorrerle per avere evidente il legame tra luoghi del sapere e luoghi di oppressione e guerra.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Ma quale terra promessa? L’agricoltura offensiva coloniale in Cisgiordania

Il secondo tema che abbiamo affrontato è stato quello dell’agricoltura, dell’appropriazione della terra e dei campi e quindi delle modalità di riproduzione fondamentali da parte di Israele.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

L’energia come epicentro di colonizzazione, accaparramento e discriminazioni.

Proponiamo quindi il contenuto di uno dei dibattiti organizzati alle Università occupate del Politecnico di Torino e di Palazzo Nuovo, insieme a End Fossil.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Cos’è il Fascicolo Sanitario Elettronico e perché dovrebbe interessarci.

Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) rappresenta uno strumento che consente alle persone di monitorare e visualizzare l’intera cronologia delle proprie condizioni di salute.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Cosa è andato storto nel capitalismo?

Questa è una brutta notizia per Sharma, forte sostenitore del capitalismo. Cosa è andato storto?

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Smascherata la politica di Meta sul sionismo: Ciberwell si scatena dopo la rivelazione di legami con Israele

Il 10 luglio è stato annunciato che il gigante dei social media Meta avrebbe ampliato la portata della sua censura e della soppressione dei contenuti relativi al Genocidio di Gaza.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Ultimo assalto alla natura: gli ecosistemi quotati in Borsa

Si chiama NAC (Natural Asset Company). Con essa la Borsa di New York ha svelato il piano più radicale e potenzialmente più distruttivo per finanziarizzare tutta la natura e la vita nella stessa. Che la relazione fra il capitalismo e la natura sia basata sulla mercificazione di quest’ultima per estrarre profitti non è sicuramente una novità, […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

CHE COS’E’ IL METAVERSO? DI DISTOPIA, AVATAR E ALTRI INCUBI VIRTUALI

Metaverso (in inglese Meta-verse) è un termine coniato da Neal Stephenson in Snow Crash, un libro di fantascienza cyberpunk del 1992, descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Nel 2021, però, il termine assume una nuova forma, quando Facebook decide di […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

FACEBOOK: AUDIZIONE AL SENATO DELL’EX DIPENDENTE HAUGEN. “IL SOCIAL NETWORK FAVORISCE ODIO PER GENERARE PROFITTO”

Bufera su Facebook con l’audizione al Senato dell’ex dipendente Frances Haugen, che ha denunciato i danni sociali prodotti dalla creatura di Zuckerberg. Il social network, tramite i suoi algoritmi, favorirebbe discorsi di odio e discriminazione, per aumentare le interazioni e incrementare i profitti. Secondo Haugen “la leadership della compagnia sa come rendere Facebook e Instagram […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Erdogan e Facebook non possono oscurare l’informazione indipendente

Insieme agli altri siti di informazione indipendente oscurati nei giorni scorsi da Facebook abbiamo preso parola in una conferenza stampa a Roma. Riportiamo la presa di parola collettiva condivisa dalle realtà che hanno partecipato. Facebook non può rimanere in mano a un privato. Oggi venerdì 18 ottobre, si è svolta presso nella sala della Federazione […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La censura aiuta la guerra di Erdogan – Comunicato congiunto

Tra ieri sera e questa mattina, Facebook ha chiuso le pagine di alcune testate indipendenti e legate ai movimenti sociali. Altre sono state raggiunte da messaggi ufficiali della piattaforma in cui si comunica il rischio della chiusura.I contenuti oggetto dell’operazione sono strettamente legati a post in cui si evidenziava il sostegno alla causa curda e […]

Immagine di copertina per il post
Antifascismo & Nuove Destre

Antifa Zuckerberg? Ma per favore…

Sulla chiusura dei profili social di Casapound e FN Diciamolo subito. A noi non dispiace che i profili social di Casapound e Forza Nuova siano stati oscurati. Quando diciamo “nessuno spazio al fascismo!” stiamo esplicitamente rivendicando che ai peggiori servi del capitalismo, ai peggiori assassini razzisti e sessisti, non venga concesso in alcun modo di […]

Immagine di copertina per il post
Culture

L’ombra di Facebook: Fake News e nuove forme di censura

Riprendiamo da CremonaHacklab un ragionamento sulle recenti direttrici della dirigenza di Facebook rispetto al governo del fenomeno delle fake news. Sviluppi che prendono atto delle preoccupazioni e degli interessi espressi nelle sedi istituzionali – investite a loro volta dal fenomeno e che guardano a strumenti di controllo preventivo della rete, vedere il nostro editoriale Post-verità, […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Lo scandalo FaceBook e Cambridge Analytica tra controllo e nuove forme del capitalismo

  Facebook è travolto dallo scandalo Cambridge Analytica società sotto accusa per avere usato le informazioni riservate prelevate tramite un app tramite il social network di Mark Zuckerberg per influenzare, con  pubblicità mirata, diverse campagne elettorali. La vicenda Cambridge Analytica era già stata sollevata dal “Guardian” lo scorso anno. Facebook da due giorni continua a […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il lunedi nero della Trumpnomics a Wall Street

La fine della cheap money può segnare il ritorno della speculazione. Il botto a Wall Street c’è stato lunedì scorso e neanche piccolo: più del 4% su una capitalizzazione complessiva che aveva toccato livelli da record, con una reazione a catena, come da manuale, sulle Borse di mezzo pianeta (della medesima percentuale è calata successivamente […]