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Cronaca e riflessioni sulla mobilitazione per la Palestina a Pisa

In questi mesi Pisa, come molte altre città d’Italia, ha visto e continua a vedere un’intensa e articolata mobilitazione per la libertà della Palestina e per lo stop al genocidio. Dallo scorso autunno, sin dall’intensificarsi dell’offensiva israeliana sulla Palestina e la ripresa dei bombardamenti su Gaza dopo il 7 ottobre, giovani e studentǝ della città hanno iniziato a scioperare e manifestare, portando la bandiera della Palestina in cima alla Torre di Pisa, occupando la Sapienza dell’Università di Pisa e promuovendo azioni di boicottaggio accademico e commerciale. 

Il 23 febbraio, studentǝ medi e universitariǝ, ancora una volta in sciopero per la Palestina, hanno attraversato le strade del centro della città, portando un messaggio determinato di agitazione e ribellione nelle scuole e nell’Università, contro le complicità di queste istituzioni silenti o colluse con la cultura e l’industria delle guerra, quando non esplicitamente schierate con Israele, con le sue politiche di apartheid e con le sue istituzioni accademiche. Durante lo sciopero un ingente schieramento di polizia ha bloccato e caricato numerose volte lǝ studentǝ, determinatǝ a passare in piazza dei Cavalieri e a non arretrare di fronte al tentativo dello Stato di intimidire e impedire la libertà di dimostrare un dissenso reale, effettivo, di rappresentare un problema per chi pensa di poter dirigere “pacificamente” le istituzioni formative senza posizionarsi e fare i conti con la propria complicità con il genocidio in corso. Lǝ studentǝ, dopo aver resistito a diverse cariche, sono comunque riuscitǝ a raggiungere un polo dell’Università, occuparlo temporaneamente e riunirsi in assemblea, nonostante diverse persone ferite e in pronto soccorso. La sera stessa, un corteo spontaneo di migliaia di persone ha attraversato Pisa, riportando nelle strade un messaggio ancora più forte di solidarietà con la Palestina e di rigidità verso chi ha pensato di fermare muscolarmente le mobilitazioni studentesche, ottenendo l’effetto contrario di moltiplicarle e rafforzarle: “Pisa non ha paura” è stato il messaggio lanciato da una città intera che si è ripresa la piazza, piazza dei Cavalieri, che era stata interdetta la mattina stessa allǝ studentǝ. 

Il 23 febbraio è saltato un tappo da una pentola in ebollizione, su una tendenza al rifiuto dell’escalation bellica, del genocidio in Palestina, di una forzata normalizzazione dell’essere ingranaggi inseriti nella macchina della guerra qualsiasi sia l’attività che si svolge. Allo stesso tempo, è esplosa la necessità di affermare la libertà di lottare e di ribellarsi di fronte a un genocidio, di determinare autonomamente i modi della protesta e dell’azione politica di fronte al bisogno delle forze dello Stato di contenere e neutralizzare una spinta sempre più potente di fare qualcosa e incidere nella lotta per la Palestina. È stato raccolto l’esempio di una possibilità e necessità di agire che nei giorni successivi ha portato a decine di iniziative a livello cittadino e su tutto il territorio, dal mondo dellǝ docenti, ai gruppi dello stadio, da assemblee partecipate da centinaia di persone, fino al corteo di sabato 2 marzo, che ha portato nuovamente in piazza diecimila manifestanti, tra studentǝ di scuole e università e abitanti di Pisa e dintorni. Lo stesso è accaduto nello sciopero transfemminista dell’8 marzo convocato da Non una di meno, dove un messaggio di sostegno concreto ed esplicito al popolo palestinese ha risuonato in molte azioni, cori e interventi durante il corteo partecipato da migliaia di persone. 

Nelle settimane successive, lǝ studentǝ per la Palestina hanno nuovamente convocato uno sciopero, partecipato da centinaia di studentǝ, in occasione del Senato accademico dell’Università di Pisa del 14 marzo, organizzando picchetti nei poli e un presidio determinato che per 9 ore ha resistito per sostenere le rivendicazioni studentesche. In questa occasione, l’Ateneo pisano ha rivelato definitivamente ed esplicitamente il proprio volto sionista e colluso, politicamente ed economicamente, con Israele e i suoi emissari nel mondo: il Senato ha esplicitamente rifiutato di riconoscere il genocidio in Palestina e di eliminare gli accordi con l’industria delle armi e le Università israeliane. Ciononostante, lo sciopero ha consentito allǝ studentǝ di ottenere dei risultati, per quanto parziali, tra cui la sospensione della didattica per un ciclo di assemblee di dipartimento sulla Palestina. 

Contemporaneamente alla Scuola Normale Superiore di Pisa, un potente sciopero di diversi giorni ha imposto la voce dellǝ studente contro il baronato silente e complice dell’università di eccellenza: con cortei interni alla Scuola, con diverse giornate di presidii sotto il palazzo della Carovana e con lo sciopero effettivo di centinaia di studentǝ, che ha cancellato quasi ogni forma di didattica per diverse giornate e ridotto la fruizione dei servizi mensa e bibliotecari, anche qui sono stati ottenuti dei risultati. Con la lotta è stata imposta la presa di distanza della Scuola dal bando MAECI di collaborazione tecnologica e scientifica tra Italia e Israele, realizzando con lo sciopero la possibilità effettiva di sottrarsi a una produzione di sapere tossica nei suoi ritmi e nel suo essere schiacciata e assoldata dentro l’industria della cultura della guerra. 

Nel frattempo molteplici dinamiche di attivazione e fermento stanno prendendo piede negli ambienti universitari, dalla Scuola Sant’Anna ai vari dipartimenti dell’Università di Pisa, le cui assemblee si stanno riunendo in queste settimane con una significativa partecipazione. In ogni dipartimento lǝ studentǝ si stanno organizzando, cercando di ridefinire e determinare democraticamente e autonomamente i fini della ricerca, dello studio e degli spazi universitari. In questo contesto, anche dottorandǝ e assegnistǝ, come nel caso di Scienze politiche, si stanno attivando per rivendicare un’indipendenza del lavoro di ricerca dai fini della guerra e del colonialismo, mentre in vari dipartimenti si susseguono iniziative di agitazione e di formazione sulla storia e l’esperienza di lotta della società palestinese.

In tutti gli atenei pisani, nel mondo giovanile e della formazione, nella città tutta, si stanno articolando molteplici esigenze di cambiamento, di ricerca di esperienze alternative contro ritmi di studio e di vita che impediscono di immaginare un’alterità nel quotidiano, contro l’inerzia di una formazione che si vede complice con il genocidio, nelle sue forme esplicite, e svuotata di significato reale per la trasformazione e il benessere della società, in favore di una sua funzionalità ai fini del dominio e del profitto. Più in generale, in un territorio, come quello pisano-livornese, che vede nella militarizzazione della vita uno dei principali campi di investimento strategico, negli ultimi anni un bisogno concreto e ribelle di pace si sta facendo strada: che sia contro i trasporti e le industrie di armi, contro la costruzione della nuova base prevista su San Piero a Grado o negli ambienti della formazione scolastica e universitaria, sta crescendo l’indisponibilità delle persone a essere parte di un ingranaggio e di un hub militare che dal locale al globale provoca solo distruzione.

Sempre più risulta chiaro che non è la guerra che serve all’università con i suoi finanziamenti; è l’università che serve alla guerra, che del sapere accademico non può fare a meno per soddisfare i propri voraci bisogni di innovazione, legittimazione, normalizzazione. Sempre più studentǝ stanno esprimendo il bisogno di fermarsi, smettere di studiare per chi vuole un mondo in macerie e la Palestina distrutta, nella ricerca di un diverso valore sociale e umano della propria formazione e di esperienze ricche di significato, di lotta e partecipazione, per cominciare a riappropriarsi di tempi e spazi di vita che l’industria della conoscenza vorrebbe soltanto per sé e per la produzione di un sapere arido o guerrafondaio.

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