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Analisi del voto a Modena: la fine del paradigma del ‘buon governo’

Partiamo da un dato certo: l’opzione politica offerta dalla sinistra ha fallito e con essa il “modello emiliano”.

Lo scenario che ci troviamo ad affrontare potrà avere mille sfaccettature, dal tentativo di mettere insieme un governo monocolore, a grandi coalizioni o a un soggetto che possa traghettare la politica a nuove elezioni. La nostra città all’interno di questo scenario risulta ancora una volta un laboratorio interessante da analizzare, studiare e proiettare su possibili scenari nazionali.

I DATI

Questa débâcle trascina anche SEL che paga la sua politica schiacciata verso il PD; in questo territorio si sono eletti a paladini del partitone difendendo dagli attacchi provenienti da sinistra le politiche di questi anni. Il grande sconfitto Mezzetti si affretta a dire che rispetto alle Regionali 2010 hanno raddoppiato i voti, ma raddoppiato rispetto al nulla dato che nel 2010 SEL non esisteva ancora.

Questi dati vengono ingigantito del mancato recupero di PdL e Lega (al contrario dei dati nazionali) che anzi perdono circa il 40% dei consensi diventando quasi ovunque il terzo partito (o coalizione). Certo è da dire che non avendo strutture valide sul territorio questi dati dipendono dalle dinamiche nazionali ma possiamo dire che l’espansione della Lega in Emilia è definitivamente tramontata come si può ben vedere nei comuni dell’area nord (quelli confinanti con Lomabardia e Veneto) dove non superano il solito 4%.

Da queste elezioni possiamo vedere come l’ago della bilancia lo giochi il M5S di Grillo, che anche a Modena e provincia ha fatto il boom, diventando di fatto il vero avversario elettorale del PD, a fronte di una destra che sembrerebbe destinata a sparire dallo scenario politico locale, pur ammettendo che anche questo dato è in forse. Su questi due aspetti dovremmo soffermarci e cominciare a fare delle valutazioni serie d’approccio verso il M5S, stando attendi a non cadere nella logica del mainstrem che una volta li vuole a destra e una volta sinistra.

NELLA BASSA TERREMOTATA

Interessante è soffermarsi sui dati che provengono dai comuni terremotati che ci consegnano una realtà ancora peggiore per l’ex-partitone. Difatti in tutti i comuni il calo del PD è più alto rispetto al dato provinciale così come è più alto il consenso del M5S con picchi del 27,3% a S. Prospero e del 25,3% a Finale Emilia a fronte del 19,9% ottenuto a Modena. Il dato più sorprendente è che l’unico parlamentare proveniente dalle terre del sisma è stato eletto dal M5S nonostante la campagna elettorale del PD che in queste terre si è tutta giocata sullo slogan “ricostruiamo l’Emilia per ricostruire l’Italia”.

Quindi, nei fatti, i terremotati hanno bocciato la politica di Errani in quanto ad ora la ricostruzione è ancora ferma e si continua a vivere sulle promesse e il continuo rinvio dell’arrivo dei soldi che aspettavamo per i primi giorni di gennaio. In questo contesto ci fa anche riflettere l’apertura di diversi tavoli tecnici nei mesi precedenti il voto i con i vari comitati presenti sul territorio: ma non è che prevedendo i dati elettorali abbiamo provato u ultimo colpo di coda?

LA FINE DEL PARADIGMA DEL BUON GOVERNO

Quello che emerge dalla stanza dei bottoni è come il modello Emiliano, studiato, analizzato e messo in pratica nella nostra città, sia il modello a cui Bersani vorrebbe ispirarsi alla ricerca di un “qualchecosa” che possa, attraverso un percorso socialdemocratico riformista, normare ogni problema e dare sicurezza alla gente. Non esce a caso l’articolo su Liberation sul modello Modena, definito pragmatico, elogiando la capacità di intersecare il sistema cooperativo (messo in crisi ora dalle lotte dei facchini), con tutto il tessuto industriale: ceramiche, tessile, alimentare, meccanico, bio medicale ( tutto messo in ginocchio da crisi e terremoto); un segnale per dire quella che doveva essere la via da seguire una volta al governo.

Questo modello ci ha sempre parlato di benessere, lavoro, servizi efficienti ma soprattutto di mediazione e riassorbimento di qualsiasi conflitto sociale tramite tavoli istituzionali, elargizione di nuovo welfare e “favori personali” atti a smorzare le problematiche. Tutto ciò accadeva prima della crisi ma ora le possibilità di allargare i cordoni dei bilanci comunali non c’è più e quindi viene a mancare la capacità di riassorbimento aprendo spazi politici enormi a sinistra del PD, spazi che ad ora sono stati intelligentemente occupati dal M5S.

Ma anche la crisi della politica porta i suoi effetti su questo territorio del “buon governo” e prendiamo come esempio più lampante il mondo cooperativo che, nato con determinati principi, si è trasformato negli anni ed oggi è percepito dalla popolazione come un blocco di potere, un sistema pseudo-mafioso che è incentrato sul mantenimento degli interessi di una certa classe dominante e che spesso serve per dare una poltrona a chi è stato espulso dal sistema politico. Le coop sono quelle che in questi territori speculano, costruiscono opere inutili e offrono lavoro sottopagato e senza diritti; quindi se questo doveva essere uno dei punti di forza del modello emiliano appare chiaro come i cittadini rifiutino in toto questo modello di sviluppo.

I dati che escono dalle urne non sono altro che il frutto delle difficoltà che questo partito si porta dietro da anni, attanagliati da lotte intestine per i posti del potere sia cittadino che regionale, basti pensare che in questo momento sia il segretario comunale che quello provinciale sono dimissionari. In un certo senso le elezioni politiche a Modena rappresentano un banco di prova per le prossime elezioni amministrative che avranno certamente esito incerto; d’altronde assisteremo a cambi di potere in regione se l’idea di Bersani, di portare Errani a Roma, si dovesse concretizzare ( ipotesi valida solo nel caso in cui il Pd decidesse di formare il governo).

Lo scenario regionale vedrebbe due esponenti del Pd modenese, di un certo spessore e con alte credenziali, contendersi la poltrona da presidente: Bonaccini e Muzzarelli. Due pezzi grossi del partito, i quali, a nostro modo di vedere risolveranno la partita alla Pd, ovvero spartendosi le poltrone come da tradizione. Non è mistero che Bonaccini abbia scelto di non andare a Roma per poter aspirare alla poltrona da sindaco di Modena, corsa che di determinerà con le elezioni del 2014. Quindi giochi presumibilmente fatti, ancora una volta poltrone spartite all’interno del partito che si definisce democratico e della gente.

Allora qui il Pd, anche in base all’esito di queste elezioni, si troverà ad affrontare una partita molto delicata perché di fatto il modello Bersani è fallito, e rischia di spianare la strada al liberismo sfrenato di Renzi, ben voluto da una buona parte della sinistra e della destra, se non dei poteri del nostro paese. Lo stesso modello che alcuni assessori modenesi vorrebbero rendere più esplicito anche nella città di Modena, con uno sviluppo votato alla cementificazione, con rapporti più stretti con il mondo imprenditoriale, insomma un sistema votato più alla finanza e alle speculazioni che ai reali problemi sociali.

LA CGIL NELLA CRISI

Un altro aspetto interessante è analizzare la presa sull’elettorato che il sindacato ha perso, difatti se il richiamo al voto per Bersani ha avuto effetti alle primarie altrettanto non si può dire per le politiche. Abbiamo assistito al solito teatrino che da sempre ci parla di un sindacato che fa pressioni più o meno esplicite agli iscritti per “votare bene” ma questa volta è presumibile che tantissimi iscritti abbiano votato M5S. Questo dato ci porta a diverse riflessioni: in primo luogo va in crisi un modello di sindacato che non fa più sue le lotte in difesa dei posti di lavoro, preferendo concertare ammortizzatori sociali che di fatto sono l’anticamera della perdita dei posti di lavoro; al tempo stesso la crisi della politica investe anche la struttura vista sempre più come un enorme carrozzone che punta più al mantenimento delle poltrone e a diventare un sindacato di servizi, che a salvaguardare i lavoratori.

In un certo senso questa sensazione si era già avuta durante i cortei-passeggiata degli ultimi scioperi generali dove era presente un certo malessere nei confronto di una dirigenza che diceva “protestiamo ma senza creare problemi”; la storia ci insegna che questo è il metodo migliore per abbassare il conflitto sociale, dare il contentino ma senza creare reali problemi alla governance. Ora, con una certa percentuale di iscritti e di lavoratori che ha scelto il M5S, questa politica ha sicuramente meno impatto e quindi crediamo che quel potere di “pompieraggio” venga meno aprendo contraddizioni interne difficili da riassorbire senza un cambio netto nelle strategie, cosa che non riteniamo assolutamente possibile.

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