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A un mese da Capitol Hill. Genealogia e prospettive

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A un mese di distanza dall’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso, pubblichiamo un’intervista fatta a un compagno del Michigan nella quale si analizza quell’evento sia in prospettiva genealogica, collegandolo alla crisi del 2008, sia sulle prospettive della coalizione trumpiana e dei movimenti antagonisti. Nell’intervista si descrive il 6 gennaio come il progressivo accumulo di una coalizione eterogenea emersa dalle pulsioni scatenate dal 2008 e in reazione alle rivolte black dal 2014 al 2019, così come dagli attacchi a vari parlamenti statali negli USA nei mesi scorsi contro le misure anti-Covid. L’intervista riporta l’immagine di un campo di tensione che attraversa in modo radicale la società statunitense, che prelude nei prossimi tempi a nuovi conflitti in seguito alle profonde contraddizioni che l’amministrazione Biden non potrà modificare.

 

 

Mi chiamo Alejo Stark, sono un PdD student all’Università del Michigan, sono stato partecipe di movimenti e lotte fino da quando ero giovane, dal 2008 quando ero uno studente senza documenti e lottavo contro le deportazioni, faccio parte di organizzazioni abolizioniste in Michigan (in particolare nelle lotte per l’abolizione della polizia e delle galere) – nello specifico nella Rust Belt Abolition Radio, nata nel 2016 con l’intento di interconnettere nel lotte nelle carceri con quelle in strada (https://rustbeltradio.org), e nel Michigan Abolition and Prisoner Solidarity (https://michiganabolition.org), nato sull’onda dello sciopero delle prigioni, che fu un evento potente e storico nella storia delle lotte carcerarie negli Stati Uniti – avevamo costruito questa organizzazione per sostenere i prigionieri ribelli in Michigan e oltre.

Sto ancora cercando di comprendere di preciso cosa sia successo il 6 gennaio, in molti in realtà stiamo cercando di farlo (inclusa l’FBI ed apparati repressivi dello Stato eheh). Come poter caratterizzare quegli eventi, come inquadrare l’assalto alla capitale. La cosa va inquadrata anche in termini di genealogia, ma in prima battuta direi che può essere considerata una sconfitta. Anche se va ricordato che Marx diceva che anche una sconfitta può essere considerata come la vittoria più capace di mobilitare. Può essere sicuramente considerata una sconfitta per ora ma è un evento che rimarrà come una sorgente di radicalizzazione per il futuro, come un’ispirazione per molti elementi di questo movimento.

 

Lo snodo del 2008

Vorrei parlare più specificamente del 2008, di che cos’è il 2008, per arrivare al 6 gennaio. Se vogliamo tracciare una genealogica che risuona con il 2008 credo che dobbiamo considerarlo nei suoi molteplici aspetti. Come segno, come nome, è in qualche modo l’indicatore di una crisi economica. E lo dico perché ci sono alcune analisi sul 6 gennaio (penso ad esempio a quelle di Mike Davis e Warren Montag) in cui, penso soprattutto alla seconda, veniamo messi in guardia rispetto a una lettura “economicista” del 6 gennaio. E siccome credo sia importante tracciare una genealogia dal 2008, lo vorrei fare proponendo una critica del dogmatismo economicista, di un’analisi economicista. Ma il punto è: che tipo di economia? Di che tipo di economia stiamo parlando?

Io penso che il 2008 non abbia indicato solo l’economia dei flussi, dei processi di produzione, della creazione e distribuzione di valore come all’interno del paradigma classico dell’economia politica. Ovviamente c’è anche tutto questo. Ma c’è anche il fatto che c’è un’economia dei flussi che va anche nella direzione di un’economia dei desideri. C’è un tipo di paure, speranze, ansie suscitate dal 2008 che sono ancora qui con noi. Questa è un tipo di economia libidinale diciamo. Quindi per inquadrare il problema rispetto al 2008 credo che possiamo darne una lettura economica solo se consideriamo come queste due economie lavorino in modo congiunto.

Il 2008 ha creato sospensioni, intensificazioni blocchi, rotture, ridirezionamenti, nei flussi di queste due economie in due modi diversi: il primo è in senso economico (come un tasso di disoccupazione del 10% che è straordinario per gli Stati Uniti, numeri sui quali siamo tornati nel corso del 2020), con dati di de-classamento sociale ad esempio legati alla perdita della casa, con anche elementi della piccola borghesia bianca che hanno perso la loro casa, il tutto a vantaggio delle banche. Questo ha creato molto risentimento anti-establishment che è stato articolato dal Tea Party. Ci sono stati moltissimi senza casa, con al contempo il fatto che le banche fallite venivano invece salvate, che ha suscitato lo spirito del Tea Party, che ha definito della rabbia che si è incanalata lì.

Questo è un aspetto del 2008, ma c’è anche un altro punto che è l’elezione di Obama. A parte le critiche da sinistra che possiamo fare a Obama – come ho detto io nel 2008 ero senza documenti, e nelle lotte di allora chiamavamo Obama ‘Deporter in Chief’ (Capo delle Deportazioni), e io sono stato oppositore sin dal primo giorno – Obama ha aumentato e ampliato la politica di Bush sulle deportazioni. Ma a parte questo Obama è stato comunque il primo presidente nero degli Stati Uniti, e a livello di psicologia collettiva (forse a livello inconscio, o molto consapevole in alcuni casi), questo ha prodotto molte resistenze, molte, che proseguono. Questo intendo quando parlo del combinarsi di due tipi di economie, di due flussi cruciali.

Quindi da un lato la crisi finanziaria, la crisi abitativa la disoccupazione, e il fatto dei salvataggi delle banche, delle compagnie assicurative, e il grosso risentimento che ciò ha provocato; ma al contempo un grosso risentimento ha attraversato l’economia libidinale della bianchezza, le paure e le ansie che attraversano il corpo sociale che viene razzializzato, e che si sono polarizzate su Obama, il presidente nero. Ovviamente tutto ciò non è in assoluto nuovo, ma il 2008 ha condensato delle contraddizioni di lungo periodo.

Quindi quello che voglio dire è che se cerchiamo di tracciare una genealogia di Capitol Hill, o meglio una genealogia della coalizione trumpiana, dobbiamo partire da questa comprensione del 2008 e delle sue economie, dell’accavallarsi e intensificarsi di questi flussi. Qui insomma si situa un discorso che comprende il capitalismo razzializzato e la dimensione economicista.

 

L’eterogenea coalizione trumpiana

C’è un modo molto lineare col quale possiamo collegare il 2008 all’evento del 6 gennaio, e del modo in cui la coalizione trumpiana è stata in grado di mobilitarli e farli confluire in quella giornata (ma anche vederli crollare in quella giornata).

Dobbiamo capire che è una coalizione molto eterogenea. Ogni coalizione ha tante differenti parti, tanti frammenti. A volte c’è questa idea della coalizione come una dimensione omogenea, in cui tutti vanno d’accordo, ma dobbiamo allontanarci da questa visione, ci sono elementi molto diversi.

E penso che questo ci riporti alla serie di fratture che vedevamo nel partito repubblicano nel 2007. C’è una reazione contro gli elementi neo-con, i cosiddetti ‘globalisti’ dell’amministrazione Bush, che hanno promosso le guerre in Afghanistan e Iraq spendendo soldi “in altri paesi” – tutto questo è stato distillato dal Tea Party, che detestava Obama ma anche Bush, Cheney e quella componente. Tutto questo è stato rappresentato da Sarah Pallin, candidata come vice-presidente nel 2012, esponente del Tea Party, che criticava apertamente Bush nei comizi. Trump ha raccolto questi elementi e li ha articolati in una modalità populista se vogliamo chiamarla così. Trump ha articolato nel 6 gennaio da un lato le milizie, o i gruppi ispirati dalle milizie come i 3percenters. Se guardiamo a come si raccontano, sono nati in reazione ad Obama, pensando che stesse costruendo uno stato totalitario-socialista e che gli voleva togliere le armi.

Sono i patrioti del primo e del secondo emendamento, del diritto alle armi. Ma ci sono molti altri gruppi così. Gruppi che sono cresciuti anche in seguito ai riot del 2014, del 2015, del 2016, le proteste di Black Lives Matter che si sono susseguite durante gli anni di Obama. Grandi rivolte con distruzione di proprietà e attacchi alla polizia. Le milizie sono cresciute in risposta a questi processi “per difendere la società americana”. C’è una convergenza di queste due cose: una reazione ad Obama ma anche una reazione alle rivolte.

Le prime file del 6 gennaio, le persone che indossano le divise delle milizie e riescono passo dopo passo ad entrare al Campidoglio, sono persone addestrate, hanno tattiche specifiche, alcuni di loro prima erano poliziotti – un numero che ho letto di recente sul New York Times: il 25% dei membri delle milizie sono ex-poliziotti. Altri sono veterani delle guerre di Obama e Bush – e Trump è riuscito a mobilitarli con il discorso su queste e sul fatto che volessero togliergli le armi.

L’altro elemento è l’Alt Right, la cui genesi va sempre ricondotta al 2008, e che ha avuto una relazione tensiva con la coalizione di Trump. Per esempio Richard Spencer, il suprematista bianco, ha rotto con Trump nel 2018 in occasione della marcia “Unite the Right” su Charlottesville, in cui alcuni membri antifa e di BLM sono stati uccisi da un suprematista bianco che si è lanciato in macchina contro di loro. Lì c’era stata una rottura tra questi e altri gruppi, in cui i primi chiamavano gli altri “Alt Light” (gioco di parole tra right, destra, e light, leggero, NdT). Ma appunto c’è della tensione anche lì, una coalizione in cui non tutti sono suprematisti bianchi o non esplicitamente. Poi c’è ovviamente anche il Tea Party.

 

Dal Tea Party a Trump

C’è una persona, Dustin Stockton, cofondatore del Tea Party che ha lavorato con Steven Bannon (che ha supportato Sarah Pallin oltre che Trump come candidata del partito repubblicano) – che ha lavorato per Wall Street, avendo dunque la nomea di uno che sa come lavora l’establishment, e che ha l’idea che la civilizzazione occidentale e i valori cristiani e della famiglia si stanno dissolvendo, una posizione reazionaria che appunto promuoveva Pallin come una persona che sa parlare col popolo, che è anti-establishment, una outsider. Ovviamente Pallin corre nel 2012 con McCain ma perde e Obama viene rieletto. Ma qui c’è un legame che connette il tutto con Steve Bannon e con Breitbart. E delle volte si sovrappongo anche delle sorte di linee anticapitaliste, è difficile definire confini netti. Ci sono molte frazioni.

Stockton ha scritto un libro, “A Community Organizer. A Tea Party Story” che racconta una storia di disoccupazione nella sua comunità, di svalutazione delle case, gente che perde la casa, e qui racconta di come è diventato attivista e co-fondatore del Tea Party. E lo fa riprendendo una sorta di manuale dell’attivismo scritto dalla sinistra radicale. Lui è un organizzatore della manifestazione del 5 gennaio, prima dell’attacco a Capitol Hill. C’è dunque una linea molto chiara. Quindi: lui è un organizzatore della manifestazione del 5 gennaio. Ho passato tre ore a seguire tutti gli interventi, ed è stato a suo modo affascinante vedere come cercavano di costruire l’idea di una coalizione multirazziale.

Che mette assieme… C’è una persona, che viene introdotta da Stokton, che lavora per le forze armate aeree, che racconta che è immigrato illegalmente dal Messico, che dice che è preoccupato per il sogno americano, e che Trump sta lottando per il sogno americano. Ci sono due pastori neri che sostengono che Biden sta per distruggere tutto, che ci sta chiudendo, che non ci consente di andare in Chiesa. Quest’idea del fatto che si voglia impedire di andare in Chiesa è chiaramente aumentata col Covid e con le misure restrittive conseguenti.

Ci sono queste preghiere di massa… ci sono molti elementi diverse, questi interventi di pastori neri, di messicani, a un certo punto interviene un cinese raccontando di quanto sia terribile il partito comunista cinese. Si gioca quindi su questo ampio spettro di ansie che non è solo razziale, ma che rimanda a una lunga storia di sentimenti anti-comunisti, a lunghe tradizioni superstiziose sulla scienza e sulle autorità… a un certo punto un ragazzo interviene dicendo che il Covid è un fake, poi c’è la gente di QAnon. Come si vede è una coalizione molto eterogenea, e questo è quello che si vede alla manifestazione del 5 gennaio, prima dell’assalto del giorno dopo.

Stockton lo dice molto chiaramente: Trump è la chiara evoluzione del Tea Party, è il suo candidato naturale, è anti-establishment, contro le oligarchie, contro grandi multinazionali come Google e Facebook, quindi anche qui c’è una linea molto chiara che caratterizza e attraversa l’intera storia. Il che non vuol dire che non ci siano anche altri elementi che si sovrappongono, le persone religiose, le forme cospirazioniste a là QAnon con le sue idee sull’agente segreto Q e le sue rivelazioni…

Paure e superstizioni hanno passioni molto reali, sono articolate nel 6 gennaio (ci tolgono le armi, le chiese, saremo sfrattati per sempre…). In questo il 6 gennaio è una conseguenza del 2008, ma è importante capire che questa è una storia che si è ripetuta più volte. Ad esempio qui in Michigan hanno assaltato e preso il parlamento locale durante la scorsa estate protestando contro le misure sul Covid. Quindi è una tattica specifica usata altre volte sui parlamenti in tutti gli Stati Uniti. Quindi quello che è successo nella giornata di gennaio è stato un accumulo di esperienze che si erano già sperimentate altrove. Quindi è un qualcosa che non rimanda chiaramente solo al 2008, ma proprio a un accumulo organizzativo degli ultimi anni. Ecco questo può essere un modo per tracciare una genealogia dal 2008 a oggi in termini molto generali.

 

Il 6 gennaio e la polizia

La composizione di classe di questo movimento è molto ampia, e molto bianca (ma comunque continuano a voler dare questa impressione – non tutti, non l’alt right – di essere multirazziali. Trump in alcune zone del paese ha preso molti voti dai latinos. Ma comunque sono in grande maggioranza bianchi, e per lo più lavoratori – lontano dall’idea del bianco disoccupato. È difficile proporre un’analisi sociologica precisa comunque. Ad ogni modo molti di loro sono ad esempio poliziotti, e qui i poliziotti sono molto ben pagati, ex membri del congresso che si filmavano mentre entravano nel congresso…

Certo è chiaro che l’essere bianchi tendenzialmente allontana dalla violenza della polizia, ma bisogna comunque considerare che nell’assalto al congresso un poliziotto è stato ucciso e uno gravemente ferito, che una manifestante è morta per uno sparo in faccia della polizia. Quindi certamente altre manifestazioni non sarebbero riuscite a entrare a Capitol Hill, ma sarebbe naif pensare che non ci siano tensioni e frizioni anche all’interno del mondo della polizia, tra corpi governativi – e sulle “responsabilità” specifiche è ancora difficile capire perché tutti stanno cercando di salvarsi il culo al momento.

Ma di nuovo, sarebbe naif pensare che la polizia stia compattamente da una parte o da un’altra. Ovviamente la polizia è l’avanguardia della razzializzazione e mantiene l’ordine del capitalismo razziale, ci sono appunto però tensioni e divisioni lì dentro e in tutti i corpi come la Guardia nazionale ecc. Credo sia stato un momento per misurare la forza di questi gruppi e il tipo di supporto che hanno all’interno della polizia. E il dato è che comunque si è visto che questo supporto non è inesistente, non è zero, lo sapevamo, ma si è visto nel confronto in modo chiaro. Ma abbiamo anche visto la capacità e la forza dei gruppi organizzati dell’assalto.

Qui c’è un elemento di radicalizzazione. Loro adesso si sentono valorosi, hanno un evento, un qualcosa sul quale possono reclutare persone, hanno dei morti, elementi molto forti per costruire una nuova coalizione. Se guardiamo i loro media, la sconfitta è riconosciuta, dicono che Trump ha tradito, c’è un chiaro senso di tradimento rispetto alla dissociazione dalle violenze fatta da Trump. Quindi torniamo a Stockton, organizzatore del Tea Party, poi organizza la marcia per Trump, prima era stato con Braitbart, e sul suo blog scrive che è il momento di un terzo partito, che coi Repubblicani è finita. Quindi c’è un cambiamento, un passaggio, che sembra verso un nuovo partito, sembra ne abbiano le capacità organizzative. E questo va considerato se guardiamo per esempio a Sanders e Trump come reazioni in ritardo al 2008, la destra è sicuramente molto più avanti rispetto alla possibilità di costruire organizzazione politica di massa. È una tendenza da considerare.

 

Movimenti antagonisti nel contesto

L’Amministrazione di Biden inoltre probabilmente approfondirà un piano repressivo, vuole approvare una legge antiterrorismo contro “l’estremismo”, e sappiamo che quando lo fanno attaccano in primis gli anarchici, BLM, e i “movimenti radicali di sinistra”. Ad esempio lo scorso anno Facebook ha chiuso il profilo di It’s Going Down, una delle principali risorse per l’azione di antifascisti, anarchici, autonomi, abolizionisti, e ora il profilo non c’è più. Anche questo andrà considerato. Nelle scorse settimane gruppi di compagn a Portland e Seattle sono scesi in strada dicendo che Biden non è la soluzione. Ma dobbiamo chiederci quanto tempo passerà prima che un nuovo Trump possa incarnare e articolare questi momenti, e cosa dobbiamo fare noi nel frattempo.

L’abolizione è emersa come nome la scorsa estate, ed è stato straordinario che si sia caratterizzata così a scala nazionale. Per me l’abolizionismo è il tema più radicale della politica statunitense contemporanea. L’abolizione della polizia, l’abolizione delle carceri, è l’unico movimento che sta davvero impattando seriamente cosa significa l’eredità della schiavitù e del suprematismo bianco, e il miglior antidoto che abbiamo al fascismo in questo momento. In modo molto pragmatico. Una compagna l’altro giorno mi diceva: tutta questa gente viene dalla polizia e dall’esercito, riuscire a mettere in questione la polizia toglie anche la possibilità per questa gente, ai fascisti, di addestrarsi, di organizzarsi, in modo diretto. Penso che l’abolizionismo sia il nome che può articolare tutti questi elementi e le formazioni anarchiche, autonome, antifasciste, e anche Black Lives Matter.

Credo che tutte queste lotte vadano comunque assunte nella loro autonomia, nei loro obiettivi autonomi, non come reazioni al 2008 o quantomeno non solo a quello, c’è una relazione ma le genealogie sono diverse. Va invece rimarcato che le milizie sono una reazione, una risposta, alle rivolte, anche alle insurrezioni abolizioniste. C’è un continuo gioco, una dinamica, in questo. Io credo che noi oggi siamo in una buona posizione. Quando il nemico vuole prendere i tuoi slogan, i tuoi concetti, i tuoi programmi, vuol dire che si gioca su un terreno avanzato, una buona posizione e una interposizione. Penso che l’abolizionismo abbia rotto questo senso comune facendolo esplodere in molti modi. È un buon momento, ma dobbiamo chiederci se riusciremo ad essere ancora in questa posizione nei prossimi messi, ma non credo che queste contraddizioni verranno superate, si dissolveranno con Biden. Lui proverà a chiamare all’unità, ma credo che non sia una cosa sostenibile.

Per concludere, c’è un grosso discorso sulla Rust Belt e la working class bianca di queste zone e il suo comportamento politico. Tra chi parla di adesione a Trump, ma va considerato che qui anche Sanders ha vinto, ha battuto Clinton nel 2012, ma nel 2020 ha perso le primarie qui. Cos’è successo? Non ho risposte sociologiche, ed è difficile davvero mappare con categorie sociologiche questa dimensione di working class, così come la sua adesione a Trump. Come dicevo, la sua coalizione è molto eterogenea. È un campo molto instabile e in mutamento, alcuni degli elettori di Trump sono attratti dal discorso sul secondo emendamento, altri da altre tematiche, alcuni di loro hanno votato pure per Obama. Non credo che guardare ai numeri del voto in modo fisso ci aiuti a elaborare una spiegazione. È difficile. Penso che dovremmo trovare i modi per elaborare un’analisi in grado di mettersi in connessione con tutte quelle persone che pensano che il capitalismo non funziona. Dobbiamo trovare i modi per relazionarci con questi soggetti qui nella Rust Belt. Dobbiamo riuscire a relazionarci su questioni come la perdita della casa, la disoccupazione, anche se è innegabile che perdurino resistenze rispetto a movimenti come Black Lives Matter e quelli di cui parlavo prima. Qui c’è sicuramente una sfida, un qualcosa da costruire, come articolare sentimenti anti-establishment con una lotta anticapitalista. C’è questa idea libertaria del “la mia arma, la mia terra”, che è profondamente radicata nell’America. Non è facile pensare questa articolazione.

 

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