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Macerata: terrorismo leghista al servizio del sistema dei partiti

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I sette feriti di oggi a Macerata per mano del leghista Luca Traini (ai quali va la nostra completa solidarietà, in una giornata in cui nessuna carica o ente istituzionale ha speso la benché minima parola in tal senso) segnano un salto di qualità pericoloso nella narrazione e nell’operatività di un’ideologia suprematista, nativista e autoritaria che accomuna – a diversi livelli ma su un piano sistemico – la quasi totalità dei partiti dell’arco costituzionale.

Da alcuni anni, ce ne siamo accorti tutti, c’è uno slittamento che dalla retorica delle ruspe conduce a Gorino, da quella delle “scimmie africane” all’assassinio di Emanuel a Fermo, dal fango sulla Resistenza alle adunate fasciste nelle città martiri del loro credo malato. E che ora porta, con uno scarto temporale sempre minore, dalle deliranti parole del candidato leghista Attilio Fontana sulla difesa della “nostra” razza bianca nei giorni scorsi, alla città marchigiana – al centro di un’attenzione non solo nazionale.

Tutto ciò – è risaputo anch’esso – grazie ad un’informazione mainstream che con la pomposità citrulla di tutti i Charlie del mondo presenta dei crimini come delle opinioni, e dei criminali come degli interlocutori. Grazie anche a chiunque nelle tribune politiche si presti al sempreverde contraddittorio tra “estrema destra ed estrema sinistra”, dimenticando che la giusta distanza di dialogo con fascisti e xenofobi è quella del bastone.

Forse è proprio a forza di vederli in televisione, al di là della schiacciante evidenza dell’appartenenza politica di Luca Traini, che in questa occasione i media sono stati più contenuti sulla narrazione del “folle”, e meno avari del solito di “dettagli” come saluti romani, presenza della bandiera italiana, epilogo sul monumento ai caduti del ventennio (già pronto per la strage di italiani che avrebbe compiuto il fascismo nella seconda guerra mondiale): in un contesto di avanzamento delle formazioni della destra paleo e neofascista, ancora più utili al consolidamento di un immaginario fatto di “cacce al negro”, di “sovranismo”, di “giustizia per gli italiani”.

Non solo. C’è l’elemento della “tranquilla” città di provincia, peraltro terra natia della Boldrini: un contesto in cui è sempre più urgente elaborare forme di presenza, organizzazione ed iniziativa per non condannare quei territori, che pur sempre “circondano” le città, al destino dei Trump e delle Brexit. Ma anche quello del format spettacolare della cronaca nera berlusconiana, che si “lega” al triste copione dell’evento-attentato per intorbidire un’altra verità schiacciante: il primo attentato terrorista sul suolo italiano in stile ISIS è opera di un leghista, con il simbolo neofascista di Terza Posizione ben tatuato in fronte.

E’ in questo contesto che gli strateghi della campagna elettorale – momento supremo dell’attività politica istituzionale nel collasso delle strutture e delle progettualità partitiche – ci sovrastano, materializzandosi nelle strade del centro marchigiano. Dalla visita-lampo di Minniti, che dietro la facciata ministeriale cela la propria natura di vero e proprio imprenditore del terrore e candidato dal PD nelle Marche; alle contorsioni di Salvini che in modo grottesco prospetta di “far ritornare l’Italia alla sicurezza ed alla tranquillità” e “mettere fine all’immigrazione clandestina” (status in cui almeno formalmente migliaia di migranti si trovano proprio per l’approvazione leghista della Bossi-Fini e dei trattati di Dublino), dicendo oggi che “chi spara è un delinquente” mentre fino a poco fa era legittima difesa; a figure della vecchia Lega come Maroni e Fava che, distanziandosi da Salvini su questo terreno, lanciano segnali alle future, possibili grandi coalizioni; alla spartizione del rancore tra Casa Pound e le sue mire istituzionali e Forza Nuova, interessata a fare proseliti a destra con la dichiarazione eclatante e la politica dello scandalo.

Ultimo elemento di un gioco delle parti ormai consumato è dato dalle dichiarazioni di Renzi, Saviano e Gentiloni dopo gli spari alla sede del PD da parte di Traini: facciamo appello alla responsabilità e allo Stato, è l’azione di uno squilibrato, Salvini è il mandante morale. Perché meglio ripulire le città con i DASPO ed i campi di concentramento libici di un governo definito buonista che con le pistole. Ma nei fatti Luca Traini, come Amedeo Mancini e Gianluca Casseri prima di lui, è la risorsa salviniana perfetta per la convergenza degli interessi securitari di entrambi i finti schieramenti del teatrino politico.

Perché quando diciamo servi dei servi dei servi intendiamo proprio questo: l’arma retorica suprematista made in Lega che ha mosso la sua mano è a sua volta stata approntata per uso e consumo di quel partito xenofobo dal PD e dai poteri forti che lo trascendono, e che vogliono approfittare di questo inutile idiota e dello spettro della guerra civile che agita per rinsaldarsi al comando. Mentre il nostro giudizio è inappellabile: già oggi a Genova e nelle prossime occasioni chi darà riconoscimento ed agibilità ai paladini dell’odio razziale e della guerra tra poveri si collocherà automaticamente nel campo avverso al nostro.

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pubblicato il in Antifascismo & Nuove Destredi redazioneTag correlati:

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