
Appunti di lotta da Milano
Riflessioni di fine estate. Ci sembra necessario un momento analitico per riuscire a navigare le correnti agitate che stanno attraversando il paese e in particolare la nostra città, dalla fine di agosto a questa parte. Oggi più che mai occorre opporsi alla generale intimidazione preventiva delle lotte che tenta di far cadere i gruppi autorganizzati nella trappola dell’inagibilità, strategia che ha portato al netto peggioramento delle condizioni di vita di tutti e all’avanzamento della barbarie. Ci soffermiamo sugli eventi che hanno sconvolto Milano nelle settimane tra la fine di agosto e l’inizio dell’autunno: lo sgombero del Leoncavallo, il corteo oceanico che ne è seguito, lo sciopero generale del 22 settembre, gli scontri avvenuti durante il corteo per la Global Sumud Flotilla, l’assurdità repressiva delle conseguenze, il clima di mobilitazione permanente che ci si prospetta. Vediamo e vogliamo cercare fili conduttori e connessioni critiche tra tutti questi avvenimenti, che ci parlano di una rinnovata fertilità dei terreni di lotta comuni che deve essere tradotta in atto nelle sue potenzialità.
Il subdolo sgombero del Leoncavallo ci offre una perfetta fotografia del panorama politico nel quale ci muoviamo. Il colpo di mano con il quale il ministero degli interni ha scavalcato la giunta comunale fa capo a un’operazione di propaganda sulla quale si vorrebbe giocare la partita elettorale: da un lato, la destra al governo si scaglia contro un emblema (puramente simbolico) dell’autogestione e della cultura alternativa nel nome di una legalità piccolo borghese; nel mentre, la giunta comunale, indagata per abusivismo edilizio e responsabile della sconsiderata gentrificazione di tutti i quartieri popolari, tenta di fagocitare ed appiattire ogni barlume di contraddizione attraverso lo scambio mercantile delle esperienze dissidenti con la legalità istituzionale (la pace del deserto). A Milano assistiamo quotidianamente a processi di pacificazione e diluizione delle lotte sociali nel tessuto sistemico del libero mercato. Contemporaneamente, si inaspriscono tutti gli apparati repressivi e securitari sulla base di un dilagante clima di guerra perpetrato dalle estreme destre al governo. Due tentacoli dello stesso modello di sviluppo, che si impone, colonizza e divora ogni forma di esistenza, dalla Palestina alle periferie delle nostre città. La storia del nostro tempo e, all’interno della sua cornice, anche della nostra metropoli, attraverso processi e sedimentazioni decennali, è diventata sempre più violenta e sempre meno conflittuale. Il paradigma neoliberista, che tanto piace a destra come a sinistra, è interamente responsabile di tutte le disuguaglianze sociali, soffoca qualsiasi espressione di dissenso e di autorganizzazione così come elimina ogni sorta di ostacolo all’espansione imperialista del proprio modello di sviluppo. Il genocidio del popolo palestinese e l’espulsione forzata delle classi popolari dai centri metropolitani sono macchine da guerra figlie dello stesso principio di espansione produttiva, che è il fondamento del fascismo capitalista. Esso mette al mondo consumatori, non più persone, converte beni primari come la casa in serbatoi di capitali finanziari, sfrutta la manodopera migrante negandole il diritto all’esistenza, mette a profitto ogni aspetto della vita, distrugge il welfare e privatizza tutti i bisogni.
La vicenda del Leo ha condotto in piazza 50 mila persone il 6 settembre, una massa critica che non si vedeva da diversi 25 aprile. Il 22 settembre, nell’ambito dello sciopero generale indetto dal sindacalismo di base, altrettante migliaia di persone sono scese in strada per protestare contro il genocidio che si consuma in Palestina. Vorremmo analizzare queste due incredibili situazioni di piazza e trovare le connessioni possibili tra le due giornate, dal momento che nella nostra città sono moltissimi anni che non assistevamo a mobilitazioni popolari di questa portata. Sono innanzitutto interessanti le differenze tra i due cortei, sia nella composizione che negli intenti politici, proprio in ragione delle masse che, ciò nonostante, entrambe le chiamate sono state capaci di smuovere.
Il corteo del 6 settembre, che nell’intenzionalità politica è stato poco più che un funerale, ci parla di questa città e del modello di sviluppo che incarna, avanguardia del capitalismo nazionale. C’è stato un preconcentramento chiamato tre ore in anticipo da tutte le realtà del movimento milanese, che, a fronte dello sgombero del più antico centro sociale dello stivale, hanno sentito forte la responsabilità di costruire uno spezzone unitario che rivendicasse uno stile di vita differente da quello che qui, in maniera particolare, viene esasperato oltre ogni dignità umana. Dalle h. 15:00 e dalla confluenza in un unico corteo cittadino, 50.000 persone hanno attraversato le vie del centro fino a piazza Duomo, tradizionalmente preclusa a tutto ciò che non è istituzionale, dietro le parole d’ordine “Giù le mani da Milano – contro i padroni della città”.
Decenni di lotta per la casa ci insegnano che l’abitare parla di tutte le condizioni di esistenza, dalla residenza, al lavoro, allo spazio e ai servizi ad uso pubblico, al costo della vita in generale. Milano è una città invivibile e classista anche per chi non è completamente al margine, ha venduto l’anima a speculatori privati e corrotti che portano avanti politiche di espulsione forzata per lasciare spazio agli affaristi degli affitti brevi, ai palazzinari e agli organizzatori delle “weeks”, mentre ogni forma di aggregazione che non sia basata sul profitto viene progressivamente spazzata via. Il clima di queste settimane ci invita a lanciare un grido di lotta ai compagni di sempre: il ribaltamento dei paradigmi economici dominanti e dei rapporti di forza vigenti si persegue con la messa in pratica delle alternative storiche e la dimostrazione oggettiva che esiste la possibilità di riappropriarsi di tutto ciò che ci è stato rubato, non attraverso la contrattazione di diritti personali erogati dall’alto, da quelle stesse istituzioni che tentano ogni giorno di soffocarci. I criminali sono loro, che riscrivono a proprio piacimento i parametri della legalità e delle condizioni di esistenza collettive.
La giornata del 22 settembre è stata portentosa, «uno sciopero generale con le sembianze di un movimento popolare possibile» (più dettagliatamente > https://www.infoaut.org/editoriali/blocchiamo-tutto-insieme-per-gaza). La coincidenza delle mobilitazioni su tutto il territorio, da Nord a Sud, per la Global Sumud Flotilla ci mostra il negativo della stessa fotografia del presente, la parte che viene oscurata dalla narrazione mediatica dominante secondo il vecchio principio del divide et impera, anche nei nessi logici. Le persone che mettono in gioco il proprio corpo, il proprio tempo e le proprie energie per contrapporsi attivamente al genocidio sono le stesse persone che subiscono tutti gli effetti strutturali dell’economia di guerra e della dissoluzione di ogni parvenza di stato sociale. Si muore in Palestina e si muore nelle periferie delle città, si muore sui posti di lavoro, si muore di caldo o di freddo per strada, si perde il fiato per strappare condizioni di vita minime e si deve lottare ogni giorno per il poco che ancora esiste e che deve resistere.
A Milano, l’intenzione collettiva di bloccare la Stazione Centrale è stata ostacolata con inaudita violenza poliziesca. Nessuno, assolutamente nessuno di tutti coloro che, a titolo diverso, hanno partecipato al corteo, ha fatto un singolo passo indietro. Una delle arterie principali della città è stata presidiata e bloccata fino al calar del buio, gli abitanti di Milano hanno improvvisato un fronte compatto che è stato capace di resistere alle molteplici cariche, al lancio dei lacrimogeni e all’uso degli idranti sulla folla, contando per altro decine di persone ferite. Nell’ambito degli scontri, una dozzina di persone è stata fermata e identificata, cinque persone sono state arrestate e immediatamente tradotte in carcere. Due compagne hanno subìto un processo per direttissima e sono state rilasciate con obbligo di firma. Una terza persona è stata scarcerata da San Vittore solo al quarto giorno di reclusione, in assenza di qualsivoglia ragione per prolungare l’arresto. Mina ed Ettore, due studenti minorenni del liceo Carducci, hanno trascorso tre giorni al carcere minorile Beccaria e per i prossimi sei mesi dovranno scontare i domiciliari, dopo che, per più di una settimana, è stato loro imposto il divieto di frequentare la scuola, violando senza ritegno il diritto allo studio. Simili assurdità repressive a danno di studenti medi e ragazzi giovanissimi si sono consumate anche a Brescia, dove la Digos ha effettuato perquisizioni domiciliari all’alba di domenica mattina. Si tratta a tutti gli effetti di terrorismo istituzionalizzato e la nostra risposta è semplice: non funziona. Il 23 settembre c’eravamo tutte e tutti in presidio al Beccaria per salutare Ettore e Mina, per gridare che li vogliamo liberi e a scuola, che nessuno è solo e che le nostre lotte non si arrestano, né ora né mai.
Il messaggio di questa enorme giornata di sciopero è chiaro: la gente non ce la fa più e non è più disposta a vivere così. Siamo veramente tutti palestinesi, nella misura in cui siamo tutti sacrificabili sull’altare del neoliberismo globalizzato. Il genocidio sta accendendo la miccia dell’esasperazione in tutto il paese. È necessario intercettare questa energia e mantenere viva la fiamma, moltiplicare gli scioperi, i blocchi portuali, stradali, ferroviari, occupare le strade, le piazze, gli edifici, coltivare e allargare tutte le reti e i coordinamenti tra le realtà organizzate, che in questo momento possono finalmente mettere a disposizione di tutti le conoscenze e gli strumenti accumulati attraverso lotte decennali. La posta in gioco è il futuro.
Come lavoratrici, lavoratori, studenti, studentesse e collettività, aderiremo allo sciopero generale indetto il 3 OTTOBRE; confluiremo il giorno dopo, il 4 OTTOBRE, nel corteo nazionale per la Palestina a Roma, dove ci incontreremo di nuovo tutte e tutti l’8 NOVEMBRE in occasione del corteo nazionale “Guerra alla guerra”.
Hasta siempre.
Le compagne e i compagni del COA T28, Milano.
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