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John Reed

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JOHN REED, L’UNICO AMERICANO SEPOLTO AL CREMLINO

“I lavoratori fanno bene a capire che il nemico non è la Germania né il Giappone; il vero nemico è quel 2% degli Stati Uniti che detiene il 60% della ricchezza nazionale, quella banda di “patrioti” senza scrupoli che li ha già derubati di tutto quello che possedevano e che ora progetta di farne dei soldati che custodiscano il loro bottino. Noi diciamo ai lavoratori di prepararsi a difendersi contro questo nemico.”

(John Reed, da un articolo pubblicato su The Masses nel luglio 1916)

 

Nato a Portland il 22 ottobre 1887 e laureatosi ad Harvard nel 1910, Reed era figlio di un liberale di Portland, nell’Oregon, che s’era coltivato le antipatie locali per avere avversato il trust dei legnami. Ad Harvard, Reed faceva parte della redazione sia del Monthly che del Lampoon; era inoltre capitano della squadra di polo acquatico e figura di primo piano alle partite di football e nei club musicali e teatrali, dove godeva di una certa fama per le sue poesie.

Diventato in breve tempo uno dei migliori giornalisti americani John Reed arrivò in Russia nel settembre del 1917. In Russia, dove fu imprigionato per trentun volte, vide i sintomi di una rivoluzione imminente. Reed non era propriamente un rivoluzionario. Votò per Woodrow Wilson nel 1916, “perché Wall Street era contro di lui”. Egli era contrario al conflitto della prima guerra mondiale. Sapeva che quella era una guerra imperialista; si rendeva conto che il capitalismo prima o poi doveva essere battuto e voleva dare il suo contributo in questa lotta; ma non aveva nessun piano concreto per la distruzione dell’ordine esistente e solo la più vaga idea del tipo di sistema sociale che doveva sostituirlo. Aspettava di vederlo coi propri occhi, e in quei dieci giorni che sconvolsero il mondo la vide.

Non ci fu mai il minimo ondeggiamento nelle idee di Reed, dopo di allora. Sapeva che solo il proletariato poteva distruggere il capitalismo, che esso doveva essere guidato da un partito disciplinato, essere pronto a resistere alla violenza dei suoi nemici e a conquistare la macchina governativa per stabilire la propria supremazia. John Reed non era mai stato un teorico, ma sapeva imparare da ciò che vedeva, e vedeva con straordinaria chiarezza: la sua formazione era stata quasi esclusivamente un processo di osservazioni dirette. Trotskij lo definì “un uomo che sapeva vedere ed ascoltare.” Egli si mise a disposizione dell’Ufficio di Propaganda Rivoluzionaria Internazionale, che preparava giornali ed opuscoli da distribuire tanto tra gli eserciti degli Alleati quanto tra quelli dell’Intesa. Parlò anche, nel gennaio del ’18, ai Soviet Panrussi. Tuttavia il suo compito principale, come lui e i capi della Rivoluzione lo concepivano, era quello di raccogliere materiale sulle lotte rivoluzionarie e l’organizzazione dei Soviet, in modo che fosse possibile spiegare tutto ciò agli operai americani.

Il 6 novembre era presente alla prima seduta dell’Assemblea Panrussa dei Soviet ed entrò con le prime truppe bolsceviche nel Palazzo d’Inverno. Il 13 novembre Lenin mandò per suo tramite un messaggio al proletariato rivoluzionario di tutto il mondo: «Compagni, la prima repubblica proletaria vi invia il suo saluto: vi esortiamo a impugnare le armi per la rivoluzione internazionale socialista!»

Poiché le sue carte gli vennero confiscate appena fu sbarcato in America, egli non poté cominciare subito il libro, ma narrò la storia della Rivoluzione sul Liberator, che aveva preso il posto del soppresso Masses, e nel corso di conferenze tenute in numerose città. Quando le sue carte gli furono restituite, egli scrisse Dieci giorni che sconvolsero il mondo. “Dieci giorni” fu il suo contributo principale alla prima causa, ma non il solo: messo al bando dalla stampa capitalistica, scriveva largamente per quella radicale e faceva conferenze ininterrottamente per tutto l’Est e il Middle West, ancorché l’arresto fosse sempre un pericolo incombente e, cinque o sei volte, divenisse anche una realtà. Nell’organizzare l’ala sinistra del movimento socialista nordamericano, divenne anche I’anima dei giornali Età rivoluzionaria e La Voce del Popolo.

Quando nacque in America il Partito Comunista del Lavoro, il 31 agosto 1919, egli ne fu uno dei capi riconosciuti. Non c’è da stupirsi, quindi, se Reed fu accolto entusiasticamente al suo ritorno in Russia nell’autunno 1919.

Dieci giorni, tradotto dalla moglie di Lenin, la Krupskaja, e particolarmente raccomandato dallo stesso Lenin, era stato venduto in innumerevoli copie proprio quando più ferveva la guerra civile ed era usato come testo nelle scuole dell’Unione Sovietica. Inoltre Reed ritornava non piu soltanto come un semplice giornalista pieno di simpatia per la causa sovietica, ma come rappresentante ufficiale del Partito Comunista Americano. Attivissimo al secondo congresso dell’Internazionale Comunista, nell’estate di quello stesso anno venne nominato membro del Comitato Esecutivo.

Alla fine di agosto del 1920 intraprese il viaggio per Baku dove si svolgeva il Congresso dei popoli orientali. Dopo il ritorno a Mosca cadde ammalato e gli venne diagnosticato il tifo. Reed morì il 17 ottobre 1920, all’età di 33 anni. Una delle ultime cose che fece fu la correzione della raccolta dei suoi discorsi pronunciati al congresso dell’Internazionale. Il suo corpo fu vegliato da soldati dell’Esercito Rosso, e fu sepolto nella Piazza Rossa, sotto le mura del Cremlino: ai funerali parlarono Bucharin, Aleksandra Kollontai, Radek. La rivista Liberator annunciò così la sua scomparsa: “John Reed è morto mentre compiva il suo dovere rivoluzionario.”

Reed fu una specie particolare di poeta. Non si rifugiò in una torre d’avorio, ancorchè rivoluzionaria, a scrivere versi quando la rivoluzione chiedeva del giornalismo; fece del giornalismo e vi si espresse da poeta, appunto. E quando i doveri della rivoluzione lo portarono dal giornalismo all’agitazione e all’organizzazione, egli fece del suo meglio in compiti che non s’era scelto lui, e, anche in questo caso, lo fece da poeta. John Reed avrebbe potuto, in altre circostanze, scrivere della grande poesia rivoluzionaria. Scrisse qualcosa di più: “Dieci giorni che sconvolsero il mondo”.

Dal libro di John Reed vennero tratti alcuni celebri film tra i quali vanno ricordati Ottobre (1927) di Sergej M. Ejzenstejn, girato in occasione del decennale della rivoluzione, Reds (1981) diretto ed interpretato dall’attore americano Warren Beatty, I dieci giorni che sconvolsero il mondo del regista sovietico Sergej Fedorovic Bondarcuk (1982) interpretato dall’italiano Franco Nero.

 

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