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Asse Carisio-Santhià, la zona di sacrificio piemontese per realizzare la transizione energetica.

Asse Carisio-Santhià, la zona di sacrificio piemontese, con la Valledora, per realizzare la transizione energetica: da area a vocazione agricola e produzioni di pregio a distesa di cave, discariche, impianti per l’economia circolare, un termovalorizzatore e, in ultimo, impianti agrivoltaici. 

Il caso della Stazione Elettrica di connessione a Carisio 

Insieme a Daniele Gamba, attivista del Circolo Tavo Burat – Pro Natura di Biella, e Andrea Maggi, agricoltore in Carisio e proprietario del terreno oggetto di esproprio per la realizzazione di una grande Stazione Elettrica di connessione di più impianti AV-FV alla rete Terna, siamo andati alla scoperta del territorio, di seguito riportiamo la chiacchierata che abbiamo svolto insieme. 

CAPITOLO 1 Il terreno di Andrea rischia di essere compromesso a causa della costruzione di una centrale elettrica che consentirebbe la connessione di più impianti AV-FV all’elettrodotto di TERNA. L’esproprio per pubblica utilità potrebbe consentire alle aziende energetiche di appropriarsi di terreni agricoli senza che la scelta di tale sito sia stata valutata e decisa a seguito di un’adeguata pianificazione pubblica. La scelta di questo sito  è stata di fatto condotta dalle imprese private in base ai propri interessi economici senza considerare le ripercussioni sul paesaggio e sugli agricoltori. Il tutto avviene senza alcuna procedura di evidenza pubblica e sentendo gli stakeholder, con il severo rischio di favorire alte concentrazione di impianti agrivoltaici.  

Come ci racconta Daniele, nell’asse Carisio-Santhià e nella Valle Dora, sono già presenti  grandi impianti operanti nel settore dell’economia circolare come quello della Sacal, azienda che ricicla alluminio, con un passato di problemi legati alle emissioni e agli scarti della lavorazione, attualmente in corso di bonifica. Oggi quest’area rischia un’ulteriore trasformazione, uno sviluppo incontrollato di campi agrivoltaici o fotovoltaici. Il principale problema legato a questi impianti energetici riguarda la necessità di governare queste trasformazioni per assicurare che non avvenga uno sfruttamento incontrollato del territorio con concentrazioni impiantistiche esagerate.

Siamo nella zona di Carisio dove le varie imprese hanno concordato con Terna, in un ambito non partecipato e senza un dibattito pubblico, la collocazione della cabina di trasformazione per conferire l’energia prodotta dai campi fotovoltaici sparsi nell’intorno, all’elettrodotto che qui passa e si raccorda con Turbigo Rondissone.

Rondissone è la località con la più alta interconnessione di elettrodotti del Piemonte. Per questo motivo uno dei progetti sperimentali per la fusione nucleare (il progetto Ignitor, l’alternativa italiana a ITER) era stato pensato e collocato proprio in quella zona. Gli impianti nucleari di questa tipologia infatti richiedono per lo start del sistema una quantità di energia elevatissima e Rondissone era idoneo per questa ragione: era il posto dove più linee elettriche convergono rendendo possibile accedere all’energia necessaria per l’avvio degli esperimenti.

Concentrazione degli impianti e situazione piemontese: aree idonee, impianti previsti

Si tratta di capire come strutturare le linee della rete elettrica nazionale e i punti di connessione a servizio dei campi fotovoltaici/agrivoltaici per evitare che si determinino delle concentrazioni impiantistiche. Se si prevedono pochi punti di connessione gli impianti tenderanno a concentrarsi tutti in una zona. Nel PEAR (programma Energetico Ambientale Regionale) della Regione Piemonte era previsto (così come già fa Terna quando interviene con lavori di modifica, aggiornamento e nuove linee) di condurre idonee valutazioni ambientali (VAS) per definire i punti più adatti per la connessione per questi impianti.

Al contrario si è assistito a una concertazione esclusiva tra le aziende e Terna. Le aziende sono ovviamente interessate a ridurre i propri costi e preferiscono avere pochi punti con elevata potenza di trasformazione.

La stazione elettrica prevista a Carisio in origine aveva una ridotta capacità nella potenza di carico; nel tempo però si sono aggiunti altri progetti agrivoltaici che hanno portato ad un raddoppio della potenza di carico ed oggi addirittura è prefigurata una ulteriore implementazione. Gli impianti AV-FV proposti sono collocati prevalentemente a nord dell’asse Carisio Santhià, in un raggio di 8-9 km, e  quindi interessano prevalentemente il biellese, mentre nel vercellese gli impianti sono a ovest, nella zona di Santhià ed Alice Casello; a est invece è presente un altro punto di connessione, a  Villarboit, e gli impianti interessati son quelli  di Masserano, Brusnengo e Castelletto Cervo nel biellese e di Rovasenda, Roasio, Greggio e Buronzo nel vercellese.

Il problema concreto non riguarda il singolo impianto ma la loro concentrazione complessiva. Nel territorio ci sono due casi emblematici, uno tra Salussola e Cerrione, l’altro a Masserno: in entrambi i casi la continuità di impianti raggiunge uno sviluppo di 3 chilometri lineari.

L’insieme delle proposte depositate a novembre 2024 porta, se fossero tutte autorizzate, a uno sviluppo lineare di altrettanta dimensione: 3 km lineari per fasce ampie fino a 400-500 m, : la concentrazione è elevata.

In altre Regioni sono già stati definiti i criteri per individuare le aree inidonee (dal 2010) e le aree idonee (2024). La Regione Piemonte ha definito le aree inidonee al fotovoltaico ed agrivoltaico (ma per quest’ultimo ci sono problemi interpretativi nella applicazione) e  per le aree idonee è attesa la presentazione di una proposta di legge, che al momento non si sa quando verrà approvata, sussistendo già a livello nazionale dei contenziosi amministrativi sulle competenze delle regioni.

Agricoltura: DOP e proposta di Pro Natura al DdL della regione

In queste zone abbiamo una problematica particolare che riguarda le colture DOP, perché questa è un’area di coltivazione del riso DOP e la Regione, oltre ad aver limitato lo sviluppo dei campi fotovoltaici nelle aree agricole su terreni di prima e seconda qualità, aveva già vietato il fotovoltaico, però ammetterebbe la possibilità di realizzare l’agrivoltaico, anche nelle aree di prima e seconda qualità. Riguardo al DOP ci sono norme non così vincolanti e quindi bisogna capire che disposizioni adotterà con questa nuova legge.

Pronatura Piemonte è intervenuta nella fase di proposte in sede di dibattito di questa futura legge, sollevando la necessità di introdurre dei criteri che valutino la densità relativa, cioè che si evitino concentrazioni, ; abbiamo infatti visto che la Regione Puglia ha già un criterio adottato in questa direzione. Il principio è il seguente: se la rete si adattasse alle esigenze di chi vuole produrre solare, aiuterebbe a evitare le concentrazioni impiantistiche, cambierebbero i costi però.

Nella proposta di Pronatura si è suggerito  di proporre come accessorio a chi vuole realizzare gli impianti AV-FV sul terreno, di vincolare l’autorizzazione alla realizzazione di almeno il 10% della stessa superficie di pannelli autorizzata su coperture o parcheggi, perché la tendenza delle imprese è investire qua perché è più comodo, facile e non troppo costoso. Gli impianti AV-FV non determinano un uso irreversibile del suolo, ovvero le superfici destinate a fotovoltaico non sono conteggiate nel consumo di suolo come le superfici impermebilizzate di un edificio o di un parcheggio. La costruzione di un impianto fotovoltaico o agrivoltaico, con elevata probabilità, durerà oltre il periodo di concessione ordinaria (30 anni) e a seguito degli upgrade (cambio dei pannelli) continuerà a essere utilizzato almeno 60-90 anni, a meno che non salti fuori qualche diavoleria che risolva il problema dell’energia, ma al momento la previsione è che il solare sarà una delle fonti da sfruttare per il futuro.

Ricadute sul mercato fondiario 

Gli investimenti in questo settore hanno portato a un’alterazione del mercato fondiario, perché i terreni agricoli qui valgono, e sono terreni da risaia, intorno ai € 4 al metro quadro, in altre zone dai 2 euro ai 2,80 euro al metro quadro. A livello di esproprio invece il valore medio derivato dall’Agenzia delle Entrate è un valore di € 2 qui e € 1,80 a Biella più o meno.

Ascoltiamo la testimonianza di Andrea che sta vivendo da protagonista questa vicenda: 

Daniele I proponenti gli impianti AV-FV presentano di norma contratti preliminari con le imprese agricole per l’acquisizione dei terreni (o il diritto d’uso della superficie, quarantennale) al valore di  8-10 euro al metro quadro, alterando di fatto il mercato ordinario dei terreni agricoli. Per molte aziende a conduzione familiare senza eredi interessati a proseguire nell’attività di famiglia, la cessione dei terreni per AV-FV è diventata un’ottima opportunità.

Andrea I contratti con vendita diretta dei terreni sono in realtà pochi, prevalgono quelli per la sola cessione di superficie (il titolo d’uso), che alla fine dei 30-40 anni di ciclo rendono le cifre indicate da Daniele. La cessione del diritto di superficie si traduce in un canone annuo che verrà poi pagato all’impresa agricola dalla multinazionale dell’energia che acquisterà dalla ditta proponente (formalmente si tratta di società a responsabilità limitata, Srl, costituite all’uopo per ogni campo fotovoltaico da Studi Tecnici di progettazione) il progetto che ha ottenuto il positivo parere di compatibilità ambientale e la relativa Autorizzazione Unica di cui al Decreto 387/2003. Nel mondo dell’energia vige un vero e proprio mercato per fare incetta di impianti autorizzati. In fase di costruzione sarà poi possibile per il nuovo titolare presentare richieste di modifica non più soggette al più severo processo autorizzativo della VIA. 

Ad esempio, c’è chi ha firmato un contratto per un impianto agrivoltaico con 12 m previsti di distanza interfilare da pannello a pannello (questo è un caso verificatosi nelle Marche); si è poi ritrovato a dover coltivare (la gestione delle attività agricole era assegnata al titolare del terreno) tra pannelli con distanza interfilare ridotta a 8 m. Di fatto l’impianto, autorizzato come agrivoltaico, è stato trasformato in un impianto fotovoltaico. A fronte delle proteste dell’agricoltore che si è viste ridotte le possibilità di coltivare, è stato imposto l’aut-aut: se voleva coltivare (sto parafrasando) poteva coltivare lì, diversamente  avrebbero trovato qualcun altro al posto suo. Però lui il contratto l’ha firmato e oramai se lo tiene così.

Purtroppo le grandi imprese energetiche riescono facilmente ad imporre le loro condizioni, a volte dei veri raggiri nei confronti di agricoltori o proprietari terrieri privi di competenze e che non si studiano bene i contratti. Quando parlo di questi contratti con i miei colleghi agricoltori dico sempre loro che “quando una cosa è troppo bella per essere vera”… è troppo bella per essere vera. Bisogna sempre ponderare attentamente, tenere i piedi per terra.

Daniele Noi abbiamo visto in procedura due tipologie di contratti, chi cede i terreni e chi il diritto di superficie; in quest’ultimo caso, per 50 ettari di terreni, un contratto è stato definito in  € 50.000 all’anno per la cessione del diritto di superficie. In altri casi sembra che abbiano ceduto i terreni completamente. Occorre precisare che per la Stazione Elettrica di Carisio il problema dei terreni è diverso perché gli impianti e le strutture di connessione (le cabine e i cavidotti) possono essere oggetto di esproprio per ragioni di pubblica utilità (decreto 387/2003); al momento i terreni per la posa dei pannelli fotovoltaici devono essere acquisiti dal proponente. I terreni di Andrea a Carisio saranno oggetto di esproprio per la realizzazione della Stazione Elettrica (SE). I cavidotti interrati che interesseranno i terreni di Andrea determineranno una servitù ma la posa di tali cavidotti porterà ad una perdita di uso dei terreni ad oggi prevista in 6 anni di attività colturale. 

Andrea Già solo qui, su questo ponte dove ci troviamo, passeranno ad oggi quattro elettrodotti interrati (cavidotti a media tensione 30/36 Megavolt). Poi transiteranno in queste due risaie prima di arrivare al primo lotto destinato alla SE. Lotto che sarà raddoppiato e triplicato di altre centinaia di metri, per consentire il raddoppio e la triplicazione della SE, come è già prefigurato nei progetti depositati. Dalla SE, in aereo, avverrà la connessione all’elettrodotto ad alta tensione Turbigo-Rondissone.

Daniele Il cavidotto dà luogo a una servitù di passaggio e verrà realizzato per lo più su strade di pubblica proprietà, tant’è che le Province hanno incominciato a preoccuparsi per lo sconquasso della rete viaria; i proponenti nemmeno si mettono d’accordo tra loro per realizzare uno scavo e una posa unica, laddove c’è una sovrapposizione di percorso dei cavidotti.  Non essendoci alcuna pianificazione lo sviluppo dei progetti parte dalla disponibilità dei terreni; gli studi di progettazione  cercano in primis il potenziale agricoltore che cede i terreni, sviluppano il progetto cercando il punto di connessione comune ad altri per dividere i costi, poi cercano la ditta acquirente. Nel nostro caso, alcuni progetti sono stati opzionati da A2A, quindi A2A fa un contratto, un accordo preliminare e se tu ottieni l’autorizzazione e il resto, io poi acquisto. Lo stesso meccanismo era già in essere con le centraline idroelettriche: alcuni studi tecnici a livello nazionale hanno presentato centinaia di progetti fotocopia, valutando dove c’erano i salti idraulici per poter proporre centraline, contando di rientrare nei costi di investimento e di una buona rendita con la vendita di un più contenuto numero di  progetti autorizzati. 

Andrea: Nel caso di A2A, in particolare nel progetto denominato  Madama Live a Salussola, risulta chiaro e tondo, a livello documentale, che non si è convenuto un acquisto dei terreni ma un titolo d’uso dei terreni, anche se l’attuale proprietario continua a ribadire di aver  “venduto”. Io mi chiedo, perché il tema è molto molto importante, se siamo proprio sicuri che queste transizioni siano “l’affare del secolo”, come sostenuto da alcuni, o se siamo di fronte a  contratti dove a rimetterci, ad essere turlupinato, è l’agricoltore che vende?

Daniele: La preoccupazione principale è che le imprese chiedono che vengano variate le attuali disposizioni normative, che si possa procedere anche all’esproprio dei terreni necessari alla posa dei pannelli. Questo cambierebbe radicalmente la situazione. Io non so se le associazioni di categoria si incazzeranno, andando allo scontro totale, perché tale eventuale  disposizione sarebbe veramente molto grave. Ad oggi, quantomeno, se uno vuole continuare a fare l’agricoltore lo può fare ancorché, come nel caso di Andrea, vi è tutto il peso della servitù di passaggio per più cavidotti e l’esproprio di parte dei terreni  per realizzare la SE di connessione. 

Cosa prevede in loco il progetto – aggiunta BESS

Andrea ci racconta cosa prevede nel dettaglio il progetto che riguarda il suo terreno. Per assurdo, da progetto, oltre questo terreno, anche queste risaie saranno bloccate da 2 a 6 anni per la costruzione della stazione elettrica. E c’è un’altra stazione elettrica qui prossima che viene fatta in esproprio per pubblica utilità; in realtà non è pubblica utilità, ma è ad usum di tre produttori che hanno fatto un loro accordo e vanno a mettere i loro piedi a casa di un altro, un quarto, che non può dire niente. Là fanno una stazione comune perché i tre vogliono stare separati dalle connessioni altrui. Con quella stazione di interconnessione, “stazione comune” come viene nominata volgarmente, i punti di connessione diventano 32, gli elettrodotti e quindi gli impianti sono 32 e si andrebbero a connettere e ad aggiungere a tutto il contorno. Nell’arco della distanza dei 500-800 m dalla stazione elettrica, verranno realizzate svariate stazioni di accumulo elettrochimico (sistemi di batterie BESS). L’ultima volta che sono venuti i tecnici della società proponente volevano verificare dove poter installare queste stazioni di BESS, perché si sono accorti che il fotovoltaico produce di giorno e quindi è un problema perché dà corrente in modo discontinuo. Ovviamente non è che uno fa l’impianto e con l’impianto fotovoltaico lo si obbliga, visto che vuole produrre corrente, a garantire la continuità di quella corrente. No. Gli danno i finanziamenti e fanno fare le BESS ad un altro proponente: cose assurde. Una storia per poter commercializzare anche lo stoccaggio.

In più, le risaie di qua verranno utilizzate per erigere due pali, perché le ditte si sono messe in un punto molto lontano dalla linea e per potersi connettere devono realizzare sei tralicci aerei. Se si fossero anche solo spostati di 7-800 m avrebbero avuto molto più vicina la statale per il trasporto delle macchine elettriche e dei materiali. Avrebbero inoltre potuto costruire la stazione sotto all’elettrodotto, così da ridurre i tralicci a due invece che a sei, riducendo pertanto i costi e migliorando la possibilità di trasporto degli elettrodotti stessi perché l’interconnessione era leggermente migliore. Per fare uno degli esempi delle varie alternative che si sono proposte, ci sono anche dei terreni già iscritti per la costruzione di stazioni di trasformazione a piano regolatore, ma i proponenti non li hanno visti. I proponenti queste cose non le hanno viste.

VAS e impatti sulla biodiversità

Daniele La VAS (Valutazione Ambientale Strategica) dovrebbe essere il procedimento in cui si valutano le alternative, è una procedura di evidenza pubblica, tutti possono intervenire e fare delle proposte. Invece, come già detto, qui sono i privati che hanno concordato con Terna. La VAS non è una procedura vincolante, il PEAR l’ha prevista come buona prassi, ma purtroppo regna questa idea che semplificare e velocizzare le procedure sia necessario, anzi obbligatorio, per raggiungere gli obiettivi entro il 2050;  in questa corsa a semplificare si rischia di “semplicizzare” e di non avere la possibilità di attuare quel corretto scambio partecipativo con gli altri stakeholders, perché non c’è solo l’interesse pubblico alla produzione di energia, ma anche l’interesse pubblico alla tutela ambientale ed alla conservazione di habitat e specie.

Qui vicino c’è un’area protetta, una garzaia; questa zona umida è una piccola porzione rimasta indenne dall’espansione delle risaie ed è un luogo ideale per la nidificazione di molti uccelli. Le disposizioni europee dispongono non solo la tutela ma un incremento di queste aree umide. La posa di tutti questi cavidotti, guarda caso, lambiscano e in parte interessano direttamente la garzaia.  

Andrea Questo è un ambiente trofico e riproduttivo per le specie che vivono anche nella garzaia. I boschi che lascio servono anche come ambiente riproduttivo di alcuni animali protetti. Il cosiddetto Ibis nero è nostrano, per cui lascio e costruisco dei canali per la biodiversità, per poterla aumentare. Lascio gli argini inerbiti, li trincio solo d’inverno, proprio per lasciare l’ambiente e i rifugi per gli animali. Io qui, per affezione a mio padre, che li amava particolarmente, lascio nidificare i Cavalieri d’Italia  nelle mie risaie, ed è una cosa bellissima vedere i piccolini. 

Eppure si vuole distruggere tutto questo corridoio ecologico, tutto quello che si è costruito in anni, in decenni.

CAPITOLO 2 Quello di Andrea non è un caso isolato: come spiega Daniele, l’intera area della Baraggia, una riserva naturale con un ecosistema unico, sta già subendo una trasformazione radicale. Come ormai noto, i progetti fotovoltaici non si limitano alla semplice installazione dei pannelli, ma comportano anche urbanizzazioni significative: la costruzione degli elettrodotti, cabine elettriche e strade di accesso che frammentano il territorio e alterano la sua funzionalità agricola e ambientale, come sottolinea Andrea. Inoltre, si assiste a un paradosso normativo, di cui parla ancora Daniele, per cui alcune aziende ottengono autorizzazioni per miglioramenti fondiari agricoli e poi, una volta modificato il terreno, lo classificano come ex-area mineraria per renderlo idoneo al fotovoltaico. Una strategia che sembrerebbe permettere di aggirare le normative più restrittive sulla protezione delle aree agricole.

Limiti dell’agrivoltaico: generatore di profitto e di greenwashing

Daniele Chiaramente occorre consentire gli spazi alla produzione di energia solare. L’agrivoltaico dovrebbe essere la mediazione rispetto al fotovoltaico tout court che non consente un utilizzo del terreno per altri fini. Purtroppo nell’agrivoltaico la normativa ha portato a delle linee guida che non sono così vincolanti e le imprese stanno chiedendo delle modifiche. Per esempio – si parlava prima delle distanze tra i tracker, le file di pannelli – se vuoi fare un agrivoltaico che consenta elevata elasticità nelle scelte colturali l’ideale sarebbe avere i pannelli con una distanza tra loro elevata, di almeno 15 m, e un’altezza minima di 2,10 m con l’inclinazione massima (nei 30 anni di attività dell’impianto potrebbero essere necessarie diverse scelte, magari in un periodo ci vuole la soia perché la chiede il mercato, o in un altro periodo, per i cambiamenti climatici, occorre scegliere altre colture). Qua nel biellese i terreni sono poveri, continuano a proporre uno pseudo agrivoltaico che nemmeno rispetta i parametri delle linee guida e quindi è un agrivoltaico, chiamiamolo “sempliciotto”, per fare la sola attività di allevamento, ma con capi che non  riescono  nemmeno a passare sotto i pannelli. Anche su questo argomento occorrerebbe che ci fossero dei chiarimenti affinché se dobbiamo fare un investimento, facciamolo bene. Su altri impianti, su un inceneritore ad esempio, ci sono le BAT (le migliori tecnologie disponibili). Anche nel campo del solare occorre mettere dei paletti al fine di avere impianti che consentano sul lungo periodo elasticità e la certezza che si possa lavorare il terreno. Purtroppo chi viene qui avanza la propria proposta in comparazione con la risicoltura intensiva che, nel tempo, ha portato ad  impoverimenti del terreno, consuma molta acqua. Paradossalmente ma inverosimilmente l’agrivoltaico proposto pare consentire  rese economiche più elevate della risicoltura con arricchimento della componente organica del terreno. Ovviamente i Proponenti  magnificano  il prodotto ma l’agrivoltaico che propongono è di bassa qualità, non risponde nemmeno al requisito di “avanzato”, definito dalle linee guida, e non ha ancora prodotto in zona risultati significativi, siamo in un contesto sperimentale.

Andrea Per aumentare la resa economica ad ettaro giocano sui numeri, mettendo in tutti gli agrivoltaici la produzione di miele, la produzione e la messa in opera di arnie, svariate decine, centinaia di arnie. Nel caso di Juvi sono 900 e qualcosa arnie, senza un impianto per la gestione del miele perché la sua produzione, ad ettaro, ha una resa molto elevata. Ma nella realtà ha bisogno di un’elevata estensione, di conseguenza non puoi concentrare 900 arnie. Oltretutto su un impianto fotovoltaico o agrivoltaico ci sono delle problematiche molto importanti con le api.

Le api sporcano i pannelli e subiscono i campi elettromagnetici dell’impianto fotovoltaico e agrivoltaico. C’è stato un caso emblematico quest’estate in Sardegna, dove in un impianto di dimensioni abbastanza elevate a livello di ettari, sono morte letteralmente svariate arnie nel contorno, neanche nell’impianto. Sotto al pannello si arriva a temperature anche di 90°C d’estate, quindi bisognerebbe capire bene cosa fare e cosa non fare. Di nuovo, l’agrivoltaico può essere una soluzione ma va studiata e costruita bene in base alla coltura, in base a cosa si vuole fare. Ci sono colture che hanno bisogno di ombreggiamento e pertanto come soluzione può starci con le dovute distanze, ma le proposte di alcuni agronomi sono molto belle sulla carta, ma la natura lo sappiamo, non viaggia con gli standard della carta, non sta dietro a una tua tabella. La natura fa quello che vuole e siamo noi che dobbiamo adattarci alla natura, il che sarebbe anche una cosa utile.

Daniele uno dei proponenti ha avanzato la proposta del noccioleto “in vaso” in un ambiente che è di risaia (terreni argillosi e umidi), ad una quota di 250 m sul livello del mare…una cosa incredibile! Il noccioleto è una coltura collinare a quota 400-600 m sul livello del mare, che teme l’umidità.

Andrea  tra l’altro un terreno come questo è letteralmente un bicchiere, perché essendo argilloso trattiene l’acqua. Pensate che un geologo ha scritto invece che è un terreno argilloso che non trattiene l’acqua, il che ci fa capire come tante cose vengano scritte tanto per fare volume di scrittura. Una proposta depositata al Ministero in procedura VIA Nazionale è normalmente costituita da più documenti e relazioni  (130-140 documenti); alcuni di questi documenti, come lo Studio di Impatto Ambientale, sono corposi, anche di 150 pagine. Molte volte queste relazioni sono scritte un po’ sommariamente, senza aver studiato bene le cose, per dirla con un eufemismo. Che il Ministero non chieda che siano presentati in una forma un po’ più decente la dice lunga. 

Daniele Queste relazioni sono corpose e ridondanti perché spesso sono redatte con il  “copia e incolla”: stessi principi progettuali applicati indistintamente ovunque. Ci sono grande imprese, multinazionali che travalicano gli operatori italiani, che hanno l’abitudine di stilare documenti compilativi, andando a vedere in  letteratura le varie componenti presenti ma senza fare monitoraggi sul luogo. Nella zona delle Baragge (che è Riserva Naturale, ndr) dove ci sono diverse specie protette vengono fatte diverse proposte impiantistiche senza mai considerare se in quel punto sia stata osservata quella specie; viene solo fatta una descrizione generica senza entrare nello specifico. 

Impatti sulla riserva naturale 

Daniele i progetti AV-FV la costeggiano. La riserva naturale delle Baragge per sua caratteristica è “a fazzoletti”: c’è un pezzettino a Candelo, un pezzettino a Masserano, a Rovasenda, al Piano Rosa. Questi poveri fazzoletti hanno subìto tutta una serie di pressioni: adesso verrà realizzato il tratto della Pedemontana San Giacomo di Masserano – Ghemme, a chiudere a nord la Riserva, mentre lateralmente verranno installati i campi di agrovoltaico, così da circondarla. Qui uno dei problemi legati ai pannelli è relativo all’avifauna, perché le zone baraggive, assieme alle risaie, favoriscono la presenza di una certa uccellagione, e tra i vari studi a favore o contro questi impianti fotovoltaici c’è la preoccupazione (così come per gli impollinatori) per un loro impatto negativo. Si discute inoltre se le superfici specchianti dei pannelli possano causare incidenti o disturbo: le imprese propongono immancabilmente studi che dimostrano che non c’è nessuna un’ assenza di incidenza ma la materia rimane dubbia, data la presenza di studi che sostengono il contrario. Le associazioni ambientaliste hanno un atteggiamento quantomeno prudente, puntano ad esaminare caso per caso. A livello nazionale solo Legambiente ha un atteggiamento acritico in favore di questa impiantistica, rafforzato dalle collaborazioni con le aziende di settore. Si può certamente promuovere questi impianti  e la produzione energetica solare, ma con qualche distinguo.

CAPITOLO 3 Andrea ha deciso di non arrendersi e con tempo, impegno e determinazione ha contestato in sede legale gli accessi non autorizzati ai suoi terreni da parte dei progettisti e ha mappato dettagliatamente le opere previste.

A me non è stata proposta nessuna compensazione, con me non ha mai parlato nessuno di questa cosa qui. Io non ho avuto contatti. L’unico contatto che ho avuto è stato un colloquio con gli avvocati nel momento in cui gli ho fatto notare che, oltre ad aver fatto l’accesso non autorizzato l’hanno poi resto “autorizzato” riportandolo nei loro documenti come sopralluogo. Inoltre, hanno presentato agli atti anche le misure catastali, quindi un professionista che ha le misure catastali in mano, presente in quel momento sul luogo, non può dire che non sa dove era, che era su una strada pubblica. […] Quindi  dato che documentalmente lo sapeva perfettamente, allora lì si sono un po’ allarmati. Questo però è stato l’unico contatto. Proposte non ne ho mai avute. L’unica proposta è quella pubblica di quel tentativo di esproprio, che è il pagamento di 2 € al metro, che è niente, visto che un terreno qui di fianco è stato venduto a 6 € e rotti al metro. Quindi non scherziamo. Oltretutto vorrebbero pagarmi solo i terreni realmente presi, ma la realtà è che mi compromettono tutta la capacità aziendale, essendo la mia azienda un blocco unico. Quindi la proposta non può essere neanche presa in considerazione.

Andrea ci racconta poi che il sindaco di Carisio si è schierato assolutamente contrario al progetto, ritenendo inaccettabile che il comune debba subire tutti gli oneri senza benefici reali. Il Comune di Carisio oltretutto si è visto arrivare la stazione elettrica, gli elettrodotti e tutte le parti più impattanti, oltre all’impianto stesso. Carisio non può essere il punto di discarica di questi progetti fotovoltaici, e le compensazioni non potranno mai compensare. […] E tra l’altro, ci sarà un’urbanizzazione non da poco.

Andrea io mi sto opponendo ai vari progetti presentati tramite avvocato, ma anche con uno studio diretto e personale ho rispolverato la mia buona vecchia laurea in Scienze Ambientali che avevo preso in passato per mia cultura personale e sto tentando di oppormi all’esproprio studiando le normative e proponendo alternative . Sto spiegando in conferenze o in dichiarazioni pubbliche come, invece di concentrare gli impianti, sarebbe meglio crearne di svariati e piccoli che immettano energia in rete; per immaginare un nuovo modello in grado di migliorare la gestione stessa della rete. Una potenza diretta di oltre 2 gigawatt così discontinua (perché il fotovoltaico è discontinuo) che va in rete crea una problematica, invece tanti piccoli impianti che servono direttamente la zona potrebbero essere una soluzione decisamente migliore per la gestione della rete. Anche l’uso di fotovoltaico residenziale con il dovuto accumulo è un altro miglioramento, proprio per il fatto di non dover immettere in rete o prelevare dalla rete in modo discontinuo. Le persone devono incominciare ad utilizzare consapevolmente la corrente cercando di sfruttarla nei momenti e nei modi ideali, non continuando a pensare di utilizzarla senza limiti. Basta con questa idea del “Voglio la corrente ma che la producano gli altri perché io non voglio vedermi un impianto davanti a casa”: no, ognuno si deve prendere la propria responsabilità energetica. Nella mia attività in pubblico cerco di spiegare tutte queste cose, perché sono fondamentali. Anche l’agrivoltaico può funzionare, in zone marginali, come quella tra ferrovia e autostrada che si trova poco distante da qui. Ci sono piccoli impianti che possono essere realizzati in questi spazi e un agrivoltaico di piccole dimensioni qua e là avrebbe molto più senso di una concentrazione di impianti. A patto che però che sotto gli specchi ci si coltivi e che non si tenga il terreno a prato.

Daniele Sulla questione degli accumuli abbiamo due situazioni: l’accumulo diretto in campo, che viene proposto per esempio nell’impianto di Salussola (EG FUCSIA) con dei container di batterie; o, come qui a Carisio, l’accumulo prima della Stazione Elettrica, dove  l’energia prodotta dai pannelli è già stata convogliata col cavidotto a seguito di una prima trasformazione (cambiano dunque la tipologia delle batterie e dell’accumulo). Tutti questi processi dovrebbero essere oggetto di maggiore analisi. Noi, durante una delle proposte progettuali avevamo suggerito, visto che abbiamo due invasi a Masserano sul torrente Ostola e sul Ravasanella, di  realizzare dei bacini a livello inferiore e utilizzare parte del volume d’invaso per fare pompaggio e quindi avere un accumulo idroelettrico anziché elettrochimico. É una delle ipotesi che abbiamo avanzato per proporre delle alternative. Noi interveniamo nelle procedure di VIA anche per apportare migliorie ai progetti, confidando che le nostre proposte possano essere fatte proprie e prescritte dall’autorità. Ci sono degli impianti che vengono proposti senza alcuna accumulo e secondo noi è sbagliato, occorre già in partenza prevedere l’accumulo perché è una necessità da considerare al momento della proposta dell’impianto, senza lasciare la questione al futuro.

Andrea e il motivo per cui non si fa è sempre economico. L’accumulo costruito nell’impianto ha un costo ma non dà un reale guadagno, mentre l’accumulo costruito fuori dall’impianto (vicino o adiacente alle stazioni primarie) offre invece un guadagno diretto di stoccaggio di energia: più energia stocchi e fai passare attraverso l’accumulo, e più hai un guadagno diretto perché la rete elettrica nazionale pagherà per lo stoccaggio dell’energia. Quindi, tutti noi in bolletta pagheremo per lo stoccaggio fuori impianto, ed è per questo motivo che tendenzialmente i proponenti, guardando il loro portafoglio, non vogliono spendere soldi per l’accumulo, considerandolo una spesa. Però se ricevi finanziamenti pubblici devi garantire una continuità della corrente, e quindi a livello normativo sarebbe d’obbligo l’accumulo in base alla potenza dell’impianto (e non in base a calcoli di convenienza).

Daniele  L’impianto BESS strutturato presso la cabina di trasformazione può essere più grande (con un rapporto costi/benefici più favorevole) ma si deve tener conto del  grosso problema che hanno questi impianti, vale a dire il raffrescamento delle batterie e relativi consumi per il raffrescamento. Vi è sviluppo di calore elevato anche sotto i pannelli in certe condizioni costruttive ed ambientali. I pannelli grandi a inseguimento sono progettati per avere un sistema di raffrescamento sotto il pannello, quindi parte dell’energia è usata a tale scopo. Paradossalmente non sempre conviene realizzare impianti solari nei paesi dove c’è elevata insolazione, a volte conviene farlo in realtà dove le temperature sono più basse a parità di insolazione. Quindi ci sono aspetti tecnici che possono indurre in una direzione o nell’altra, però come più volte sottolineato, si è sottratto il governo pubblico di queste trasformazioni, che sono elevatissime, (parliamo di impianti di dimensioni di 50 ettari, 70 ettari); se ne metto due o tre uno in fila all’altro io cambio completamente la natura di un luogo. Qui nel biellese, dove c’è il riso D.O.P, le associazioni di categoria e il consorzio si sono espressi in procedura con valutazioni negative. Recentemente le province, sugli ultimi progetti, hanno assunto una posizione un po’ più cauta e problematica rispetto ad anni in cui erano più entusiaste nel rilasciare le autorizzazioni.

Incursioni sui terreni privati

Andrea E’ stato un momento particolare…  c’era questo impianto “Comune di Buronzo”, uno dei primi della zona che era già stato presentato a livello provinciale nel 2021 e poi ripresentato nel 2022 a livello ministeriale. Io non l’avevo visto, e all’epoca avevo la convinzione che ognuno a casa sua può fare quel che vuole, anche se non mi piaceva vedere buttati via i terreni per il fotovoltaico. É stata una visione un po’ miope. Nel momento in cui mi sono accorto di persone venute qui a fare foto, rilievi e carotaggi senza permesso, adducendo che tutti i rilievi fossero motivati da strada pubblica – ma voi avete visto quanta strada avete fatto per arrivare fino a qui [il terreno di Andrea è a qualche minuto di macchina dalla strada principale, ndr] – sono andato a controllare sul sito del Ministero e ho scoperto il progetto. Diciamo che ho avuto un leggero mancamento quella sera… e ho iniziato a studiare. Insomma l’ho scoperto per caso, sono inciampato in alcuni documenti e poi da lì è iniziato tutto. Ho iniziato a chiedere direttamente in provincia contezza del progetto e al contempo ho cercato un avvocato di esperienza che si occupasse di materia amministrativa e ambientale. Ma non è mia abitudine lasciare tutto in mano a qualcuno così ho iniziato a studiare, molte cose tecniche infatti possono sfuggire anche il migliore.

Daniele Per noi associazioni ambientaliste l’abitudine è controllare costantemente gli albi pretori e i siti delle valutazioni ambientali: i siti della provincia, della regione e il sito nazionale delle valutazioni ambientali. Poi ci sono gli strumenti straordinari come le VAS, che si seguono sul sito nazionale del Ministero dell’Ambiente. Il problema, come si accennava prima, sono i continui cambi delle disposizioni normative e degli incentivi. Fino a tre, quattro anni fa normalmente le imprese proponevano impianti sotto i 1.000 kW perché potevano accedere facilmente a un finanziamento e ricadevano in una procedura VIA provinciale. Negli ultimi tre o quattro anni sono variate, si sono fatti degli step cambiando le competenze tra impianti provinciali, regionali e nazionali: prima si andava in VIA nazionale con 10 MW di picco, ora invece si va con 20 MW in nazionale pare che la soglia sia di 300 MW di picco. Il paradosso è che certi impianti che una volta erano soggetti alla procedura VIA ora ne sono esenti. Recentemente è stato autorizzato in Provincia a Biella un impianto di 13 MW senza alcuna procedura VIA. C’è qualche difficoltà perché le norme cercano di semplificare certi processi ma in alcuni casi ne creano di nuovi. Sul sito Nazionale e su quello della Provincia di Biella la documentazione disponibile è totale, e sono caricati in modo quasi immediato tutte le osservazioni, i pareri ed anche i contratti. Una lacuna ordinaria nella documentazione è quella relativa alla fine esercizio/concessione, se le aziende sono tenute ad un accantonamento per il ripristino dei luoghi, come è previsto  per altri impianti. Anche qui in via teorica, scaduto il termine di autorizzazione, se non c’è una domanda di rinnovo deve avvenire il ripristino dei luoghi, che implica un costo…

Andrea Per fare un esempio calzante, farvi capire: più o meno sotto non questo argine c’è ancora un palo di una vecchia linea che passava di lì qui circa 70 anni fa: una parte è stata tagliata e portata via e una lasciata lì dov’era.

Tempistiche e vincolo di esproprio 

Andrea Hanno già cercato di mettere il vincolo di esproprio su queste aree. La procedura prevede che dopo la valutazione di impatto ambientale si passi all’autorizzazione unica, che dovrebbe essere regionale ma normalmente viene demandata alla Provincia, vale a dire l’ente che metterà il vincolo di esproprio sulle aree interessate. In questo caso la Provincia ha bloccato tutto perché c’erano delle discrepanze importanti sull’elettrodotto e su alcune aree dell’impianto, pertanto dovrà essere portata a termine la procedura di VIA per poter poi inserire le varie prescrizioni. In più c’erano altre problematiche, tra cui il fatto che non mi era stata mandata la lettera relativa ai 30 giorni per potermi opporre all’esproprio. Nel caso in cui venga emessa la valutazione di impatto ambientale in uno di questi impianti le ditte proponenti procederanno con l’autorizzazione unica. Se verrà emessa l’autorizzazione unica e quindi il vincolo di esproprio sulle aree, io mi opporrò sicuramente opposizione al TAR e quindi bloccherò il tutto sul nascere. Non lascerò entrare i macchinari, non lascerò che vadano avanti, bloccherò tutto perché devono prendere in considerazione le alternative. Nelle mie osservazioni ho mostrato loro con le mappe l’impatto totale nell’area. 

Per capirci, questa stazione elettrica, se portata a regime, vedrà installati circa tremila ettari di fotovoltaico nel raggio di 10-15 km dalla stazione stessa. Più elettrodotti, più pacchi batterie, più la stazione di Villar Boito, più tutti quegli impianti che tra l’altro hanno una connessione più piccola verso le stazioni primarie. L’impatto è importante, decisamente importante, e non darà luogo all’utilizzo diretto della corrente.

Daniele sembra quasi che le destinazioni dei terreni in queste province del triangolo nord-est del Piemonte siano così suddivise: nel novarese tutta la logistica e anche nel vercellese in parte, e in questa area qui che è sempre stata un’area a bassa concentrazione abitativa tutta l’impiantistica dei rifiuti ed ora della produzione di energia solare. Gli stessi problemi non sono solo sul fotovoltaico, ma sono sulle miniere, cave, discariche, inceneritori di tutta questa zona qui. Gli stessi problemi.

I Comuni e le compensazioni

Daniele E poi ci sono anche situazioni di analfabetismo amministrativo. Ad esempio, l’impianto ultimo “EG Fucsia” a Salussola ha visto numerosissime critiche fatte dalle due province di Biella e di Vercelli: il Comune di Salussola ha scritto di pugno del Sindaco e nemmeno da parte dei tecnici, che normalmente sono quelli tenuti a fare le osservazioni, una letterina di tre commi, tre frasette in cui si dice “trattateci bene nelle compensazioni”. Ecco, solo una visione utilitaristica, senza valutare le ricadute che possono avere impianti di questa dimensione sul territorio.

Qui [ndr: ci mostra sul telefonino] c’è la mappa della zona di Masserano: non è aggiornata la parte di Salussola, ma lo vogliamo fare. Come vedete questa continuità impiantistica è elevatissima. Il problema è questo: in rosso sono disegnate le linee ad alta tensione. Ad esempio, per questo impianto a Masserano non si è scelto il collegamento a questa linea, decisamente più vicina, ma sono andati più distanti, a Balocco e Villarboit. Quindi 11 km di cavidotto, pur avendo una linea ad alta tensione più vicina a nord che adesso stanno ipotizzando di attrezzare con una apposita SE . C’è una tempistica, arriva il primo progettista e vede la soluzione possibile solo qua. Poi quando si sono accorti che erano in tre o quattro a fare le proposte nell’area e l’ipotesi di realizzare una SE a ridosso della Linea ad Alta Tensione più vicina è diventata possibile.

MAPPA 

Daniele C’è un progetto a Mottalciata denominato ‘Next’, che porta un cavidotto a un’area in cui le batterie sono site in ex capannoni industriali. Ci sono invece prospettive per il fotovoltaico bislacche: la normativa nazionale ha definito delle aree idonee di massima. C’è ad esempio la possibilità di realizzare fotovoltaico vicino alle aree industriali o artigianali. C’è la facoltà di realizzarlo sopra le discariche o nelle cave. Nelle cave si pone il problema che lo sviluppo degli impianti fotovoltaici potrebbe portare a minori ripristini ambientali, e questo è grosso un problema da considerare. Nei terreni a risaia c’è questo paradosso, riporto ad esempio l’impianto proposto denominato “Le 7 sorelle” a Masserano/Castelletto Cervo. C’è stata per questa azienda agricola una pratica di miglioramento fondiario tramite attività estrattive (si preleva uno strato di argilla) al fine di conseguire un miglioramento agronomico del fondo, ovvero la rimodellazione di più vasche di risaia in un numero inferiore ma dalle maggiori dimensioni, riducendo i costi produttivi (i sistemi di lavorazione laser delle risaie consentono di avere delle superfici perfettamente piane). Il problema è che alcuni proponenti per l’impianto fotovoltaico prima fanno fare la trasformazione per questo miglioramento agro fondiario, che proceduralmente  è però un’autorizzazione mineraria, e poi dicono “qui c’è stata una cava, una miniera e quindi abbiamo diritto a fare il fotovoltaico”. È questo il paradosso normativo. Ma se l’autorizzazione era per un miglioramento agricolo fondiario…i volponi del fotovoltaico in questo modo non proponevano l’agrivoltaico, ma proponevano il fotovoltaico, perché è una trasformazione mineraria. Si battaglia su questi cavilli.










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