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Galileo Galilei e Bertolt Brecht

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Il 22 giugno 1633 Galileo Galilei fu costretto ad abiurare le sue dottrine scientifiche dinanzi alla Santa Inquisizione per non finire sul rogo. Ricordiamo questo evento, tra i più bui della storia dell’umanità, che segna alcuni dei momenti più belli di “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht, in omaggio a tutti gli uomini che hanno fatto avanzare le conoscenze quotidiane dell’umanità contro i limiti imposti dai religiosi di tutte le risme.

Bertolt Brecht (1898-1956) redige svariati adattamenti della sua celebre opera teatrale La vita di Galileo. La prima edizione, in ogni caso, è del 1939. Nonostante il titolo sia fuorviante, il testo non segue l’intera vita di Galileo Galilei, ma si concentra sul periodo dedicato dallo scienziato agli studi intorno alla teoria copernicana e sulla condanna del Sant’Uffizio.

L’analisi dell’opera è indubbiamente complessa, in particolare a causa dell’esistenza di più versioni. Le principali redazioni sono tre: quella danese del 1939, quella statunitense del 1945 e quella berlinese del 1956. Il testo presenta quindi svariate aggiunte e modifiche, ma per quanto riguarda l’intreccio possiamo in ogni caso notare che il fulcro della trama rimane invariato.

Bertolt Brecht, nella sua Vita di Galileo, sceglie di ritrarre lo scienziato da una prospettiva nuova e diversa rispetto a quella che si può trovare nei libri di storia. Si tratta infatti di un Galileo dalla psicologia complessa, che è al tempo stesso ironico e sprezzante, elettrizzato dalle sue scoperte, ma confuso e sconfortato quando deve affrontare le conseguenze della diffusione di quelle stesse tesi che ha disperatamente inseguito. Un uomo che sa essere lucido e ambizioso, ma che si ripiega anche nella solitudine e nei rimorsi quando conosce la sconfitta e il fallimento. Tuttavia, i fatti narrati da Brecht sono rigorosamente storici: la scoperta del cannocchiale, le osservazioni del cielo, l’amicizia con Sagredo, l’epidemia di peste e la condanna per eresia, i lunghi anni di solitudine sotto il controllo dell’Inquisizione.

Brecht, prolifico e finissimo drammaturgo che ha fatto della critica sociale il suo tratto distintivo, scrive la sua opera durante l’ascesa del Nazismo: quando in Germania ogni aspetto della vita quotidiana e socio-culturale è controllato dal regime. L’azione dell’Inquisizione può essere letta allora come paradigma della forza cieca dell’ideologia sulla ragione. Per questo Brecht mette a fuoco della “vita” di Galileo solo la parte che va dalle rivoluzionarie scoperte astronomiche alla condanna dell’Inquisizione. A Brecht non interessa scavare oltre nella storia di Galileo, preferisce accendere i riflettori, metaforicamente e letteralmente, sulla condanna allo scienziato, che viene messa in parallelo con quella di poco precedente di Giordano Bruno (arso sul rogo nel febbraio del 1600 sulla piazza romana di Campo de’ Fiori) e con il contesto storico a lui contemporaneo della dittatura nazista. Tuttavia, la lettura che Brecht dà del personaggio di Galileo non è piatta e monotematica: Brecht, attraverso la figura dello scienziato pisano, avverte che la scienza stessa, se messa nelle mani sbagliate, può essere pericolosa. Galileo è servitore fedele della scienza ed è disposto a mettere a repentaglio la sua stessa vita per lei, ma sa anche che questa non deve essere asservita al potere. La scienza deve aiutare l’uomo, non gli oppressori dell’uomo. Anche per questo motivo Galileo, che ha sfidato la peste pur di non abbandonare le sue ricerche, una volta di fronte agli strumenti di tortura capitola, abiura e si ritira a proseguire da solo le proprie ricerche, abbandonato da tutti.

Altro tema centrale è la riflessione dell’autore sui rapporti tra scienza moderna e cattolicesimo, come sottolineato con forza dalle varie figure che si muovono attorno al Sant’Uffizio e che si adoperano per aiutare o condannare lo scienziato pisano. Il Galileo di Brecht, nonostante la dottrina cattolica si basi su dogmi di fede e la scienza su procedimenti induttivi e dimostrazioni rigorose, non avverte una scissione tra le sue ricerche e la sua fede. Emblematica la scena in cui, di fronte alle razionali argomentazioni galileiane, i dotti colleghi dell’università, timorosi di accogliere simili rivolgimenti quasi apocalittici, si rifiutano di guardare con i propri occhi dentro il cannocchiale dello scienziato. Il sapere che deriva dalla scoperta del mondo, anziché liberare l’uomo e avvicinarlo ai suoi simili, sembra condannarlo ad una solitudine acerba e dolorosissima.

Il Galileo di Brecht si fa quindi portatore di una forte critica alla società contemporanea e di quei meccanismi di oppressione e omologazione che utilizzano l’ignoranza come mezzo di controllo delle masse. Particolarmente rilevante da questo punto di vista è la scena in cui il discepolo di Galileo, Fulgenzio, ripensa ai suoi genitori, povera gente di origine contadina: questi ultimi hanno come unica sicurezza in una vita di sofferenze il ciclo della semina e la certezza del Paradiso come ricompensa per le rinunce e i dolori terreni. La certezza, per dirla in altri termini, di trovarsi al centro di un cosmo organizzato da un ordine superiore, buono e giusto, che provvede alla felicità ultraterrena. Tutte queste persone, sostiene Fulgenzio, private dell’ordine in cui hanno sempre creduto, non avrebbero più una bussola etica ad indicare loro il cammino. L’opera si conclude allora con l’amaro riconoscimento dei limiti di una realtà (tanto storica quanto contemporanea) in cui il ruolo dello scienziato deve essere ancora quello di alleviare le fatiche dell’uomo e in cui la cultura è irrimediabilmente controllata dal potere. Tuttavia nel buio della condizione umana si può ugualmente scorgere un messaggio di speranza: come spiega Andrea nell’ultima scena, forse un giorno l’uomo riuscirà a volare.

Celebre la frase di Galileo che, di fronte all’allievo che si lamenta che non ci siano più eroi, proclama: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”.

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