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L’omicidio di Tonino Micciché

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17 aprile 1975, 19 di sera, quartiere operaio della periferia nord di Torino. Un gruppo di compagni e compagne del comitato di lotta per la casa di Falchera sta sistemando la sua nuova sede appena liberata.

Tra loro c’è Tonino Micciché, 25 anni, emigrato siciliano, ex operaio Fiat licenziato per motivi politici. Un uomo col soprabito si avvicina al gruppo. Cammina tranquillo. Quando si trova a un metro da Tonino estrae una calibro 7.65, di quelle in dotazione alle guardie giurate, e spara. Dritto in fronte: Tonino muore all’istante.

Emigrare al nord per trovare lavoro significa rinunciare alla propria terra, alla vicinanza degli affetti, alla casa. Perché i grandi industriali del Piemonte si sono scordati, nei loro piani di produzione, di pensare che quelle migliaia di operai che risalgono la penisola, abbiano anche bisogno di un tetto sotto il quale passare le poche ore che separano un turno dal successivo. Così nascono le speculazioni. Il centro storico è pieno di soffitte in cui i letti vengono condivisi da tre o più persone, “che quando arrivi per coricarti devi svegliare il compagno che ti liberi il posto”. La risposta della Fiat all’emergenza abitativa sarebbe quella di sistemare le maestranze in vecchi stabilimenti della cintura torinese isolati dalle città, che vengono pubblicizzati come ” fiore all’occhiello, con tutti i comfort, con attorno giardini verdi, dove i buoni operai [potrebbero] rigenerarsi dalle fatiche della catena di montaggio e liberare il corpo e lo spirito al contatto con la natura”. Addirittura, Cgil, Cisl e Uil si oppongono a quelli che definiscono “villaggi di concentrazione”.

Le case popolari esistono, e formano veri e propri ghetti fuori dalle “mura” della Torino bene. Sono stati fatti costruire interi quartieri dormitorio alla periferia estrema della città, e a Falchera e Mirafiori lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) inizia ad edificare nuovi lotti per un totale di 20.000 abitanti. Le pratiche per l’assegnazione sono lente e sempre più famiglie si trovano strette nella morsa di affitti esorbitanti e alloggi fatiscenti.

Da queste premesse iniziano le occupazioni, che se nascono in modo molto spontaneo, non tardano a convergere in percorsi politici di appositi comitati di quartiere. A Falchera, quartiere costruito negli anni ’50 in Barriera di Milano, si assiste al fenomeno più ampio. Centinaia e centinaia di famiglie arrivano da tutta la città e si organizzano per occupare e amministrare le case non ancora assegnate. La risposta istituzionale non si fa attendere. Immediatamente lo IACP riprende a piena lena le assegnazioni degli alloggi, in modo da mettere assegnatari e occupanti gli uni contro gli altri. Dal canto loro i giornali iniziano subito a spendersi per dipingere il fenomeno come parte della tanto comoda “guerra tra poveri”.

Nel comitato di occupazione di Falchera, Tonino Micciché diventa presto una figura tra le più importanti: è lui che va a parlare con le istituzioni quando è necessario, ed è lui che spesso si prende la briga di assegnare gli alloggi alle nuove famiglie di occupanti. E’ lui che viene eletto dai suoi compagni “il sindaco di Falchera”. Il motivo del suo omicidio va ricercato nel clima di tensione che l’IACP ha tentato di creare tra occupanti e assegnatari. Nonostante la maggior parte degli assegnatari condivida con gli altri le esperienze di lotta e la militanza nei comitati, restano comunque alcuni, pochi, che dal loro status di “privilegiati” vogliono trarre il massimo. Tra questi ultimi anche Paolo Fiocco, guardia giurata iscritta alla CISNAL, che si è preso un box auto in più oltre a quello già assegnatogli dall’Istituto. In quel box il comitato per la casa vorrebbe fare le sue riunioni, e non valendo a nulla le richieste di liberarlo fatte a Fiocco, decide di prenderselo quel 17 aprile 1975.

 

Guarda “Intervista alla madre di Tonino Miccichè”:

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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