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La strage di Pietraperzia

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«Lu primu jinnaru ca trasi di luni, succissiru gran danni e gran ruini, a li dui li tri na rimurata, ognunu a la matrici si nni jiva, pariva na speci di missa cantata»…

 …ma a un segnale dato, un battito di mani, un fischio, i passi cambiano direzione e velocità, si dirigono verso la piazza centrale del paese: siamo a Pietraperzia, 1° gennaio 1894, nella piazza davanti alla chiesa i fascianti trovano la bandiera tricolore e la staccano, poi vanno alla Società dei congedati e chiedono che sia loro consegnata la bandiera tricolore. I congedati all’inizio non vogliono ma poi vedono gente uscire fuori dalle porte e aggiungersi a quelli che chiedono la bandiera, e allora la consegnano; «abbassu li dazi e viva lu suvranu» urlano i fascianti con la bandiera in mano. «A lu municipiu, a lu municipiu amma gghiri» dicono. Hanno in mano vanghe, forconi, rastrelli, zolfo, paglia. Arrivano al municipio e fanno scempio di tutto ciò che trovano: «tuttu lu municipiu fu arsu, d’ogni scrittoriu fu dispersu, fu distruttu tuttu lu mubigliu, finu a unni tinivanu cunsigliu». Dopo si dirigono all’esattoria e lì trovano la cavalleria, uomini armati in divisa, gendarmi che sparano su uomini e donne: 8 di loro rimangono a terra sopra il loro sangue, senza vita.

Questo fu il 1° gennaio 1894, a Pietraperzia, come racconta il poeta dell’epoca Santo Di Blasi, «succissiru gran danni e gran ruini».

Lo stesso mese il capo dell’allora governo italiano Francesco Crispi emano un decreto per mettere la parola fine a queste continue manifestazioni, dando così pieni poteri militari e civili al generale Morra di Lavriano, gli ordini erano chiari: sciogliere tutte le sezioni dei fasci, arrestare i capi e sottoporli a processo davanti a tribunali militari, riportare ad ogni costo l’ordine sull’isola anche mettendo a ferro e fuoco le città. Bisogna ricordare che già nel dicembre 1893, il siciliano Francesco Crispi,( ironia della sorte) inviò le truppe nei comuni più “caldi”, con l’ordine di sparare sui contadini ai primi accenni di protesta.

Infatti il 10 dicembre a Giardinello, durante uno sciopero contro le tasse, vi furono 11 morti e diversi feriti. Il 17 dicembre a Monreale, in un’analoga situazione, numerosi feriti. E poi ancora, il 25 dicembre 11 morti e tanti feriti a Lercara Friddi. Il 1° gennaio 1894, 8 morti e 15 feriti a Pietraperzia e 20 morti e molti feriti a Gibellina.

I Fasci siciliani furono il primo movimento popolare nell’epoca post unitaria dell’Italia, nati intorno al 1890, vedeva tra le sue fila la partecipazione di: contadini, braccianti, operai, minatori. La struttura prendeva ispirazione dai Fasci settentrionali nati intorno al 1871.

Un movimento d’ ispirazione socialista ma che vedeva la partecipazione anche di diversi anarchici, composto anche da molte donne come ad esempio Caterina Costanza, la quale venne arrestata nella zona di Piana dei Greci con l’accusa di aver organizzato lo sciopero del 30 ottobre oppure a Villatri dove vennero arrestate sei donne che armate di bastoni erano andate nei terreni di un proprietario del luogo per obbligare i braccianti a partecipare allo sciopero. Le rivendicazioni erano la pretesa di un abbassamento dell’orario di lavoro, l’aumento dei salari e la fine delle intollerabili condizioni nelle quali viveva la maggior parte della popolazione siciliana.

L’intenzione era di organizzare non solo gli operai ( Fasci urbani) ma unirli ai contadini, anche loro impegnati nella lotta contro le angherie dei proprietari terrieri ed i loro tirapiedi mafiosi, l’unione avrebbe dato maggiore forza e coscienza al movimento. Cosa che riuscì, i fasci rurali si distinsero anche per l’influenza e la partecipazione maggiore da parte delle donne, come ad esempio quelli di Piana dei Greci.

La cosa fece balzare agli onori della cronaca la Sicilia, proprio per il dilagare di un’agitazione sociale di proporzioni mai viste. Messina, Catania, Palermo, Corleone, Piana dei Greci ed altre località videro la partecipazione di almeno 400 mila anime in tutta l’isola tra contadini e operai. Guidati anche dalla piccola borghesia intellettuale dell’isola, che si mosse nei nomi come Garibaldi Bosco a Palermo, Nicola Barbato a Piana dei Greci, Bernardino Verro a Corleone, Giuseppe De Felice a Catania, Nicola Petrina a Messina e Giacomo Montalto a Trapani.

Bernardino Verro, fondatore dei fasci rurali di Corleone 1892 di fronte ai contadini:

“ «Se voi prendete una verga sola la spezzate facilmente, se ne prendete due le spezzate con maggiore difficoltà. Ma se fate un fascio di verghe è impossibile spezzarle. Così, se il lavoratore è solo può essere piegato dal padrone, se invece si unisce in un fascio, in un’organizzazione, diventa invincibile.»

Il solo Comune di Corleone vedeva la partecipazione di almeno 6000 persone, era a titolo la “capitale contadina”, dove nel 1893 vi fu il congresso provinciale dei fasci delegati, i quali approvarono i famosi “ Patti di Corleone”, il primo esempio di contratto sindacale.

I “patti” proponevano nuovi contratti agrari tra i lavoratori delle campagne, i mezzadri e i proprietari. Aumenti salariali per i braccianti, divisione dei beni demaniali, affitto diretto dal proprietario del terreno ed eliminazione della figura intermediaria del gabelloto, che oltre a angariare i contadini con affitti altissimi erano spesso legati alla mafia. Lo stesso liberale Giovanni Giolitti, fù coinvolto dalle pressioni dei proprietari terrieri e dei gabelloti mafiosi siciliani, per scioglierli ma si rifiutò.

Ma diversi agrari si rifiutarono di accettarli «per non aver l’aria di sottomettersi al fascio», spiegò Bernardino Verro al giornalista Adolfo Rossi nel settembre 1893. Per la paura, cioè, che potessero mutare radicalmente condizioni sociali ataviche, fondate sulla sottomissione dei contadini all’aristocrazia agraria isolana, che allora deteneva il 70% della superficie coltivabile, e ai gabelloti mafiosi.

Questi fatti di cronaca nella Sicilia di quegli anni non erano certo rari, del resto si era messa in moto un’opposizione popolare determinata e organizzata, seppur con dei limiti, che andava assolutamente repressa. Le varie pulsioni riguardanti le rivendicazioni dei più elementari diritti stavano iniziando a prendere corpo, di più iniziavano ad organizzarsi. Nella Sicilia di allora, come in altre Regioni, contadini e braccianti erano costretti a lavorare fino a 16 ore al giorno, ottenendo lo stretto necessario per sopravvivere.

Il capo di Governo Crispi emanando quel decreto indirizzo le responsabilità di questo stato di agitazione ai Fasci Siciliani, decretandone così la fine di quelle organizzazioni. L’11 gennaio i Prefetti dell’isola ebbero la delega per:” sciogliere i Fasci dei lavoratori in quanto l’azione fin qui spiegata dai Fasci è stata causa delle agitazioni, dei disordini e delle sommosse avvenute in alcuni comuni di questa Provincia.” Impone: “lo scioglimento di ogni singola sezione e il sequestro delle «carte , dei registri, dei gonfaloni, delle bandiere e di quant’altro sia di pertinenza dei sopradetti Fasci». In sostanza, bisognava cancellare ad ogni costo ogni traccia di questo imponente movimento che stava sconvolgendo un ordine sociale che durava da secoli. E per giustificare un’azione repressiva di queste proporzioni, contro il movimento dei Fasci fu lanciata la gravissima accusa di avere un disegno insurrezionale, mirante a scardinare l’unità territoriale del giovane Stato unitario.

Per zittire l’opposizione inferocita, il 28 febbraio 1894 Crispi portò in parlamento «le prove». In primo luogo, il «trattato internazionale di Bisacquino», sottoscritto dal governo francese, dallo zar di Russia, dall’onorevole Giuseppe De Felice, dagli anarchici e dal Vaticano, il cui obiettivo era quello di staccare la Sicilia dal resto del Paese, per porla sotto il protettorato franco-russo. Poi, il «proclama insurrezionale», trovato nella casa di un pastaio di Petralia Soprana, col quale si invitavano ad insorgere «gli operai, figli dei Vespri». Prove “pesanti”, ma spudoratamente false. Montature costruite ad arte da “zelanti” funzionari, per giustificare la repressione di un movimento popolare, che rivendicava semplicemente condizioni di lavoro e di vita più umane.

Il 2 gennaio a Belmonte Mezzagno i morti furono 2, il 3 gennaio a Marineo vi furono 18 morti e tanti feriti, mentre a S. Caterina Villermosa13 morti. In pochi giorni furono arrestati Giuseppe De Felice, Nicola Petrina, Giacomo Montalto, Francesco Paolo Ciralli, Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato, Bernardino Verro e tanti professionisti e studenti, sospettati di aver partecipato alle dimostrazioni o semplicemente di simpatizzare per il movimento. In 70 paesi si operarono arresti di massa, circa 1.000 persone furono mandate al confino, senza nessun processo. Oltre a ciò, furono sospesi le libertà individuali, l’inviolabilità del domicilio, la libertà di stampa e il diritto di riunione e di associazione.

1 gennaio pietraperzia

 17 Gennaio 1894 firmato dal Commissario straordinario per la Sicilia reggente la regia Prefettura di Palermo.

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