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Cicli e Circuiti di Lotta nel Capitalismo High-Tech (II)

 

di Nick Witheford

 

La (non) riproduzione della natura: i rifiuti pericolosi

La mobilitazione, da parte del capitale, di high-tech deriva dalla sua tendenza al controllo non soltanto dei luoghi di lavoro, e nemmeno della società nel suo insieme, ma della natura stessa. Per fabbricare merci c’è bisogno non soltanto di lavoratori, ma anche di materie prime. Il capitale, nella sua fase di accumulazione primitiva – fase che si è costantemente ripetuta dalle recinzioni del XVI secolo dei “commons” inglesi, fino alla distruzione delle foreste amazzoniche del XXI secolo -, ha separato in maniera violenta i lavoratori dalle terre, sottraendo e distruggendo le culture indigene e contadine, annichilendo i loro saperi tradizionali di relazione con la terra. Il capitale ha così ricombinato i lavoratori senza terra e le risorse di cui si è appropriato nei processi industriali.

Lo sviluppo tecnico-scientifico finalizzato alla dominazione sul lavoro è quindi stato del tutto inseparabile da un’intensificazione senza precedenti del dominio sulla natura. Così come il capitale ha ridotto la popolazione a forza lavoro, allo stesso modo ha ridotto la natura ad una risorsa: entrambe esistono soltanto per essere esaurite. Per quanto gli è possibile, il capitale, evita di pagare per la riproduzione della forza lavoro utilizzando lavoro non pagato, il lavoro domestico delle donne; ha minimizzato i costi delle forze rigenerative del riassestamento del mondo naturale, supponendole inesauribili. Lo sfruttamento delle risorse minerarie, lo sviluppo senza precedenti di applicazione di macchinari e di agenti chimici che finiscono per impoverire l’ecosistema senza alcun riguardo alla sostenibilità, facendo ricadere i costi di tale danno sulle comunità o rinviandoli alle future generazioni; questo è divenuto il suo modus operandi. Nonostante che Marx abbia spesso preso parte al trionfalismo scientifico del suo secolo, egli ha però lucidamente riconosciuto gli esiti di questo processo quando, descrivendo l’agricoltura capitalista, ha parlato di essa “simultaneamente minante le fonti originali di tutta la ricchezza – il suolo e il lavoratore”.1 Oggi, mentre la minaccia all’intero ecosistema planetario svela una visione globale di deforestazione, di desertificazione, di morte progressiva degli oceani, di tendenziale scomparsa dell’ozono e di disintegrazione dei sistemi immunitari, le lotte per l’autonomia non possono riguardare soltanto il salario, od il salario sociale, ma la stessa specie umana.

Infatti, lo sviluppo delle lotte “verdi” è stata un aspetto della crisi generale della fabbrica sociale degli anni ‘60 e ‘70. In luoghi che vanno da Diablo Canyon a Love Canal, attivisti assaltano i recinti e bloccano i cancelli distruggendo mega-progetti industriali con la stessa efficacia espressa nelle agitazioni contro la catena di montaggio. Il balzo post-industriale nel mondo dei computer, delle telecomunicazioni e delle biotecnologie è stato in parte una risposta a questa minaccia. Così come l’avvento della high-tech nelle fabbriche è stato accompagnato dalle promesse di liberazione dal lavoro, altrettanto è stato celebrato come risposta al male dell’inquinamento. Sistemi di informazione pulita possono rimpiazzare le ciminiere industriali, riciclare le scorie, ridurre l’uso di combustibili fossili, eliminare la carta dagli uffici, rimpiazzare le auto a motore, permettere una migliore pianificazione e preservazione delle risorse naturali e dematerializzare la produzione in un innocuo flusso di bits e bytes. Queste promesse sono parte del succedersi di strategie – “sviluppo sostenibile”, “Terza Ondata ambientalista”, “modernizzazione ecologica” – volte ad annunciare che la sostituzione e la sorveglianza tecnologica deviano l’apocalisse ecologica.2

Tali schemi non fanno nulla per toccare la tendenza del capitale a perpetuare il lavoro, il consumo e la produzione come fine a se stessa.3 In pratica, perciò, le high-tech sono state primariamente usate non per fermare la distruzione della natura, ma per aggirare l’opposizione ad essa. Fabbriche di automobili, impianti petrolchimici e miniere sono state rese, tra gli elogi verdi, capaci di risparmiare più energia (e quindi più profittevoli); ma non è stata allentata la ricerca per espandere (e quindi incrementare la compromissione ecologica) i mercati globali. L’avanzata di sostituti di sintesi di materiali naturali scarsi ha fornito la licenza, libera da ansietà, per la liquidazione di animali, minerali e vegetali in via di estinzione. I network delle telecomunicazioni e dei trasporti hanno disperso inquinamento lontano dai centri di attivismo e regolazione, fuori dalla soglia di casa di quanti erano ancora in grado di resistere, imbarcando i residui tossici verso i ghetti urbani, le riserve dei nativi o verso il Terzo Mondo in una nascente industria post-fordista.

La cosa più ironica è che lo stesso sviluppo capitalista delle tecnologie postindustriali replica le medesime tendenze di inquinamento industriale che presumibilmente dovrebbe eliminare. Nonostante l’immagine pulita dell’industria della microelettronica, il suo processo di base – la costruzione di silicon chips – impiega agenti chimici e gas velenosi pericolosissimi. Le compagnie evitano i costi richiesti per trattare adeguatamente questi materiali o per individuare sistemi di sicurezza alternativi, devastando sia i lavoratori e le lavoratrici – attraverso reazioni allergiche, aborti spontanei e disordini al sistema immunitario, circondando le comunità e i centri abitati – che i bacini d’acqua e le discariche a cielo aperto che hanno fatto, ad esempio, di Silicon Valley il luogo a maggior rischio ambientale degli Stati Uniti.4 Sebbene l’industria delle biotecnologie sia ancora troppo giovane per aver pienamente rivelato i suoi costi nascosti a lungo termine, pericoli simili si sono già manifestati, nella liquidazione per esempio della diversità delle piante attraverso il controllo sui brevetti dei semi prodotti dalla bioingegneria, e negli effetti non anticipati dei bovini cresciuti con ormoni usati per iper-accelerare la produzione di latte delle mucche.

Poiché le nuove tecnologie non fermano, di per se stesse, lo sfruttamento del pianeta, esse riescono nemmeno a fermare la rivolta contro di esso. Sebbene schemi altamente tecnocratici di gestione manageriale delle risorse abbiano giocato un ruolo nel cooptare la corrente più conservatrice dell’ambientalismo, essi hanno, non intenzionalmente, provocato una nuova e radicale opposizione. Così negli USA, l’intensificazione di una pratica di lunga durata di scaricare rifiuti pericolosi – incluse le tossine postindustriali – nei settori più poveri e vulnerabili del lavoro, ha causato l’emergere di un movimento per la “giustizia ambientale” tra le comunità di colore, tra i quartieri tradizionali della classe lavoratrice, tra le Native Indian Lands e le regioni rurali più povere.5 Ciò include i lavoratori portoricani delle fattorie che si oppongono all’avvelenamento dei pesticidi, le associazioni di inquilini che si battono contro le industrie del petrolio e petrolchimiche nella “Cancer Alley” della Louisiana, le madri in lotta contro gli inceneritori nei quartieri abitati da latinoamericani nell’East Los Angeles, gli studenti latinoamericani ed afroamericani della coalizione Toxic Avengers che si batte contro il trasporto di scorie nucleari a Brooklyn.6 Spesso guidati da donne – il cui lavoro riproduttivo non salariato si collega con aborti spontanei, difetti di nascita e morti lente create da avvelenamenti industriali – e caratterizzati da strategie che uniscono problematiche di classe, genere e razza, questi gruppi hanno modificato radicalmente l’elitismo dell’ambientalismo tradizionale e ingaggiato una serie di confronti diretti col potere delle aziende.

Il movimento per la giustizia ambientale è indubbiamente un movimento di rifiuto, finalizzato al blocco della criminale crescita capitalista. Ma è anche un movimento che combatte le competenze aziendali con un contro-sapere proletario; generando i suoi programmi di auto-educazione, di ricerca sociale e di comunicazione (compresi gli accessi ai computer networks come la banca dati sui rifiuti pericolosi il Right to Know – Diritto a sapere) esso rappresenta un’incredibile fioritura di scienza popolare tra agli esclusi e gli espropriati. In fin dei conti, i suoi obiettivi non sono solo di resistenza, ma anche di reinvenzione della società, andando ben oltre i limiti stabiliti dalla “regolazione” domandando fondi per i lavoratori disoccupati per causa ecologica, restrizioni sui flussi di capitale, eliminazione della produzione di sostanze tossiche, rivendicando lo sviluppo di un sistema di trasporto meno inquinante, lo sviluppo economico della comunità, una distribuzione equa dei costi di risanamento ambientale e leggi internazionali che proteggano l’ambiente ed i lavoratori.7

Uno degli aspetti più importanti di questo movimento è stato la sua tendenza a superare i confini tra classe lavoratrice ed attivismo ecologico. Gli anni ‘70 sono stati caratterizzati tanto da estreme tensioni, quanto da tentativi di alleanza tra questi movimenti; ma la crisi delle misure di ristrutturazione del post-fordismo ha provocato una loro polarizzazione. Facendo leva sulla contrapposizione “lavori versus ambiente”, il capitale ha contrapposto lavoro e preoccupazione ecologica, dividendo il rosso dal verde.8 Tuttavia, così come è divenuto lampante che gli affari high-tech distruggono le condizioni di vita allo stesso modo in cui distruggono gli ecosistemi, la falsità di questa contrapposizione ha iniziato a mostrarsi sempre più evidente. Sebbene la spaccatura “lavoratore-verde” resti marcata, in alcuni settori i lavoratori hanno sviluppato i propri progetti ambientali e sono entrati in dialogo con gli attivisti ecologisti. I membri della Oil, Chemical and Atomic Workers Union, stanno battendosi per ottenere fondi per il disinquinamento di aree fortemente inquinate9; organizzazioni come The Network for Environmental and Economic Justice per il Southwest accomunano comunità e luoghi di lavoro nella battaglia contro le scorie delle high-tech10; i lavoratori in sciopero delle cartiere di Jay, Maine hanno posto tra i loro compiti quello del controllo degli impianti di scarico; e la tendenza di Judith Bari di Earth First ha costruito legami tra i lavoratori delle foreste i cui lavori sono minacciati da logiche supermeccanizzate.

Le lotte ecologiche possono a volte sovrapporsi alla tendenza indirizzata a “produzioni autonome” che abbiamo segnalato come una caratteristica dei movimenti di lavoratori contemporanei. Nel 1992 una straordinaria coalizione di lavoratori neri e latinoamericani e gruppi della comunità a Van Nuys, California, che si sono opposti con successo per dieci anni al piano della General Motors di chiudere i suoi impianti locali di automobili con la minaccia di un boicottaggio nel florido mercato automobilistico di Los Angeles, è stato alla fine sconfitto. Comunque, tale coalizione ha subito una fortissima metamorfosi, con la campagna “Save GM Van Nuys” ha fornito il nucleo per il WATCHDOG Organizing Commitee; un gruppo che combatte l’inquinamento dell’aria provocato delle aziende collocate nei quartieri operai, e cerca la conversione dell’industria automobilistica in forme di produzione pulite ed ecologicamente sostenibili.11 Questi attivisti hanno stabilito collegamenti con i lavoratori dagli impianti dei veicoli Caterpillar a Toronto, che, seguendo con successo il tentativo di prevenire la chiusura dei loro impianti con l’occupazione, sono entrati in dialogo con i gruppi ambientalisti e anti-povertà per escogitare una campagna di conversione in favore di “lavori verdi”.12 Questa alleanza ha finito per essere fondamentale per i lavoratori giapponesi della Toshiba-Amplex, la cui resistenza al piano di chiusura ha portato straordinariamente a otto anni di occupazione degli impianti. Durante questo tempo hanno continuato, sotto controllo-operaio, a fabbricare mezzi di comunicazione, componenti per il sistema educativo, attrezzature mediche e sistemi operativi ad high-tech. Essi sono stati supportati dai movimenti pacifisti ed antinucleari, per i quali hanno progettato e prodotto altoparlanti portatili per le dimostrazioni, Geiger-counter per i cittadini ed altre apparecchiature per il rilevamento della radioattività, fondati sul contributo popolare, costruiti per le vittime di Chernobyl alla metà del costo dei sistemi commerciali.13

Diversi esponenti dell’autonomist marxism hanno suggerito che, contrariamente ad alcune correnti “primitiviste e misantropiche” interne ai movimenti ambientalisti, può non essere possibile né desiderabile richiamarsi ad un’originaria, incontaminata natura.14 Ma questa interpretazione delle nature “prima” e “seconda” non è necessariamente orribile. I network di computer e di comunicazione possono (se usati congiuntamente a fonti energetiche diverse rispetto ai megaprogetti catastrofici) essere elementi che prestano attenzione al metabolismo planetario che, piuttosto che saccheggiare e contaminare i sistemi ecologici, li riparano e li proteggono. Come il capitale è stato costretto dalle lotte sul lavoro a sviluppare le tecnologie che possono potenzialmente porre finire al bisogno di lavoro salariato, così l’attivismo verde ha spronato all’adozione di macchine che potenzialmente diminuiscono la distruzione del mondo naturale. Comunque, come il capitale fa dell’automazione un mezzo per incrementare la disponibilità di forza-lavoro, così esso deforma le tecnologie per la salvaguardia delle risorse trasformandole in mezzi per estendere ed intensificare la riduzione della natura a materie prime. La perdita di questo paradosso richiede l’emergenza di alternative sociali libere dalla costrizione del capitale che agisce per perpetuare il lavoro e la conversione delle risorse della natura in in merci.

 

Il network delle relazioni sociali: il cyberspace

Finora abbiamo viaggiato attraverso il circuito delle lotte, esaminato l’incontro tra il capitale high-tech ed il suo nuovo proletariato a livello di luogo di lavoro, di mercato, di comunità e di ambiente. Apparirà evidente che questi conflitti costantemente sfociano in un altro. Infatti, il capitale high-tech è caratterizzato sia dalle modalità di estensione del suo comando sull’intera società – così che col lavoro si appropria anche del suo network di relazioni sociali – che dal modo in cui tenta di ottenere la massima mobilità e flessibilità sui suoi diversi luoghi di controllo.15 Una manifestazione concreta di queste tendenze è data dallo sviluppo dei computer-communications networks. Tali network, originariamente designati come parte della preparazione di guerre nucleari, hanno poi trovato applicazione civile su larga scala durante la crisi della fabbrica sociale negli anni ‘70, come sistemi di management d’emergenza usati dall’amministrazione Nixon per monitorare un congelamento dei costi salariali e per rimuovere la violenza dei picchetti dello sciopero dei camionisti.16 In seguito sono stati generalmente adottati dalle aziende e dallo stato su base locale e globale, come mezzi per collegare le macchine automatizzate, per connettere i luoghi dispersi della produzione, per creare interfacce tra industrie precedentemente distinte, per distribuire servizi interattivi e dirigere i trasferimenti istantanei di finanza deterritorializzata che determina le sorti di intere popolazioni. Sempre più, i flussi digitali hanno dato al capitale capacità complessive di comando, controllo e comunicazione, fornendogli un medium universale attraverso cui tutti gli aspetti delle sue operazioni possono essere sincronizzati con straordinaria velocità e capacità.

Tuttavia, per creare e operare con queste tecnologie, il capitale ha dovuto fare appello ai nuovi strati di forza lavoro, dagli scienziati del computer e dagli ingegneri del software, attraverso programmatori e tecnici, alle schiere di “computer-alfabetizzati” e lavoratori d’ufficio, ed, infine, all’intera popolazione largamente relegata a lavori semplici e noiosi alla quale si richiedeva una sufficiente “computer-alfabetizzazione” a funzioni in un sistema di servizi on-line e beni elettronici. Con l’apparire di questo proletariato virtuale, fa la comparsa anche una tensione tra il potenziale di libertà e di appagamento possibile in questo ambiente tecnologico e l’attuale banalità del controllo cybernetico e della mercificazione.

Come spesso è successo, le nuove forme di conflitto appaiono prima sotto l’aspetto di criminalità e delinquenza: l’“hacking”. Se, seguendo Andrew Ross, definiamo l’”haching” semplicemente come l’uso non autorizzato del computer, possiamo abbracciare sotto questo termine di sabotaggio computerizzato: la riappropriazione del tempo di lavoro per giocare o scrivere storie, per scambiare e-mail [posta elettronica] non autorizzata; i cosiddetti crimini di data copying, di electronic trespass e di diffusione di informazioni; sperimentazioni non ufficiali con alterazione di sistemi superiori fino all’inclusione dell’invenzione di nuove macchine e l’autorganizzazione di istituzioni elettroniche alternative. La moltiplicazione di queste attività sta ora inquietando i manager del capitale circa la produttività persa, i furti di segreti commerciali, la rivincita cibernetica rispetto ai lavoratori tradizionali e la compromissione del suo apparato di sicurezza.17

Al momento, l’”hacking” ha infatti deviato l’intero corso dello sviluppo tecnologico da quello pianificato dai suoi sponsor ufficiali. Un esempio è l’invenzione del personal computer, una scoperta inizialmente fatta al di fuori dei parametri della pianificazione aziendale, dalla sperimentazione “fatta in casa” del movimento di “computer for the people” degli anni ‘70.18 Questa inverosimile combinazione di tecno-hobbysti, studenti attivisti e giovani scienziati disillusi dal Vietnam e dal Watergate ha visto nell’informatica domestica una modalità di sovversione democratica rispetto al controllo dell’informazione statale ed aziendale. Certamente le loro invenzioni sono state velocemente recuperate dal capitale rendendo possibile la fondazione di imprese elettroniche multimiliardarie; ma non dimeno vi è stata una radicale riconfigurazione del terreno della lotta comunicazionale e si è elaborata la fondazione di un sempre più stupefacente sviluppo: l’invasione popolare di Internet.

Internet, il network dei networks universali, ha le sue origini nella ricerca del Pentagono per sistemi di comunicazione sufficientemente flessibili per la guerra nucleare. La risultante architettura altamente decentralizzata è stata successivamente applicata nel legarsi ai centri vitali universitari da parte del complesso industriale-militare con l’obiettivo di incrementare la produttività della ricerca. Comunque, il lavoro tecnico-scientifico impiegato in questi luoghi – specialmente tra gli studenti – ha esteso il network ben oltre il suo scopo originale, usandolo per la ricerca non-militare, disegnando successivi livelli di sistemi alternativi che si connettono nella principale spina dorsale.19 Questo accrescimento di servizi auto-organizzati è andato avanti finché, come hanno detto Peter Childers e Paul Delany, “parassiti hanno preso possesso di quasi tutto il corpo ospitante”.20

Il risultato è stato la trasformazione di un network industriale-militare in un sistema che in diversi aspetti realizza sogni radicali di un sistema di comunicazione democratico: multi-scopo, multi-centrico, con la stessa possibilità di trasmettere che di ricevere, con un dialogo vicino al tempo reale, ed una struttura manageriale altamente diffusa e – poiché le università ed altre grandi istituzioni hanno pagato fino adesso un prezzo fisso per la connessione – offre ad un numero relativamente largo di gente l’accesso ad un costo minimo o nullo. Nell’era della meccanizzazione e della privatizzazione, il medium tecnologicamente più avanzato per la comunicazione planetaria è stato infatti creato sulle basi di un utilizzo aperto e di un’autorganizzazione cooperativa – in breve, da una immensa esplosione di attività autonoma.21

Ci sono infine due aspetti di questa esplosione concernenti seriamente il capitale. Uno è che Internet rende ottenibile una quantità voluminosa di informazioni in forma non mercificata. Una grande quantità di software è stata diffusa nel network gratuitamente dai creatori che preferiscono vedere i loro lavori utilizzati piuttosto che venduti. Altri sono stati rubati elettronicamente – o liberati – dai proprietari commerciali dando loro un’istantanea disponibilità mondiale. Così come l’automazione computerizzata muove la richiesta per un lavoro, a livello di produzione, tendente a zero, e ciò mina le fondamenta della forma salario, allo stesso modo le comunicazioni computerizzate sembrano diminuire il tempo richiesto per la circolazione dei beni elettronici – attraverso copie istantanee e multiple – mettendo in pericolo fondamentalmente la loro forma merce. La massiccia confusione che ora regna sul copyright e sulle leggi dei brevetti nel dominio elettronico suggerisce che il rafforzamento dei diritti di proprietà nel cyberspace risulterà straordinariamente problematico.22

L’altro cambiamento per il capitale è che le comunicazioni al computer sono sempre più utilizzate dai movimenti sociali in conflitto con le sue strategie. Nel nordamerica, mailing lists come ACTIV-L, LEFT-L, PEN-L (Progressive Economists Network), nuovi gruppi come P-NEWS, e situazioni come l’Economic Democracy Project, sono ora largamente utilizzate da gruppi “di sinistra” per aggirare i filtri delle informazioni industriali, per avere comunicazioni interne veloci, per l’invio di “action alerts”, per la distribuzione di documenti e connessione con potenziali alleati. Questa cyber-organizzazione si è estesa alla costruzione di network indipendenti interfacciati con Internet, ma interamente dedicati all’attivismo sociale. Così la Association for Progressive Communications, che è stata originata a metà anni ‘80 dalla coalizione di Peace-Net, Eco-Net e Conflict-Net, ora costituisce un sistema globale di computer dedicato alla pace, ai diritti umani ed alla tutela dell’ambiente. Sebbene la sua sede maggiore è locata a Silicon Valley, essa ha partner networks in Nicaragua, Brasile, Ecuador, Uruguay, Russia, Australia, Regno Unito, Canada, Svezia e Germania, affiliate da Vanuata a Zimbabwe, condivisa in 95 paesi e vanta di “fornire il primo libero flusso di informazioni tra Cuba e gli USA in trent’anni”.23 Fornisce e-mail e conferencing systems per un’ampia gamma di organizzazioni non governative concernenti i problemi della povertà, dei diritti politici e la catastrofe planetaria risultando così una persistente spina nel fianco del noliberismo.

Il cosiddetto movimento operaio “organizzato” è stato assai più lento ad entrare nel cyberspace, forse a motivo di un’interpretazione della tecnologia come dominio manageriale. Nondimeno gli anni ‘80 e ‘90 hanno visto le maggiori conferenze “Labortech”; la creazione di liste come LABOR-L e network come Labour Net; e una crescita di bulletin boards elettronici affiliati a sindacati Nordamericani, gestiti da insegnati, pompieri, idraulici, lavoratori dei servizi pubblici e della comunicazione, musicisti e giornalisti.24 Alcuni, come il Canadian Union of Public Employee’s Solinet, sono ora ben strutturati. Diversi sono connessi a network simili fuori dal nordamerica – Glasnet in Russia, WorkNet in Sudafrica, Geonet in Germania e Poptel nel Regno Unito.25

Sebbene il pieno potenziale di queste connessioni rimanga non sfruttato dai sindacati, alcune recenti lotte hanno visto net-workers prendere l’offensiva on-line. A Silicon Valley i superespropriati addetti alle pulizie in subappalto alle grandi compagnie dei computer hanno utilizzato Internet per pubblicizzare le loro condizioni di lavoro e sono penetrati nei sistemi e-mail delle compagnie per disturbare il management e suscitare solidarietà tra il personale professionale.26 I lavoratori del settore automobilistico in Michigan, di fronte all’interruzione di programmi di formazione sui computer sponsorizzati dalle compagnie non solo hanno risposto in sede legale contro l’uso improprio dei fondi pubblici per l’educazione, ma hanno formato anche un Usenet news group finalizzato all’auto-educazione, alla democratizzazione dei computer network ed al supporto per la riduzione della giornata lavorativa.27 I lavoratori delle telecomunicazioni negli USA, ed i lavoratori del settore dell’educazione in Canada, hanno usato la posta elettronica per diffondere informazioni contrattuali ai membri e per coordinare i picchetti.28 Gli scioperi dei quotidiani a San Francisco hanno attivato network di sinistra per promuovere il boicottaggio degli annunci “crumiri” e creato probabilmente il più diffusamente distribuito bollettino di sciopero nella storia della civilizzazione su scala mondiale.

Si è spesso obiettato che tale computer-attivismo è esclusivo di strati di forza lavoro privilegiati, bianchi e maschili. Certamente Internet ha avuto origine come un “giocattolo per ragazzi” e ostacoli di tempo, denaro, socializzazione, educazione e molestia scoraggiano la partecipazione di donne, minoranze e lavoratori dei livelli inferiori della gerarchia salariale. Nondimeno, i congegni e lo e spazio creato dallo hacking sono oggi accessibili ad ampie schiere di soggetti sociali; in parte ciò è dovuto indirettamente all’onnipresente capitale che sviluppa i computer come utensili di lavoro e beni di consumo non intenzionalmente fatti per espandere il numero delle persone in grado di farne un utilizzo alternativo, ed in parte grazie all’autoeducazione degli attivisti.

Le analisi femministe, per quanto evidenzino le forze che tendono verso il monopolio maschile del cyberspace, frequentemente affermano anche la possibilità di un attivismo on-line per le donne.29 Ci sono attualmente diverse iniziative sotterranee per realizzare questo potenziale. Benché le donne continuino ad essere significativamente sottorappresentate nei network, ci sono numerose femminist lists e newsletter, in maggioranza appoggiate all’università, ma molte con connessioni con circoli di attivismo. Le left lists regolarmente recapitano messaggi di supporto alle mobilitazioni per la protezione delle cliniche in cui si pratica l’aborto, per la difesa delle attiviste lesbiche dalle minacce della destra violenta, e per la prevenzione della violenza domestica. I network sono anche usati come supporto per le lotte delle lavoratrici nei ghetti elettronici delle industrie dell’abbigliamento, elettroniche e dei fast food. Ad esempio, in Europa ed in Nordamerica, nell’ambito del lavoro dell’industria del vestiario disseminato a livello domestico, vengono utilizzati computer per stabilire legami tra le une e le altre e per costruire boicottaggi del consumo chiamati “clean clothes”, boicottaggi indirizzati a catene commerciali che distribuiscono articoli vestiari prodotti dalle varie sweatshops in condizioni di lavoro e di salario pessime. in Canada le donne impiegate nella consegna a domicilio della pizza hanno rivendicato il diritto ad usare terminali delle compagnie per contattare un sindacato.30

Benché il computer-attivismo è – così come l’Internet stesso – concentrato nei paesi “sviluppati”, esso ha una dimensione globale di importanza cruciale nell’era del capitale nomade. Ciò è illustrato in maniera evidente dalla comunicazione tra gruppi in Canada, negli Stati uniti ed in Messico che si oppongono al Canada-US Free Trade Agreement ed al NAFTA. Riconoscendo che questi trattati sono stati fatti per mettere la forza lavoro dei tre paesi in competizione, si è costituito un dialogo oltre i confini senza precedenti tra sindacati e movimenti sociali. Molto di ciò è condotto attraverso Internet. La partecipazione a questo scambio on-line include organizzazioni come il North American Worker to Worker Network, che collega i lavoratori al di fuori delle strutture sindacali; Mujer a Mujer, una coalizione di gruppi di donne in Canada, USA e Messico in opposizione alla ristrutturazione globale del capitale; La Mujer Obrera, un’organizzazione che si batte per migliorare le condizioni delle lavoratrici nella regione di confine degli USA; e numerose organizzazioni ambientaliste, come il Pesticide Action Network, che ha giocato un ruolo cruciale nell’aiutare gli agricoltori messicani a sconfiggere l’uso di pesticidi.31

Anche se la mobilitazione contro il NAFTA non è stata in grado di fermare la firma del trattato, l’importanza dei collegamenti elettronici si è manifestata al mondo intero quando i rivoluzionari zapatisti hanno incendiato le giungle del Chiapas. Come ha documentato Harry Cleaver, uno delle protagoniste salienti di questa insorgenza è stata la velocità con cui le posizioni e le domande dell’EZLN e le notizie della sua offensiva sono state trasmesse dal computer network fuori dal Messico dando visibilità internazionale, creando un “tessuto elettronico di lotte”.32 Infatti, è plausibile affermare che la ragione di questa rivolta non sia stata – come tante altre insorgenze dei contadini messicani – soffocata con un massiccio ricorso alle forze armate grazie non soltanto alla capacità strategica degli zapatisti, ed alla solidarietà che hanno mobilitato all’interno del Messico, ma anche grazie alle preoccupazioni del Governo messicano circa l’attenzione internazionale che i comunicati in e-mail hanno focalizzato sul Chiapas. Certamente questo fenomeno ha attirato l’attenzione dei pianificatori capitalisti: la compagnia RAND ha emesso un rapporto che esprime ansietà circa l’uso di “guerre in rete” per destabilizzare l’ordine globale capitalista.33

La questione ora è per il capitale la possibilità o meno di riassorbire l’attuale non gestibilità dei network. L’iniziativa del National Information Infrastructure promossa dalL’amministrazione di Clinton, col suo piano per una “superhighway” sovvenzionata pubblicamente, posseduta e gestita da compagnie private, mira a ottenere questa gestibilità. Il prospetto ha eccitato la frenesia di fusione e manovre fra le compagnie del telefono, del cable, e video e software ansiose di ricolonizzare il cyberspace con l’aiuto delle loro quattro applicazioni “killer”: video-on-demand, tele-gambling, pay-per-computer games e info-mercials. Fiancheggiando l’iniziativa highway con una serie di altre misure finalizzate a fare del cyberspace, come al solito, un luogo sicuro per gli affari; sono dunque previste privatizzazione e commercializzazione di Internet, i nefasti “Clipper chip” per rendere le comunicazioni digitali trasparenti alle agenzie di sicurezza nazionale, e un’elettronica “legge ed ordine” di restrizione culminata con la Operation Sun Devil’s armed raids contro i supposti hackers.34

Comunque, questo tentativo di restringere le comunicazioni al computer ha anche provocato l’opposizione di gruppi largamente al di fuori dell’orbita tradizionale della sinistra, come gli attivisti del Computer Professionals for Social Responsability, o “cyberpunk librarians” in prima linea nella battaglia per l’accesso pubblico ai network.35 Coalizioni come la Telecommunications Round Table hanno invitato alla costruzione di un accesso pubblico universale, due vie di comunicazione, nessuna censura, preservazione di uno status comune, protezione dei lavoratori, protezione della privacy e costruzione di una politica democratica; domande che, sebbene siano strutturate con una prospettiva riformista, attualmente implicano un cambiamento radicale delle intenzioni aziendali. Allo stesso tempo una serie di iniziative informatiche delle comunità, come il movimento Freenet, sono fiorite tentando di superare l’esclusione dai network dei poveri, dei ghettizzati e collegando il controllo dei servizi di informazione a questioni più ampie di infrastrutture sociali.36

Il risultato di tutto ciò è incerto. La fioritura di Internet può essere rapidamente “pavimentata” dai costruttori delle highway aziendali, come è ampiamente successo con le radio, le tv e le prime generazioni di tecnologie delle comunicazioni.37 Ma questo modello di recupero può anche incontrare problemi inaspettati. Tecnicamente sarà difficile fermare le azioni degli hacher di distruzione ed aggiramento dei network mercificati. Inoltre, è proprio la libertà comune del network che offre ad esso l’unico valore come fonte continua di idee ed innovazioni produttive. Nel commercializzare questo flusso, il capitale della computer-age può scoprire se stesso in una contraddizione simile a quella che stava alla base del socialismo di stato; obbligato a restringere la forza produttiva del lavoro tecno-scientifico per preservare le relazioni sociali di dominio. (…)

Problemi per il capitale significano opportunità per l’autonomia. Il cyberspace è importante non, come diversi teorici postmoderni affermano, perché rimpiazza le lotte “sul campo”, ma come medium al cui interno tali lotte possono diventare visibili e legarsi tra di loro.38 Liste che collegano gruppi di lavoratori, ambientalisti, femministe e indigeni sviluppano queste comunicazioni tra i movimenti agevolando l’esplicita formazione di rapporti e legami. In combinazione con altri media autonomi, essi forniscono sempre più un canale al cui interno una molteplicità di forze di opposizione, diverse negli obiettivi, varie nella consistenza, specifiche nell’organizzazione, possono attraverso il dialogo, la critica ed il dibattito scoprire un nuovo linguaggio di autonomia ed alleanza.

European Counter-Network, un network autonomo in cui circolano notizie sulle lotte di lavoratori, dei rifugiati, degli antifascisti all’interno della Comunità europea, segnala il pericolo potenziale del suo computer-attivismo: feticismo tecnico, nuove gerarchie di competenze, rischi alla salute, e “supremo incubo”: “un simulato network radicale internazionale in cui tutta la comunicazione è mediata dai modem e in cui l’informazione circola senza fine tra computer senza essere rinviata in un contesto umano”.39 Come è stato scritto da Doroty Kidd e dal sottoscritto:

 

il tentativo di usare computer (…) nella lotta richiede una costante riflessione collettiva, per determinare quali strategie siano utilizzabili, e quali sono state pericolosamente compromesse. Allo stesso tempo, tale riappropriazione dei mezzi di comunicazione è vitale proprio perché apre nuovi canali per una auto-riflessione collettiva che lo scopo del movimento attuale richiede.40

 

Ma dato tale riassestamento in corso, è plausibile sperare in ciò che sostiene Peter Waterman, che il computer in network possa aiutare a costituire quella che egli chiama una “quinta internazionale” – che non resti, come nelle precedenti quattro “internazionali” socialiste, sulle direttive di un partito di avanguardia, ma piuttosto presenti una trasversalità, una transnazionalità di connessioni di gruppi di opposizione.41

Gli esperimenti degli attivisti hacker, infatti, possono raggiungere implicazioni sempre più lontane. Sono visibili nei network le prefigurazioni di alternative globali sia al meccanismo del mondo-mercato capitalista che alle economie socialiste di comando statale. Le comunicazioni via computer possono liberamente ed istantaneamente distribuire grandi quantità di sapere produttivo. Esse possono agire come mezzi di negoziazione rapida ma decentralizzata e democratica sostituendo la centralizzazione dell’autorità dello stato. In questo senso, il pieno potenziale dei network eccede sia la logica predatoria della “virtual corporation” che quella dell’innocua nozione di “virtual community”, che sventola la bandiera rossa di un “virtual commune” ove le comunicazioni al computer provvedono a connettere fili per nuove forme di collegialità in grado di coordinare cooperazione socio-economica dal basso. Questo è il cyber-spectre che attualmente si aggira tra il capitalismo dell’informazione.42

 

Conclusioni

Varie forme di “automatic marxism” hanno dichiarato in passato che il capitale collasserà inevitabilmente sotto il peso del suo sviluppo tecnologico autoeliminandosi.43 Questo non corrisponde a quanto qua sostengo. Quando abbiamo trattato il circuito di lotte, abbiamo visto come il capitale usi le high-tech per schiacciare l’opposizione al suo comando; rafforzando la disponibilità al lavoro, mercificando sempre più larghe aree di esperienza, approfondendo il controllo sociale ed intensificando lo sfruttamento dell’ecosistema. Di fronte alla ferocia ed all’estensione del suo assalto ogni fiducia tecnologica circa il futuro non potrà che essere ingenua.

Abbiamo provveduto a respingere anche il pessimismo che vede l’attuale situazione soltanto come dominio tecnologico monolitico. Al contrario, i nostri viaggi sulle highway del capitale hanno scoperto in ogni luogo insorgenze e rivolte, gente che combatte per la libertà dal lavoro, che crea “communication commons”, che sperimenta nuove forme di auto-organizzazione e nuove relazioni col mondo naturale.44 Tali movimenti sono ai loro inizi e sono agguerriti, ma comunque non se ne può negare la presenza. Il capitale non riesce tecnologicamente a porre fine al ciclo di lotte. Infatti, senza in nessun modo sminuire l’importanza delle sconfitte e delle disfatte subite dai contro-movimenti degli ultimi venti anni, si può affermare che sono ora visibili, nel paesaggio post-fordista “biotecnologizzato” e “siliconizzato”, i segni di una nuova ricomposizione di classe.

Questa sta procedendo su una base molto più ampia rispetto a quanto tradizionalmente concepito dal marxismo. Nel circuito integrato del capitalismo high-tech, il luogo immediato di produzione non può essere considerato il luogo “privilegiato” della lotta. Piuttosto l’intera società diventa un luogo di lavoro; ed i luoghi potenziali per l’interruzione della logica del capitale proliferano simultaneamente. In questo senso, la nuova ricomposizione di classe dispiega una molteplicità postmoderna dei luoghi e degli agenti. Il frammentato pensiero post-marxista che trova soltanto connessioni contingenti tra i movimenti di lavoratori, donne, anti-razzisti, verdi, attivisti pacifisti ed altri dispersi, perde una dimensione cruciale di questo processo. Tuttavia tutte queste lotte stanno prendendo posto all’interno di un ordine globale coercitivo unificato dalla logica di dominio del capitale. I loro obiettivi specifici comportano la sconfitta di un sistema totalizzante che subordina e sacrifica ogni altro obiettivo sociale – genere ed eguaglianza razziale, pace e preservazione del mondo naturale – agli imperativi della mercificazione.

Su queste estese basi sociali si sta ora schiudendo una lotta in direzione della combinata intelligenza tecnoscientifica della società; ciò che Marx chiamava “general intellect”.45 La scommessa è se questa intelligenza collettiva sarà sfruttata dal capitale nel perpetuare il suo regime di lavoro o riuscirà ad esplorare e a realizzare altre potenzialità. Priorietà immediata deve essere data al blocco della distruzione sociale ed ambientale che causata dal patologico sviluppo di macchine guidato dal profitto. Il revival di spirito neo-luddista di resistenza al cosiddetto “progresso” è perciò stato vitale; ma le alternative emergenti stanno ora andando oltre questo momento di resistenza e vanno nella direzione di mobilitare il loro proprio potere inventivo. Nelle lotte si stanno sviluppando abilità non solo per fermare la tecnologia capitalista, ma per riappropriarsi, riprogettare e deviarla dal suo corso voluto. Sta facendo la comparsa una capacità per la contro-pianificazione tecnologica, un’abilità collettiva che colloca nell’agenda la ricerca tecnico-scientifica e le applicazioni “dal basso”, una rivoluzione di hacker e di ostetriche.46

Non c’è bisogno di sottolineare l’attuale fragilità ed incertezza di questo movimento di riappropriazione, contro-pianificazione e logiche alternative. Nell’isolamento ciascuno provoca solo un problema minimo per il potere delle aziende. Infatti, è proprio la larghezza e la varietà del processo di scoperta mutuale, di ricognizione e rafforzamento – da una circolazione accelerata di lotte – che tali insorgenze potranno raggiungere una forza autonoma capace di rompere i circuiti di costrizione che ora avvolgono il pianeta.

 

Traduzione di Gioacchino Toni



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Wehling, Jason. 1995. “ ‘Netwars’ and Activists on the Internet.” March 25, 1995. From ACTIV- L@MIZZOU1.missouri.edu Tue Mar. 28 15:14:05 1995.

Weston, Jay. 1994. “Old Freedoms and New Technologies: The Evolution of Community Networking.” Paper delivered as a talk at the “Free Sppech and Privacy in the Information Age Symposium”, University

of Waterloo, Canada, November 26, 1994.

Wilson, Kevin. 1988. Technologies of Control: The New Interactive Media for the Home. Madison: University

of Wisconsin.

Witheford, Nick. 1994. “Autonomist Marxism and the Information Society.” Capital & Class 52, 85-124.

Wright, Steven John. 1988. Forcing the Lock: The Problem of Class Composition in Italian Workerism.

Unpublished Ph.D. Dissertation. Monash University, Australia.

Zerowork Collective. 1975. Zerowork: Political Materials 1. Brooklyn, New York: Zerowork.

Zimmerman, Patricia R. 1993. “The Female Bodywars: Rethinking Feminist Media Politics.” in Socialist Review:

Media as Activism 93/2: 35-56.

* Vancouver, Canada, 28 maggio, 1995. La prima parte dell’articolo è stata pubblicata su Vis-à-vis, n. 4, 1996.

1 Marx (1977), 638.

2 Vedi: Luke (1994); Boland (1994).

3 Marx (1977), 1037.

4 Vedi: Howard; Hayes (1989).

5 Vedi Hofrichter (1993).

6 Vedi Hofrichter (1993).

7 Vedi Hofrichter (1993).

8 Per un’analisi dettagliata – di approccio autonomist marxism – della composizione di classe del movimento antinucleare vedi p.m. (1992). Una più completa analisi del movimento verde italiano, può essere trovata in Negri, 1987.

9 Hofrichter (1993); Gottlieb (1993).

10 Almeida (1994).

11 Mann (1990, 1991); Bloch e Keil (1991).

12 Keil1 (1994).

13 Tsuzuku (1991), 266. Questa strategia è stata inizialmente una questione di necessità finanziaria, ha portato ad allargare le prospettive di “produzione socialmente utile” (“noi non possiamo chiederci solo se il sistema così ordinato vuole veramente promuovere gli interessi dei lavoratori della compagnia cliente, e se e come il progetto possa essere migliorato”). Essi vedono questo processo di alleanza con gruppi alternativi come qualcosa li che differenzia.

14 Cleaver indica che mentre nel Libro Primo de Il Capitale, la “natura” appare come un oggetto, fuori dallo, ed in opposizione allo, ambito umano, successivamente: “vediamo che ne Il Capitale emerge un altro aspetto, ove la natura diviene sempre più un aspetto dell’organizzazione sociale ed incorporata in essa piuttosto che fuori da essa come oggetto sul quale lavorano gli individui come soggetti. Nel Libro Terzo, nella discussione sulla rendita fondiaria, possiamo vedere che il terreno (la Natura) è lavorato più intensivamente e che il capitale è investito in esso, la sua fertilità originale, o “naturale” (…) diviene sempre più difficilmente identificabile. In breve, dobbiamo riconoscere che quale che sia l’estensione del concetto della Natura, noi vediamo che il capitale ‘la’ ingloba e ‘la’ trasforma fino a quando essa non può più essere identificata come qualcosa di esterno.” (1979) 134 [N.d.T.: tr. it. e pubblicato in Vis-à-vis n. 4, 1996 – Cap. IV di Reading Capital Politically]. Vedi anche Negri (1989).

15 Marx (1977), 1056.

16 Vedi Hiltz & Turoff (1978); Balka (1991).

17 Vedi Hafner & Markoff (1991); Clough (1992); Sterling (1992, 1993).

18 Vedi Hauben (1991/3).

19 Vedi Sterling (1993).

20 Childers e Delany 1993), 1.

21 In generale, un caso simile può essere individuato nel sistema “Minitel” francese che è stato trasformato dagli hackers. Le origini dei servizi interattivi on-line francesi si fondano sull’attività degli hackers che hanno fatto irruzione nei servizi del videotext “Gretel” del quotidiano alsaziano Les Dernieres Nouvelles d’Alsace, disegnato come un “normale” servizio d’affari, con annunci, informazioni bancarie, convertendolo in uno scambio interattivo di messaggi in tempo reale. Il sistema è stato promosso in risposta a questa iniziativa non ufficiale, dando origine al famoso servizio messaggi del Minitel. Vedi Marchand 1988.

22 Vedi Barlow (1994); Clapes (1993).

23 Frederick (1994), 4.

24 Illingworth (1994).

25 Waterman (1992).

26 Siegel (1993).

27 Vedi la rivista elettronica The Amateur Computerist. C’è un breve racconto della sua genesi in Penely and Ross (1991).

28 Illingsworth; (1994) Labor Resources Center (1990).

29 Vedi Balka (1991); Shade (1993); Truong (1993).

30 Sulla campagnia “celan clothes” vedi Manicom (1992). Sui lavoratori delle pizzerie vedi Illingworth (1994).

31 Vedi Federick (1994); Brenner (1994); Mujer a Mujer (1991).

32 Cleaver (1994), 141.

33 Wehling (1995).

34 Sterling 1992; per una descrizione di misure repressive simili in Gran Bretagna ed in Italia vedi Wehling (1995).

35 Miller & Wolf (1992).

36 Vedi Weston (1994).

37 Schiller (1994).

38 Per le richieste che le cyber-lotte spostano in attivismo-di-strada vedi Poster (1990).

39 ECN (1992).

40 Kidd and Witheford (1995).

41 Waterman (1992).

42 “Virtual community” è tratta da Davidow, “virtual community” da Rheingold, “virtual Commune” dal Marxist electronic journal Breakaway.

43 Jacoby.

44 Sono indebitato per questa frase con il work-in-progress di Doroty Kidd.

45 Marx (1973), 706. Per un’analisi approfondita del “general intellect” vedi Negri (1994), Lazzarato (1994), Virno (1992) ed altri scritti del gruppo di Futur Anterieur focalizzati su questa categoria.

46 Per quanto riguarda la “contro-pianificazione” vedi Cox & Federici (1975); Benjamin & Turner (1992); Kidd & Witheford (1995).

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