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Torino: TORNIAMO DAVANTI AL TRIBUNALE! Mai più nessuna da sola di fronte alla violenza di genere

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Durante lo sciopero dell’8 marzo e la mattina del 7 aprile siamo state in presidio di fronte al tribunale di Torino, mentre all’interno si svolgevano le udienze di un processo per stupro, in cui il Tribunale aveva condotto indagini faziose, attraverso retoriche infantilizzanti, colpevolizzanti e denigratorie, e zittito la donna offesa, lasciando la parola solo allo stupratore, attraverso la procedura di rito abbreviato.

La donna che ha subito la violenza ha denunciato, mossa dal bisogno di fare qualsiasi cosa per impedire che quanto successo a lei potesse capitare ad un’altra, ma si è trovata a subite altra violenza dal Tribunale.

Non si tratta di casi isolati, ma è la prassi nei processi per questi tipi di reati, quindi abbiamo deciso di REAGIRE TUTTE INSIEME alla doppia violenza: di genere e del tribunale.

Durante entrambe le udienze, in tante abbiamo sostenuto la sorella che ha coraggiosamente denunciato, e abbiamo contrapposto alla violenza istituzionale, alla tacita accusa di mentire, alla cultura che minimizza le violenze sessuali , la potenza delle nostre testimonianze, dei nostri corpi e delle nostre voci.

La prossima udienza sarà VENERDÌ 13 MAGGIO, e saremo di nuovo sotto il tribunale per dire a gran voce:

SORELLA NOI TI CREDIAMO

LA COLPA E’ DELLO STUPRATORE, unico che ha potuto prendere parola dentro quell’aula di tribunale!

SE TOCCANO UNA, REAGIAMO TUTTE

————————————————————————————–

I PARTE: LE INDAGINI A CARICO DELLA PARTE LESA, L’ACCUSA DI MENTIRE, LA VIOLENZA DEGLI INTERROGATORI

Durante il presidio dell’ 8 marzo abbiamo raccontato come sono state condotte le indagini: interamente sulla persona offesa, non nel contesto della gravissima violenza subita, ma su tutta la sua vita: le sue abitudini, le sue amicizie, le sue relazioni passate e presenti, il suo passato e la sua famiglia. Durante l’interrogatorio è stata lei stessa a dover insistere per sostituire la parola “rapporto” con “violenza”, e le è stato chiesto se non stesse confondendo una violenza con un’atto molto passionale.

Come sappiamo dalle troppe testimonianze le indagini in questi casi vengono condotte così: chi viene messa sotto giudizio, mortificata e umiliata è chi subisce la violenza, non lo stupratore.
Questo approccio fazioso del tribunale viene addirittura rivendicato e giustificato con l’argomentazione che bisogna assicurarsi che le donne non si siano inventate tutto, visto che “succede spesso”. Tutto ciò serve a zittire le donne che decidono di reagire di fronte a queste gravissime violenze e normalizzare la cultura per cui non vengono credute quando denunciano.

II PARTE: SE CI ZITTITE, NOI GRIDIAMO; AUTODIFESA E CONDIVISIONE DI STORIE

Durante il presidio del 7 aprile, mentre dentro l’aula di tribunale, il diritto di parlare lo aveva solo lui, lo stupratore, noi fuori abbiamo letto le parole della donna che ha denunciato, assieme ad altre decine di testimonianze di donne che avevano subito violenza e violenza istituzionale, svelando i meccanismi per cui quando una donna denuncia non viene creduta e denunciando pubblicamente la cultura patriarcale per cui le violenze e gli stupri sono socialmente accettati.

Abbiamo letto e condiviso anche esperienze e pratiche di lotta e autodifesa femminista, dandoci strumenti per reagire a queste violenze.

III PARTE: UNA STORIA ANCORA DA SCRIVERE

Anche questa volta, il 13 maggio, saremo in tante, per dire che la sentenza ce l’abbiamo già: BASTA VIOLENZE DI GENERE E VIOLENZE DEI TRIBUNALI, MAI PIÙ NESSUNA DA SOLA.

“Non vogliamo accettare quello che non possiamo cambiare,
ma cambiare quello che non possiamo accettare.”

(A. Davis)

Da Spazio Popolare Neruda

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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