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Puniscono il dissenso, seminano rivoluzioni. Note su condanne, carcere e misure restrittive

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato in seguito alle 9 condanne in primo grado per la manifestazione contro la presenza di Salvini a Pisa in campagna elettorale il 23 Febbraio 2018.

da Riscatto

Prendiamo parola a caldo sulle notizie di questo martedì di febbraio. In primo grado di giudizio, un collegio di giudici del Tribunale di Pisa ha deciso di condannare a pene di un anno e 8 mesi e un anno e 10 mesi, nove persone tra le cinquecento che presero parte alla manifestazione (di 5 anni fa) di contestazione al leader della Lega Nord Matteo Salvini. Ad essere state giudicate per resistenza e violenza a pubblico ufficiale, con l’aggravante di essere in concorso tra loro, sono alcune tra le tante donne e uomini, ragazzi e ragazze, che nell’occasione dell’ennesimo comizio pre-elettorale di Matteo Salvini si confrontarono ripetutamente con le cariche delle forze dell’ordine. Come in altre occasioni, quel giorno il centro della città fu blindato in più zone generando caos, tensione e rabbia tra la popolazione della città. Per sventolare promesse elettorali che da lì ad alcuni mesi dettero vita al governo Conte – Salvini, furono spese – invano – decine di migliaia di euro affinchè lo spettacolo leghista potesse essere disturbato il meno possibile.

Per una riflessione più approfondita sulla gravissima pena comminata in primo grado, aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza. Ciò che ci preme dire intanto è che quel giorno c’eravamo tuttǝ: non è stato possibile silenziare la ribellione di una città solidale con le botte della polizia, non lo sarà adesso con queste condanne. Di quella giornata ha dato fastidio la capacità di interrompere un teatrino mediatico che vedeva rappresentare il consenso a Salvini come fatto di massa. Ci fu una spontanea determinazione a far entrare nella scena del comizio le ragioni e le storie di una città non conforme alla manipolazione della politica di “denigrazione del prossimo” esercitata da Salvini. Questo si riflette nelle varietà delle biografie degli imputati: studenti e studentesse, militanti dei movimenti sociali, attiviste di movimenti femministi; lavoratori e abitanti dei quartieri popolari, non omologabili nelle etichette coniate dal leader leghista.
Le condanne ai nove provano a dividere, a isolare, a colpire nel mucchio. Ma quel giorno non ci furono divisioni: tuttǝ insieme sfilavamo in Corso Italia e nelle vie adiacenti per affermare il nostro diritto a dissentire con le politiche razziste spacciate per populismo dal futuro Ministro dell’interno. La riprova fu la presenza di centinaia di manifestanti sotto la questura ad aspettare il rilascio delle persone fermate durante le cariche della polizia.
Lo striscione di apertura della manifestazione era “Pisa non si lega”. Non fu così sul livello elettorale – pochi mesi dopo il partito di Salvini era al governo del paese e anche della città di Pisa. Ma l’intento della manifestazione non era certo di far vincere altri contendenti alle elezioni. A distanza di 5 anni – nei Governo giallo-verde, giallo-rosso, Draghi e adesso Meloni – quel piano ha visto la promulgazione dei decreti sicurezza, che criminalizzano scioperi, proteste e uccidono silenziosamente nel Mediterraneo; il reiterato attacco alla libertà delle donne tramite lo sdoganamento di politici misogini; la discriminazione sociale, territoriale e liberista che ha fatto crescere povertà e attacco a servizi e reddito. Ha visto gli effetti dei tagli alla sanità e dello strapotere dei padroni far implodere un paese alle prese con la pandemia.
E allora, se Pisa non si è legata, a distanza di 5 anni, è perchè la nostra città continua a produrre lotte, vertenze e a dimostrarsi ostile alle involuzioni autoritarie, reagendo alle imposizioni che vengono dall’alto. Pisa non si è legata perchè esistono e si riproducono preziosi anticorpi di resistenza alla barbarie del capitalismo e alla legge del più forte, nei quartieri, negli spazi sociali, nelle scuole e nelle università, sui posti di lavoro e nei borghi abbandonati. E chi governa, sa di doverne tenere di conto.

Condannatǝ a resistere. L’evidente sproporzione tra condanne e condotte indivuduali risulta dal fatto che nel processo non sono state contestate agli imputate né lesioni né violenze specifiche. E’ quindi una sentenza che tende a castigare la presenza dei movimenti sociali nella vita politica della città. Serve a cercare di svuotare la democrazia del suo significato sostanziale, scoraggiando le persone a camminare insieme, ad associarsi e ad esprimere il dissenso. Sui giornali vengono rivelati i nomi degli imputati cercando di guardare in modo scabroso alle vite delle persone coinvolte, insinuando la violenza nei contesti di mobilitazione sociale. Cittadinǝ che lavorano o studiano, che crescono figlǝ o sostengono i propri cari in mezzo a mille difficoltà, vengono messi nei guai a livello giudiziario per aver osato avvicinarsi ad un comizio del politico più onnipresente ed invasivo della storia. Quello del programma “la bestia” con il quale canalizzava artificialmente gli istinti di rabbia e frustrazione sociale verso obiettivi targati ad hoc dagli algoritmi della violenza di Luca Morisi. Ma se l’intento è quello di fare interiorizzare la paura, spingendo ad un nuovo regime culturale di obbedienza fondata sul timore e la vigliaccheria del “ma chi te lo fa fare”, hanno già fallito. Lo dimostrano i percorsi ed i sentieri costruiti e attraversati dal basso nelle comunità contro i privilegi. Ma sopratutto lo dimostra la disaffezione e il profondo disgusto che milioni di cittadinǝ provano verso la guerra e verso una classe politica italiana ed europea corrotta, egoista e bugiarda. Senza etica né capacità di essere utile ad affrontare le poli-crisi della nostra civiltà.

Mentre scriviamo questo testo siamo raggiuntǝ dalle notizie sull’incarcerazione di Cecca, una compagna di Torino e sull’esito delle perquisizioni nei confronti di studenti e studentesse dell’università di Bologna. Cecca ha osato, dieci anni fa, attaccare sul tribunale di Torino uno striscione a sostegno della compagna di Pisa, Marta, che fu fermata, picchiata e molestata dalle forze dell’ordine durante una manifestazione in Val di Susa. Per questo gesto di solidarietà è stata denunciata e oggi condannata ad 11 mesi di reclusione che il giudice ha deciso di farle scontare in carcere, rifiutando le misure alternative. A Bologna invece dopo mesi di mobilitazione nelle scuole e nelle aule universitarie, contro il caro affitti e la gestione privatistica della città, la procura ha dato a dodici giovani dei collettivi universitari autonomi e transfemministi, divieti di dimora e obblighi di firma giornalieri.

La stretta contro la libertà di pensiero e di azione rivela la profonda debolezza di un sistema sociale tutto proiettato a investire su armi, guerra e energie fossili. Per non crollare sotto il tetto di questo edificio in via di decomposizione, continuiamo a costruire “mondi altri”, fatti di condivisione, lotta e libertà per tutte e tutti. Continueremo ad associarci per resistere.
Solidarietà ai processatǝ per la manifestazione “Pisa non si Lega”!
Solidarietà agli studenti e alle studentesse di Bologna!
Cecca libera subito!

Lǝ compagnǝ dello Spazio Antagonista Newroz

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