
Cosa c’entra la base del Tuscania al CISAM con il genocidio in corso in Sudan?
In Sudan si consuma un massacro che il mondo continua a ignorare.
da No Base Coltano
Dal 2023, le Rapid Support Forces (RSF) del generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, combattono contro le Forze Armate Sudanesi (SAF) per il controllo del paese. Il prezzo lo paga la popolazione civile: villaggi incendiati, stupri di massa, esecuzioni pubbliche, fosse comuni. Le Nazioni Unite e numerose ONG parlano apertamente di crimini di guerra e di un genocidio in corso contro la popolazione del Darfur e di altre regioni.
Le RSF, oggi responsabili dirette dei massacri, discendono dalle famigerate milizie janjaweed, già protagoniste del genocidio darfuriano dei primi anni 2000.
Nel 2019, quando il popolo sudanese scese in piazza reclamando la democrazia e la fine del regime di Omar al-Bashir, furono proprio queste truppe — allora formalmente inquadrate nell’esercito regolare — a soffocare nel sangue le manifestazioni di Khartoum, sparando sui civili, torturando, violentando e lasciando centinaia di corpi lungo il Nilo.
Il ruolo del Tuscania: gli addestratori del massacro
Che c’entra l’Italia?
Le inchieste di Africa ExPress (“Accuse all’Italia per l’addestramento dei janjaweed: Avete creato un mostro”) e de il manifesto (“Il Sudan ha un amico tricolore: l’Italia addestrò i janjaweed”) hanno ricostruito un quadro preciso: tra Roma e Khartoum sono intercorsi accordi militari e missioni di cooperazione che hanno coinvolto reparti italiani, in particolare i Carabinieri del Reggimento Paracadutisti Tuscania.
Secondo Africa ExPress, il 12 gennaio 2016 si sarebbe tenuta una missione segreta italiana a Khartoum per definire un piano di addestramento delle unità del Ministero dell’Interno sudanese, le stesse che costituivano il nucleo originario delle RSF.
L’addestramento sarebbe stato possibile anche grazie alla rete di basi operative e centri di formazione italiani, tra cui il Reggimento Tuscania, che da anni funge da polo per la formazione delle forze speciali e per la cooperazione militare internazionale.
Non si tratta solo di un dettaglio logistico: destinare il CISAM al Tuscania significa potenziare il reparto, aumentarne gli effettivi e ampliare il raggio delle missioni internazionali in cui è coinvolto.
Il 29 luglio 2022, in un’intervista alla radio sudanese, lo stesso generale Hemetti aveva rivolto apprezzamenti all’Italia, affermando che le sue “Forze di Supporto Rapido stanno cooperando esclusivamente con l’Italia nei settori della lotta al terrorismo e dell’immigrazione”.
Nel Senato italiano, il 6 settembre 2022, il senatore Luigi Ariola ha presentato un’interrogazione per chiedere chiarimenti al governo sulle accuse di addestramento ai janjaweed. Nessuna risposta ufficiale è mai arrivata.
Leonardo, Med-Or e la continuità del business
Le relazioni non si fermano all’ambito militare diretto.
Attraverso la Fondazione Med-Or, diretta dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti e controllata dal gruppo Leonardo, l’Italia ha costruito negli ultimi anni rapporti di cooperazione con il governo sudanese.
In foto e comunicati ufficiali, Minniti stringe la mano a rappresentanti riconducibili alle SAF, le forze armate rivali delle RSF. Ma in un contesto di guerra civile fluido, i confini tra alleanze e complicità si dissolvono.
Leonardo — cuore del complesso militare-industriale italiano — promuove attraverso Med-Or una diplomazia parallela che intreccia formazione militare, sicurezza dei confini, intelligence e industria bellica, in continuità con il Piano Mattei per l’Africa.
In Sudan, come in Libia o nel Sahel, l’obiettivo reale non è la pace, ma stabilizzare i regimi e le milizie che garantiscono controllo, accesso alle materie prime e blocco delle rotte migratorie.
Paramilitari anti-migranti: il filo rosso italiano
Nulla di nuovo, dunque.
L’Italia è da anni alla ricerca di “partner locali” per esternalizzare la guerra ai migranti. In Libia, i finanziamenti e l’addestramento delle milizie della Guardia Costiera hanno prodotto detenzioni arbitrarie, torture e schiavitù.
In Sudan, la strategia è la stessa: stringere accordi con forze paramilitari e di sicurezza interna, spesso responsabili di atrocità, in nome della “lotta al traffico di esseri umani”.
Dietro la retorica della cooperazione e del contrasto al terrorismo si nasconde una guerra per procura, combattuta per conto delle potenze europee e del Golfo. Le RSF e le SAF, in modi diversi, sono strumenti di quel sistema di controllo: milizie pagate per mantenere l’ordine e bloccare i movimenti delle persone, anche a costo di massacri.
Il genocidio e la complicità italiana
Mentre in Darfur si contano centinaia di migliaia di morti, l’Italia — tra cooperazioni militari, fondazioni “culturali” e contratti d’armi — continua a nutrire i propri rapporti con i carnefici.
Le stesse strutture che addestrano forze speciali “per la stabilità” diventano laboratori del terrore.
Dal CISAM di Pisa, cuore operativo del Tuscania, fino ai palazzi di Leonardo e Med-Or, l’Italia si ritrova ancora una volta dalla parte sbagliata della storia: quella che addestra, arma e legittima chi soffoca nel sangue la democrazia e massacra interi popoli.
Come in Palestina e come in Libia, si ripete lo stesso schema: un genocidio dietro un altro, in nome di affari, frontiere e potere.
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