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Un faro si spegne, un uomo si perde


Sei in carcere, sulle spalle pesa l’ergastolo ostativo. Credi che ormai nulla può più nuocerti. Hai sopportato di tutto: privazioni, umiliazioni, soprusi. Ma nonostante tutto e tutti, riesci sempre a a fartene una ragione e continuare a campare.

Ognuno di noi attinge la sua forza in qualcosa, o per meglio dire, da qualcuno, dalla persona che ami e che insieme a te, in tutti questi anni, ha sofferto per la tua assenza. Sopporti il peso di questo inferno, perché sai che c’è sempre qualcuno là ad aspettarti a braccia aperte. Qualcuno che ti fa coraggio, ti dà sicurezza, ti regala un dolce sorriso e un tenere bacio sulle labbra, ogni volta che l’incontri a colloquio.

Poi, una maledetta sera, tutto crolla, tutto si spegne. Lunedì 18, gioca l’Italia agli europei. Inizia la partita, e io do due colpi sul muro. So che dall’altra parte c’è Vito, lui risponde con altri due colpi come per dire.. “Sì, ci sono”. La partita è iniziata. Non passano neanche 10 minuti, quando viene la guardia. Sento il rumore della cella che si apre, fanno vestire Vito, deve scendere giù in matricola. Capisci subito che c’è qualcosa che non va, ma non sai cosa. Apro il blindato mentre Vito passa. Gli chiedo che succede, mi risponde che deve andare giù, ma non gli hanno detto il motivo.

In questi casi ti aspetti qualcosa che abbia a che are con la giustizia. Non è certo la prima volta che succedono cose del genere, cioè scendere giù in matricola, anche sul tardi, per notificarti qualche mandato di cattura.

Nel frattempo un altro compagno apre il blindato, poi un altro ancora. Vito risale dopo qualche ora. E’ sconvolto, i suoi occhi luccicano come due lucciole, è tremante. C’è stata una comunicazione proveniente dalla questura di Palermo, ma per avvisarlo che c’è stato un incidente d’auto. La moglie, il suo faro, la sua speranza, la sua forza, il suo amore, è in sala rianimazione. E’ in coma. E’ tutto quello che sa in quel momento. Cerco di fargli coraggio, gli dico che potrebbe essere in coma farmacologico. Ma in realtà non so cosa dire. Passa la notte insonne, lo sento attraverso il muro. Si gira, si rigira, si alza, ma non ha pace. Quella notte sono con lui. Ci separa un muro, ma non riesco a dormire neanche io. Il giorno dopo, mentre aspetta che il Magistrato gli dia il permesso per recarsi all’ospedale a Palermo, riesce a telefonare, dopo vari tentativi. La moglie è grave. Erano in cinque dentro l’auto, quando all’incrocio un’altra auto li prende in pieno. Altri quattro della famiglia, compresi due bambine, se la cavano con poco. Ma lei, la moglie di Vito, ha la peggio. Nell’attesa del permesso passa anche il martedì. Il mercoledì arriva la notizia. Non ce l’ha fatta, è morta. Cala un silenzio glaciale in sezione. Vito non ha più lacrime, i suoi occhi non luccicano più, sono asciutti, si sono spenti. Quale conforto dare? Non c’è nulla che si possa fare. E’ tutto finito.

Oggi è giovedì. Vito è già giù a Palermo, a dare l’ultimo saluto a un corpo senza più vita. A un amore che mai più potrà sorridergli per fargli coraggio, mai più poggerà le sue tenere labbra sulle sue. Dove attingere adesso la forza per continuare questa vita?. Il faro acceso ad indicargli la strada di casa si è spento. Vito si è perso nel buio di una tempesta marina. Non ha più una rotta da seguire. Non ha più un motivo per vivere. Questo lo ha capito sia la dottoressa che la psicologa nelle lunghe ore di colloquio. Hanno visto in lui spezzarsi il filo della speranza e, per questo motivo, lo hanno portato in un’altra sezione, per poterlo guardare a vista. Hanno percepito in lui la sua mancanza di volontà nel volere continuare a vivere. Un momento di sfogo gli ha fatto dire ciò che non doveva dire, “che adesso la sua vita non ha più senso”. Sono momenti di forte dolore, di rabbia per un amore strappato. Abbiamo cercato di impedire che lo portassero già sotto controllo. Anche gli agenti erano d’accordo con noi; del fatto che, in un momento del genere, era peggio allontanarlo da noi. Ma un certificato medico ha la meglio anche sulla ragione umana. Devono ubbidire, e così se lo portarono via. Solo per una notte. Stamattina è tornato, si è preparato la borsa, e nel pomeriggio sarebbe già stato giù, in Sicilia. Tornerà tra una quindicina di giorni. Sarà dura per Vito, ma dovrà riprendersi, non ha scelta. Un ergastolano ostativo è già un morto che cammina. E’ la persona che ti ama che, nonostante sei un morto che cammina, ti da’ la forza di camminare, andare avanti, sperare, sognare e, perché no, illuderti che le cose andranno meglio e tutto tornerà alla normalità.

Non c’è nulla di normale in noi. Abbiamo smesso di esistere. Tutto ciò che vediamo, che tocchiamo, la persona che amiamo, è tutto una illusione. Non c’è più nulla in noi che possa identificarci come umani. Soggetti ormai oggetti che fanno parte dell’arredamento di una cella. Cogito ergo sum. Non poteva dire bestialità più forte di questa Descartes. Non basta pensare per potere esistere. Bisogna esistere per potere pensare. E qual’è la nostra esistenza? La non esistenza! Dunque, io penso, ma non esisto.

Il dolore di Vito è grande, ma è un dolore che adesso, come lui, rimarrà confinato nella condizione di non esistenza. Un dolore che si trasformerà in oggetto della sua cella, perché è lì che rimarrà quel dolore, a fargli compagnia in tutto il suo FINE PENA MAI.

In tutta questa non esistenza, in quanto nulla, non sei solo Vito, ci saremo tutti noi a farti compagnia.

Alfredo

 

da Urla dal silenzio

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