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Nessun copyright su Stefano Cucchi

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Puntuali come le tasse, arrivano le prime minacce contro la proiezione del film “Sulla mia pelle” la storia degli ultimi 7 giorni di Stefano Cucchi, ragazzo romano ucciso dai carabinieri il 22 ottobre del 2009 durante la custodia cautelare. Come faremo a proiettare un film ancora nelle sale? Semplice, la produzione del film ha venduto i diritti anche a “Netflix”, impresa operante nella distribuzione di contenuti audiovisivi su internet. Per avere il file basta avere l’account della piattaforma. Bella contraddizione vendere i diritti sia ai Cinema d’essai sia ad una multinazionale del Web. Il 12 settembre potrete decidere se andare al cinema a 5,6,7 €, utilizzare il vostro abbonamento, oppure partecipare alle tante proiezioni gratuite lanciate in tutta Italia. Netflix è sbarcata in Italia nel 2015, e oggi ha una media di 800mila abbonamenti mensili. Molte formule di abbonamento prevedono la possibilità di installare la piattaforma su più dispositivi, ergo, milioni di persone nel nostro paese accedono al servizio “Netflix” a prezzi ben più concorrenziali dei Cinema d’essai. Useremo questo cortocircuito della distribuzione cinematografica per riprenderci, senza pagare, il diritto a usufruire di alcune possibilità che sono concesse solo dietro pagamento, e lo faremo pubblicamente, mettendoci la faccia e fortunatamente, sembra, con un discreto seguito. In poche ore nella giornata di giovedì 27 agosto decine di realtà sociali in Italia hanno lanciato appuntamenti pubblici per vivere collettivamente la visione del film sulla traumatica morte di Cucchi. La storia di Stefano è la realtà quotidiana della violenza poliziesca nel nostro paese, non un thriller holliwoodiano e tanti e tante hanno sentito, opportunamente, l’esigenza di divulgarlo in ambiti pubblici. Nella giornata del 31 agosto “Netflix Italia” ha contattato tutti gli organizzatori per ricordarci che il pagamento del canone mensile non permette la distribuzione “commerciale” dei prodotti audiovisivi, pena violazione del copyright e del diritto d’autore. Grazie “Netflix Italia”! ma già lo sapevamo, la nostra non è una proiezione a scopo commerciale ma un momento per ricordare la morte di Stefano Cucchi. Alcune ferite, alcune storie, non sono commerciabili o, almeno, non per noi. L’amministrazione italiana della piattaforma on-demand ha la faccia tosta di chiederci denaro o l’annullamento delle proiezioni, quando nel 2017 hanno fatturato “appena” 11.69 MILIARDI di $, con 559 milioni di utili per 5400 dipendenti. Quanto pagano di tasse? 0,000 €. Oltre a questi avidi affaristi della “Silicon Valley” siamo stati contattati dagli “addetti ai lavori” del morente, lo scriviamo con sincero dispiacere, Cinema d’autore. Ci hanno scritto per sottolineare le violazioni dei diritti d’autore, tacciandoci di minare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici del mondo del cinema, sperando di illuminarci sulle contraddizioni delle nostre azioni. Chiunque abbia lavorato nell’ambito culturale, dai beni artistici al cinema, passando per il teatro sa perfettamente che il proprio nemico è il costante de-finanziamento di qualsivoglia attività culturale. Le condizioni dei “lavoratori della cultura” sono pessime, votate alla crescente precarietà, attraverso pratiche di sfruttamento e ricatto che non conoscono confini di categoria. Biblioteche aperte 6 ore al giorno, musei il cui ingresso costa spesso due ore del nostro lavoro, teatri e cinema in stato di abbandono o, laddove resistono, con prezzi non accessibili. Se si osserva il bilancio del Mibact, (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) vi si nota, che dal 2000 ad oggi, i fondi sono stati ridotti del 26%, un taglio di 600 milioni di € tondi tondi (in fondo trovare link bilanci Mibact). I mondi della cultura e del turismo pesano sul bilancio statale lo 0.19%, ripetiamo 0,19% del PIL. Coloro che sono realmente interessati alla sopravvivenza del cinema d’autore, creativo, di nicchia, non unicamente votato alla commercializzazione, dovrebbero, insieme a noi, chiedere e rivendicare maggiori investimenti. Questi stessi investimenti arrivano invece dalle multinazionali “cool” alla “Netflix” che vi offre il suo denaro mentre con gli altri oligopolisti del settore, elimina rapidamente tutto ciò che non è immediatamente fruibile e commerciabile per un pubblico il più ampio possibile. Cari amici del cinema d’autore avete sbagliato bersaglio. Mentre Università, scuola, ricerca, sanità, teatro e cinema sembrano non contare molto per chi amministra il paese, c’è una voce nel bilancio statale che non conosce crisi economica, quella della “difesa”. Nel 2018 si prevedono investimenti per 25 miliardi di € cioè l’1.4% del Pil. Sedici volte ciò che viene speso per i beni culturali. Chi sarebbe il problema dei lavoratori e delle lavoratrici del cinema? I giovani e le giovani che si organizzano per stare in compagnia e vedere dei film senza dover spendere soldi, che non hanno, oppure le continue scellerate scelte politiche volte ad arricchire e finanziare le solite persone nei soliti settori? Chi ci governa preferisce la guerra alla cultura e ce lo ricorda ogni anno attraverso il bilancio dello Stato e le tante storie come quella di Stefano. 

 

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