InfoAut
Immagine di copertina per il post

Gli uomini di Sebastiao Salgado: “il sale della terra”

di Elena Foiadelli

tratto da Charta Sporca

Una vita racchiusa in scatti fotografici. Ma non una vita normale, non quella che ci siamo abituati a “immortalare” narcisisticamente nei celebri selfie, che ritraggono incessantemente pose costruite corredate di mano – o peggio, di bastone – che regge lo smart-phone rivolto verso se stessi. No, Il sale della terra sono 110 minuti di pura immersione nella poltrona del cinema, che fin dalle prime immagini mi hanno richiamato alla mente i pomeriggi in cui mio nonno tirava fuori il proiettore di diapositive per mostrare a me e ai miei cuginetti com’era la sua vita prima che noi nascessimo, e noi restavamo due ore in silenzio con gli occhi grandi a guardare quelle immagini in bianco e nero che ci mostravano un altro mondo, il suo, così lontano e insieme così vicino.

Anche le fotografie di Sebastiao Salgado sono in bianco e nero, ma non raccontano della sua vita (non direttamente almeno), raccontano piuttosto – con un’umiltà e un’umanità sconvolgenti – la vita dei popoli e degli uomini che egli ha incontrato durante il suo lungo percorso. Salgado (e la sua macchina fotografica) non hanno attraversato un altro mondo, ma proprio quello in cui viviamo noi, oggi, e quello in cui sono vissuti i nostri genitori, ieri. Il regista tedesco Wim Wenders non mette mai la vita personale del fotografo brasiliano al centro della pellicola, la ricostruisce piuttosto attraverso la successione delle sue raccolte fotografiche, che vengono sempre contestualizzate storicamente e politicamente ed accompagnate dai racconti del figlio (co-autore del film), del padre e della moglie. La sua famiglia ci racconta molto semplicemente di lui, della sua passione per la fotografia e della sua insaziabile vocazione di girovago, tanto che alla fine ci sembra di conoscerlo. In effetti, nei pochissimi scatti che lo ritraggono, sembra davvero di poter leggere sul volto di Sebastiao i segni profondi di una grande e bruciante passione: quella per l’umanità, in tutte le sue sfumature. La lunghezza della sua barba e la profondità dei solchi sul viso testimoniano dell’intensità, della gioia e dell’orrore, che egli ha vissuto sulla propria pelle a causa di una così bruciante passione;mentre negli occhi un po’ stanchi e fieri si può leggere la soddisfatta fatica di uomo che ha voluto e dovuto immagazzinare e regalare un’enorme quantità di energie.

Alla fine degli anni ‘60, dopo l’emigrazione forzata dal Brasile per motivi politici e dopo una carriera universitaria di economista e statistico, il giovane Salgado si accorge – in una sorta di crisi di coscienza – che la macchina fotografica può essere uno strumento molto più efficace e diretto (rispetto alle “stanze dei bottoni” dell’economia) per arrivare al cuore dei problemi della società e della gente; Sebastiao si accorge in sostanza che ritrarre la realtà di quegli altri mondi potrebbe rivelarsi un’operazione politica molto più incisiva, e costruttiva, di sfogare la propria rabbia in uno sterile tafferuglio con la polizia, o darsi delle arie nei meeting dei colletti bianchi. Sebastiao inizia così a viaggiare e visitare, percorre e immortala centinaia di Paesi e popoli e paesaggi: dalle miniere d’oro della Sierra Pelada dove – come in una sorta di formicaio umano – migliaia di persone salivano ogni giorno piene di speranza le kilometriche scale a pioli per uscire dalla cava con un sacco di fango (e forse qualche traccia d’oro) sulle spalle, alle campagne dell’America Latina dove la mortalità infantile raggiungeva livelli spaventosi, fino alla siccità del Sahel e alla tragica e genocida guerra civile tra tutsi e hutu in Congo e Ruanda (i cui orrori, vissuti e fotografati in prima persona, lo segneranno per sempre fino addirittura a fargli temporaneamente interrompere il suo instancabile lavoro artistico e politico). “Siamo degli animali molto feroci, siamo degli animali terribili, noi, gli umani”, dirà Salgado, di ritorno dal suo ultimo viaggio in Ruanda.

La peculiarità delle sue fotografie è quella di ritrarre la vita colta nella sua semplicità, e spesso nella sua quotidiana drammaticità. L’intensità di queste immagini, mentre eravamo seduti comodamente in un cinema vintage con popcorn e birra in mano, ci ha fatto sentire quasi violati, quasi come se non potessimo evitare di identificarci al tempo stesso sia con l’occhio dell’obiettivo, sia con l’oggetto fotografato. Nel guardare in faccia il dolore e la paura della donna africana in fuga dai raid aerei – i cui occhi gridavano, brillando in un volto semi-sfigurato, la determinazione di chi non morirà proprio in quel giorno, né proprio in quel modo – ci è capitato, per un istante, di provare contemporaneamente sia la paura (per noi ancora ignota) di essere sotto un bombardamento, sia il senso di impotenza e di pietà che deve aver provato il fotografo nel documentare impotente un simile orrore. La stessa dinamica si ripete durante il film, assumendo anche sfumature più leggere, come nel caso dell’indigeno amazzonico che, per la prima volta, si vede nel piccolo schermo della macchina fotografica digitale, facendoci provare al contempo sia l’emozione dei bambini davanti a una “magia”, sia l’affetto paterno del genitore che assiste a un così delicato e genuino stupore.

Non è facile avere la passione per l’umanità senza che questa si atrofizzi in una passione antropologica, da botanico o da scienziato. “Avere la passione per gli uomini” è sempre un’espressione molto pomposa e sospetta, intrisa di facile buonismo o scaltro altruismo, ma quella di Salgado, forse anche grazie al ruolo che la fotografia gioca in tutta questa faccenda, è una passione ha provocato irresistibilmente per decenni a vivere, mangiare, bere, ridere e giocare con persone e popoli totalmente altri, gente con cui apparentemente sarebbe impossibile comunicare. Questa passione per gli uomini, quella di Salgado e non quella dei tanti filantropi benpensanti, è forse una delle passioni che richiedono più amore e più coraggio, essa infatti non fa sentire buoni, e in più espone a brucianti delusioni, amarezze e incomprensioni; eppure, al contempo, questo desiderio di essere con gli altri, nonostante essi siano così impenetrabili, è una forma di amore che paradossalmente riguarda anche se stessi. Chi ci è più impenetrabile, a volte, di noi stessi? A volte è proprio da chi ci è più estraneo che possiamo imparare a comunicare, a sopportare, e persino ad amare quell’altro impenetrabile che, sempre più spesso, siamo per noi stessi.

Si colgono tratti di umanità persino nelle fotografie che ritraggono animali (e al contempo tratti di animalità nelle fotografie di persone), come se rappresentassero solo una battuta di un lungo colloquio silenzioso e sentimentale tra loro e il fotografo. I contrasti di luce e ombre offerti dalle fotografie in bianco e nero di Salgado, con lo svilupparsi del film, divengono quasi ipnotici. Dopo l’esperienza traumatica del Congo, la natura (o comunque l’uomo “al naturale”, spogliato della modernità alla quale siamo abituati) diviene il soggetto principale di Salgado, quasi in una sorta d’inconscio disgusto verso tutto ciò che è umano; la sua “grande passione” sembra, a un certo punto del film-vita, essersi trasformata in un grande disgusto. Ma Sebastiao riuscirà a trasformare questo dolore nell’apice della sua carriera, lanciando un ultimo messaggio di speranza e di amore.

La dimenticata naturalità dell’uomo è, non a caso, il tema dell’ultima fatica di Salgado, Genesis (esposta a Venezia), che commuove e sconvolge maggiormente: nei luoghi in cui la natura è ancora padrona e sorella (complice o nemica) dell’uomo, la brutalità e la violenza di quest’ultimo nei confronti dei suoi simili sono, o sembrano, non solo più selvagge ma anche più pure, più innocenti di quelle a cui siamo abituati; quasi come se queste culture ancestrali (come ad esempio quella degli Zo’e amazzonici) si trovassero fuori da quella Morale che non riusciamo a smettere di immaginare universale. Le loro lotte, e persino le loro violenze, per quanto selvagge possano sembrarci, si stagliano su un misterioso sfondo di innocenza. Nei corpi di questi uomini nati guerrieri si legge la stanchezza di una lotta continua, contro e con il caldo, contro il sole, la fame, la sete, con e contro gli uomini. È stato forse proprio grazie a questa ispirazione che Salgado e la moglie Lelia hanno deciso di ristabilirsi in Brasile, dopo essersene dovuti andare per molti anni, con un grande progetto in mente. Dopo tutta una vita in viaggio per raccontare realtà culturali e sociali “altre”, così distanti e inconcepibili per gli occidentali, il fotografo e la moglie Lelia hanno deciso di contribuire a rimboscare quella foresta amazzonica sulle cui pendici Sebastiao era cresciuto (nella fattoria del padre, ridotta ormai a un deserto a causa della siccità e del disboscamento). Una sorta di patto con la natura, che era possibile raggiungere solo dopo averla di nuovo conosciuta, esplorata, vissuta; e una piccola, umile rivincita, un personale riscatto da tutto il male che Sebastiao si è voluto infliggere andando a vedere, fotografare e vivere la vita e il mondo per ciò che sono davvero.

Perché tutto quello che si vede in questo documentario è reale, è il nostro mondo adesso. Vediamo in televisione il nostro mondo, le persone che ci vivono, morire tra innumerevoli guerre scatenate da logiche di mercato. Questi uomini – anche se sono diversi da noi, anche se sono persone che non capiremo mai – sono come i piccoli alberi ripiantati da Salgado nella sua fattoria, che oggi è un istituto ambientale,l’Istituto Terra. Questi uomini in fuga sono come quei milioni di piantine piccole e fragili, vite indifese ed esposte al caso che, se avranno sempre più persone a coltivarle, diventeranno un giorno una splendida e vitale foresta, che regalerà nuovo ossigeno al mondo intero. Milioni di persone che scappano dalla loro terra, oggi. Milioni di persone il cui destino è legato a un sacco pieno di terra (e non di oro), oggi. Forse anche a voi, uscendo dal cinema, verrà il desiderio di colorare di verde tutte quelle foglie bianche e nere ritratte nelle ultime foto di Salgado, e forse anche a voi, uscendo dal cinema, dopo aver visto questo incredibile documentario, la città sembrerà troppo grigia lì fuori…

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

cinemafilmsalgado

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Culture

Blackout Fest 2025!

Dal 13 al 15 Giugno a Manituana (Torino)
Torna la festa dell’unica radio libera dell’etere torinese, qui il programma da Radio Blackout.

Immagine di copertina per il post
Culture

L’Eternauta: neve letale su Javier Milei

C’era molta attesa per l’uscita della serie Netflix tratta da L’Eternauta, il capolavoro del fumetto di fantascienza scritto da Héctor Oesterheld, disegnato da Francisco Solano López, e pubblicato sul periodico argentino Hora Cero Suplemento Semanal dal 1957 al 1959, poi ristampato nel 1961 su testata omonima.

Immagine di copertina per il post
Culture

Alcune riflessioni sulla natura e sulla guerra dei contadini tedeschi

Nel 1525 gran parte dell’Europa centrale è stata infiammata da una rivolta sociale: i contadini si sollevarono contro coloro che governavano le loro vite.

Immagine di copertina per il post
Culture

Il nuovo Papa: perché chiamarsi Leone?

Son stati scritti fiumi di parole sull’esito inatteso del conclave e anche sulla ripresa di un nome desueto da oltre un secolo Leone, dicendo troppe banalità.

Immagine di copertina per il post
Culture

L’Eternauta

Fu durante le feste di Natale del ’77 che mio padre, due miei zii e un loro amico si misero d’accordo per vedersi tutti i sabati di gennaio, dopo cena, per giocare a poker.

Immagine di copertina per il post
Culture

Il gruppo rap nordirlandese Kneecap è indagato dall’antiterrorismo inglese per il sostegno alla Palestina

In Irlanda del Nord i Kneecap, gruppo rap di Belfast, sono indagati dall’antiterrorismo britannico per il loro sostegno alla Palestina. Tutto è iniziato quando il trio hip-hop nordirlandese si è esibito sul palco del Coachella, festival annuale seguitissimo negli Stati Uniti. “Israel is committing genocide against the Palestinian people… It is being enabled by the […]

Immagine di copertina per il post
Culture

György Lukács, un’eresia ortodossa / 4 – Il partito e la dialettica marxiana

Il terzo paragrafo del breve saggio è dedicato alla questione del partito e alla sua funzione direttiva nel processo rivoluzionario, qui Lukács offre la più chiara e nitida esposizione della teoria leniniana del partito che il movimento comunista abbia mai elaborato. di Emilio Quadrelli, da Carmilla Ma proprio detta esposizione sarà oggetto di non poche […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Tonino Miccichè, crucifissu cumu a Cristu!

Senza il libro di Filippo Falcone, Morte di un militante siciliano (1999) probabilmente si sarebbe persa quasi del tutto la memoria. Con la necessità di ricordare viene orgganizzato il festival “Memoria e Utopia per Tonino Miccichè” a Pietraperzia, il 9, 10 e 11 maggio. di Angelo Maddalena, da La bottega del Barbieri Rocco D’Anna poco […]

Immagine di copertina per il post
Culture

“Carcere ai Ribell3”: Mamme in piazza per la libertà di dissenso

Presentiamo il libro “Carcere ai ribell3”, scritto dalle donne del gruppo Mamme in piazza per la libertà di dissenso. Con una delle “mamme” ripercorriamo alcune storie di compagn* e attivitst* che hanno incontrato il carcere nel loro percorso di lotta; raccontiamo delle pratiche di solidarietà portate avanti dalle “mamme” in sostegno dei/delle figli/e e delle […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Decolonizzare la scienza

Dalle spedizioni dell’Ottocento al divario nella geografia dei centri di ricerca, c’è ancora un problema di colonialismo?

Immagine di copertina per il post
Culture

La terra promessa di Sion non è per i Giusti

“Mi addormentai così, oppresso dal cupo destino che sembrava incombere su di noi. Pensavo a Brigham Young, che nella mia fantasia di bambino aveva assunto le dimensioni di un gigantesco essere malvagio, un diavolo vero e proprio, con tanto di corna e di coda.” (Jack London, Il vagabondo delle stelle – 1915) di Sandro Moiso, […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Immaginari di crisi. Da Mad Max a Furiosa

Per quanto diversi siano i film della saga, ad accomunarli è certamente la messa in scena di un “immaginario di crisi” variato nei diversi episodi in base al cambiare dei tempi, dei motivi, delle modalità e degli sguardi con cui si guarda con inquietudine al presente ed al futuro più prossimo.

Immagine di copertina per il post
Culture

Dune nell’immaginario di ieri e di oggi

Dune può dirsi un vero e proprio mito contemporaneo capace di segnare profondamente l’immaginario collettivo

Immagine di copertina per il post
Culture

In attesa di un altro mondo: tre film sulla fine del sogno americano

Ha avuto inizio a Venezia, il 9 gennaio di quest’anno, una rassegna cinematografica “itinerante” di tre film e documentari di tre registi italiani under 40 che hanno vissuto parte della propria vita negli Stati Uniti e che hanno deciso di raccontarne aspetti sociali, ambientali e politici molto al di fuori dell’immagine che troppo spesso viene proiettata dai media di ciò che un tempo era definito come American Way of Life.

Immagine di copertina per il post
Culture

Note su cinema e banlieue

Lo scritto che segue riprende alcune tematiche approfondite in un libro in fase di ultimazione dedicato alla messa in scena delle banlieue nel cinema francese.

Immagine di copertina per il post
Culture

Il reale delle/nelle immagini. La magia neoarcaica delle immagini tecniche

Il doppio offerto da queste “nuove immagini” a partire dalla fotografia finisce per dare vita ad atteggiamenti “neoarcaici” – come li definisce Edgar Morin (L’Esprit du temps) –, attivando reazioni irrazionali, primitive, infantili proprie dell’Homo demens che, da sempre, contraddistinguono il rapporto tra l’essere umano e le differenti forme di rappresentazione.

Immagine di copertina per il post
Culture

Breve storia del cinema militante

«La storia del cinema militante è legata alla storia dei movimenti di opposizione. Dalla sua rinascita lenta (dagli inizi degli anni Sessanta alla sua fioritura nel 1968), ha riguardato, in Italia come altrove, la nuova sinistra e non la sinistra tradizionale».

Immagine di copertina per il post
Culture

L’irrimediabile stupidità dei bianchi. “Killers of the Flower Moon”

L’uomo non merita di vivere, qualcuno dice. Chi non lo merita? L’ uomo europeo, colui che ricatta ed è ricattato dal dio denaro, che è il dio del potere; anche i conquistadores che sbarcarono in America, certamente, responsabili di genocidi.

Immagine di copertina per il post
Culture

“Sabotage”: passare dall’eco-ansia all’eco-attivismo

Il film “Sabotage”, «How to blow up a pipeline» nella sua versione originale, prende il titolo dall’omonimo libro di Andreas Malm. È nelle sale cinematografiche in Francia quest’estate.

Immagine di copertina per il post
Culture

Intervista a Dikotomiko. Blaxploitation, Black Horror, Black in Horror

Ci siamo già occupati di Dikotomiko – il duo di saggisti rappresentato da Mirco Moretti e Massimiliano Martiradonna, collaboratori regolari di Nocturno e di altre riviste specializzate e conduttori di un omonimo blog cinematografico – in occasione dell’uscita del loro ottimo libro del 2019, Lo specchio nero: I sovranismi sullo schermo dal 2001 a oggi. […]